Merita alcune considerazioni la ricerca diffusa nei giorni scorsi dall’Ipsos di Nando Pagnoncelli, e realizzata nel mese di ottobre. Fornisce alcune indicazioni di particolare interesse sull’elettorato di riferimento delle varie forze politiche nel nostro Paese, in relazione per esempio alla collocazione geografica, al titolo di studio, alla professione. Il Partito Democratico, in un contesto di generale crescita che lo rende al momento il primo partito del panorama italiano, vanta un consenso significativamente più solido nei comuni oltre i centomila abitanti rispetto a quelli più piccoli, particolarmente forte tra gli over 65 e i pensionati (oltre uno su tre contro il 13 per cento dei 35 – 49enni), ottimo tra gli studenti (30 per cento) e tra i laureati (oltre uno su quattro, mentre tra i possessori di sola licenza media cala di più di dieci punti percentuali).

Il dato più netto riguarda tuttavia gli operai: solo l’8 per cento di questi sono orientati a votare il Pd (tra gli imprenditori si sale al 25), un dato che assume ancora più rilevanza se si considera che tra le “tute blu” la Lega arriva a raccogliere il 27,8 per cento dei consensi, più del doppio di quelli raccolti dal Pd sommato ad Articolo Uno, Italia Viva e Sinistra Italiana. Persino il consenso tra gli operai di Fratelli d’Italia, particolarmente forte tra i lavoratori autonomi, è circa il doppio di quello stimato al Pd. Con una semplificazione paradossale si potrebbe affermare che allo stato attuale oggi nel nostro Paese i partiti che sembrano più laburisti siano la Lega e Fratelli d’Italia; proprio quelli che nell’ultima fase storica, già prima delle ondate pandemiche, si sono distinti per la connotazione sovranista.

È una contraddizione solo apparente, perché si innesta su una tendenza persino di lungo periodo, comune a tutto il mondo occidentale, dove in molti casi le proposte anti globalizzazione hanno trovato terreno fertile proprio nella fascia sociale dei lavoratori, specialmente quelli più esposti a incertezza e vulnerabilità: il caso dell’affermazione elettorale di Donald Trump nel 2016 è in questo senso particolarmente emblematico della forza di un messaggio che si è imposto a dispetto della provenienza sociale di chi lo lanciava, e sfruttava. Ritengo che sia questa una delle principali sfide che attendono da subito il Partito Democratico, che deve tornare a essere il partito dei lavoratori e ancora più delle lavoratrici: a partire dalle casalinghe, che stando sempre al sondaggio citato sono per il 23 per cento orientate a votare Lega.

Le necessità e le priorità di chi lavora, di chi un lavoro lo cerca o rischia di perderlo, di chi ha urgenza di riqualificare le proprie competenze devono essere il riferimento di un partito che deve rendersi infrastruttura in una fase di grande cambiamento, affinché i rischi possano diventare opportunità, a cominciare dalle fasce sociali più deboli. In forte connessione con le questioni che riguardano l’ambiente (si pensi al tema della transizione ecologica del sistema economico) e la salute, reciprocamente legate tra loro, come è apparso evidente dalla pandemia. Nessuno deve restare indietro. Quindi il cambiamento necessario e giusto dettato dalla transizione del modello economico deve essere accompagnato dal governo dei processi: territorio per territorio, filiera produttiva per filiera produttiva, distretto per distretto, fabbrica per fabbrica fino ad arrivare a persona per persona. Ognuno va ascoltato, accompagnato e protetto. Così riconosciamo e riconquistiamo l’identità profonda di una forza davvero democratica.

MICHELE FINA