​di Ugo Magri

Ogni volta che si domanda a Draghi se traslocherebbe sul Colle, lui solleva una questione di galateo. “Parlarne sarebbe irriguardoso nei confronti di Mattarella”, è la risposta standard. Però meglio se dicesse, semplicemente, che non ha ancora deciso; che è presto per scoprire le carte; che la scelta se correre per il Quirinale dipende da mille cose in divenire. Suonerebbe assennato e nessuno potrebbe dargli torto. Ma tirare in ballo presunte irriverenze nei confronti del capo dello Stato è una forma abbastanza curiosa di rispetto.

 

Perché mai Mattarella dovrebbe restarci male se qualcuno si candida al posto suo, e in particolare scendesse in campo il premier che egli stesso ha nominato? Non sa che sei anni e otto mesi sono già volati via, dunque è ormai agli sgoccioli del settennato? Nessuno ha avuto il coraggio di informarlo che dal 3 agosto siamo entrati nel “semestre bianco”, per cui il capo dello Stato resterebbe a girarsi i pollici perfino se scoppiasse una crisi politica senza sbocco? E poi: un uomo che ha avuto il fratello Piersanti assassinato dalla mafia, già vice premier e ministro della Difesa, giudice costituzionale e presidente della Repubblica, davvero non sopporterebbe lo stress della corsa alla successione? Difficile immaginarlo così fragile, talmente emotivo.

 

Poco riguardosa, semmai, è l’ipotesi messa in giro non si sa da chi, per cui Mattarella potrebbe accettare un secondo mandato presidenziale però a termine, un altro paio d’anni da precario in attesa che Draghi metta al sicuro l’Italia, per poi cedergli il testimone. Ecco: qui il presidente in carica avrebbe diritto di restarci male. Perché nessuno con amor proprio terrebbe calda la sedia, che sia al peggiore o al migliore poco importa, per poi sloggiare in quanto giudicato anziano. Tra l’altro la Costituzione non prevede mandati a termine; entrare in quest’ottica sarebbe un ulteriore sbrego dopo il bis di Giorgio Napolitano che, peraltro, venne supplicato in ginocchio di restare dall’intero arco parlamentare. Fu un atto di generosità mal ripagato.

 

Insomma Draghi, quando lo assillano sul Quirinale, avrebbe mille modi per rispondere a tono. Potrebbe tenere le carte coperte; oppure rifiutare una candidatura che ormai è sul tavolo; o infine accettarla senza falsi pudori perché nessuno si scandalizzerebbe se l’ex presidente Bce mirasse più su; e in fondo lui stesso si rende disponibile quando precisa che l’ultima parola sul presidente spetterà alle Camere. Se scegliessero lui, par di capire, non si tirerebbe indietro. Nel qual caso verrebbe a porsi un problema: che fine farebbe il Governo delle larghe intese con tutte le riforme messe in cantiere e da cui dipendono i fantamiliardi del Recovery Fund?

 

Draghi dovrebbe dimettersi da premier, è ovvio. Il doppio incarico di presidente della Repubblica e di presidente del Consiglio non è stato ancora inventato. Meno chiaro è chi subentrerebbe a Palazzo Chigi; scrutando nel futuro non si intravvede una mazza. Qualche leader della maggioranza potrebbe approfittarne per chiedere nuove elezioni, altri per farsi mollare qualche ministero in più. Qualunque fosse la soluzione, poi servirebbe un check, una verifica politico-parlamentare tramite l’armamentario solito delle crisi di governo. Consultazioni al Quirinale, delegazioni dei partiti, telecamere, corazzieri, nuovo incarico, lista dei ministri, programma, dibattito parlamentare con voto finale. Tutto già visto. Però stavolta occhio alle date: Mattarella resterà al Quirinale fino al 2 febbraio, così stabilisce la Costituzione; le elezioni presidenziali cominceranno invece a inizio gennaio (la data esatta verrà comunicata dal presidente della Camera Roberto Fico). Se putacaso Draghi venisse incoronato ai primi scrutini, come ci si aspetterebbe per una personalità del suo rango, logica vorrebbe che fosse lui a sbucciare la patata della crisi di governo. Non sarebbe giusto chiederlo a un presidente come Mattarella, quasi ex e con la valigia in mano.​

 

Sennonché Draghi per due-tre settimane ne sarebbe impedito, qui sta l’impiccio; dovrebbe attendere fino al giorno del giuramento; e il giuramento non avrebbe luogo, come abbiamo visto, prima del 2 febbraio, ultimo giorno del settennato di Mattarella. Quindi non si capisce quale potrebbe essere la scappatoia. Qualche giurista sostiene che, in via provvisoria, a Palazzo Chigi potrebbe insediarsi il ministro più anziano nella persona di Renato Brunetta; altri studiosi però lo escludono e come uscita d’emergenza ipotizzano le dimissioni del predecessore (Mattarella) in modo che il successore (Draghi) possa trovarsi a sua volta un successore senza scaricarne l’incombenza sul predecessore. Quasi uno scioglilingua, roba da mal di testa. Forse il problema mai si porrà perché SuperMario resterà a lungo premier per il bene dell’Italia; ma se capitasse, e se Mattarella venisse trascinato in quell’ingorgo istituzionale malefico negli ultimi giorni del mandato, beh, allora sì che potremmo definirlo poco carino nei suoi confronti. A proposito di galateo.