di Marco Plutino

In sordina, il 13 ottobre è scaduto il termine per richiesta del referendum costituzionale sulla riforma dell'elettorato attivo relativo al Senato della Repubblica, che estende il voto ai diciottenni modificando l'art. 58 della Costituzione che attualmente richiede il compimento dei venticinque anni. Dal momento che nessuno degli aventi diritto (500mila elettori, cinque consigli regionali, un quinto di ciascuna camera) ha richiesto il referendum, la deliberazione delle Camere è destinata ad essere promulgata a breve dal Capo dello Stato, per poi essere pubblicata in Gazzetta Ufficiale ed essere operativa a partire dalla prossima legislatura.

Si tratta dell'unica riforma realizzata tra quelle promesse dagli allora sostenitori della riduzione del numero dei parlamentari. Il suo effetto è quello di rendere le due Camere ancora più uguali sul piano della conformazione costituzionale, avendo già le stesse funzioni ed ora anche lo stesso elettorato attivo. Restano differenze di elettorato passivo e di composizione. Va chiarito che la riforma di cui parliamo non era affatto una logica conseguenza rispetto alla riduzione del numero dei parlamentari, ma piuttosto frutto di un accordo politico con il quale il Partito Democratico mutava clamorosamente il voto, già espresso, circa la riduzione del numero dei parlamentari, appoggiando la riforma voluta fortemente dai Cinque Stelle. Mancano invece le ben più necessarie e urgenti riforme della legge elettorale e, ancor più, dei regolamenti parlamentari, che nella loro parzialità attenuerebbero in parte i significativi danni al funzionamento del Parlamento e alla qualità della rappresentanza che la riduzione del numero dei parlamentari è destinata a produrre.

Con la riforma che commentiamo ci si è semplicemente mossi nel confermare un bicameralismo assolutamente inedito al mondo, fatto di due camere doppione, e in verità nessun tentativo di razionalizzazione potrebbe rendere un assetto pienamente funzionale, dal momento che la definizione della parte fondamentale delle funzioni parlamentari è prevista in Costituzione (e non nei regolamenti parlamentari).

Era vano immaginare di poter mobilitare il corpo elettorale richiedendo un referendum su una riforma così puntuale ed estensiva di diritti politici. Si tratta di un cedimento demagogico con cui si vuole coprire la sostanza dell'operazione sulla riduzione dei parlamentari, che consiste in uno sfregio alla dignità del Parlamento e della rappresentanza. Mai si è visto al mondo un intervento di rimaneggiamento del numero dei parlamentari a cui non corrisponda un ripensamento delle funzioni.

Le due riforme, questo sì, sono unite nel destino di andare in direzione contraria rispetto alla linea istituzionale degli ultimi quasi cinquanta anni, tutte volte a differenziare le funzioni delle camere,  ed in particolare creando una camera degli interessi territoriali, così come avviene in tutti i sistemi costituzionali avanzati.

Viene invece confermato un grave difetto del sistema. Ed è tutto da dimostrare, con i più ridotti numeri dei Senato (la metà di quelli della Camera) e la permanenza dei senatori a vita che non si produca una differenza sostanziale tra gli assetti politici per le due camere per il solo fatto di aver uniformato gli elettorati attivi, che è l'unico argomento accampato dai sostenitori della riforma sul piano di una migliore funzionalità del parlamento.

Credo che andrebbe spiegato chiaramente ai giovani, che comunque se ne accorgeranno, che guadagnano un diritto ma che la riforma suggella un'ulteriore dequalificazione del Parlamento, mentre un suo rilancio sarebbe più che mai necessario proprio nell'interesse dei giovani e delle future generazioni.