Alla fine del 2021, il bilancio dei nuovi nati in Italia non raggiungerà quota 400 mila. L’ultima volta che successe risale alla notte dei tempi. Il trend demografico da anni sembra in discesa irreversibile. Se continua così, come ha ammonito il Presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, la popolazione nel lungo termine si dimezzerà. Già è calata sotto il livello dei 60 milioni, nel prossimo ventennio dovrebbe perderne altri 4, per poi accelerare la caduta. Questa situazione, malgrado le apparenze, può essere modificata. Lo ha fatto la Germania, che aveva un problema simile, ed è riuscita a invertire la tendenza. Possiamo farlo anche noi. Ma dobbiamo sbrigarci. Anche perché vi sono presupposti favorevoli per innestare la svolta. Basta non illudersi, accontentandosi di risultati parziali. Secondo le previsioni, il pil nazionale a fine anno dovrebbe crescere tra il 6 e il 7%. Un risultato incoraggiante, di questo passo i livelli produttivi precedenti al covid saranno recuperati entro la metà del 2022, anno in cui la crescita dovrebbe aggirarsi intorno al 4%. Ma se non si pone argine al crollo della popolazione, già nel 2040 quei 4 milioni persi comporteranno la perdita di almeno 7 punti di pil, che diventerebbero addirittura 18.6, se continuerà a scendere anche la popolazione attiva, con più anziani e meno persone in età lavorativa. Il clima di ottimismo e di fiducia che sta tornando nel Paese deve essere dunque sfruttato dai nostri governanti per mettere a punto condizioni che incentivino la ripresa demografica. Dalla realizzazione di asili nido e altri servizi pubblici che favoriscano le famiglie, all’impulso all’occupazione femminile elevando i modesti tassi rilevabili nel Mezzogiorno, alla prosecuzione di una nuova concertazione che promuova il welfare aziendale grazie all’intesa tra associazioni datoriali e sindacati. Accanto a queste misure, va ripensata anche la politica per l’immigrazione, superando definitivamente integralismi ideologici. Non è possibile che l’Italia resti l’approdo di flussi inarrestabili di profughi di diversa estrazione e provenienza, senza che l’Europa si assuma responsabilmente il carico della gestione di un problema drammatico quanto ineludibile. Occorre peraltro saper gestire il fenomeno con equilibrio, anche in positivo, per evitare il declino economico del Paese. L’immigrazione, insieme all’aumento della frequenza delle nascite, rappresenta l’unica risposta realistica per risolvere un nodo che rischierà altrimenti di diventare irresolubile nei prossimi decenni.