Di Matteo Forciniti

E alla fine il giorno della svolta epocale che in tanti evocavano è arrivato. Quello che pensavamo di non vedere mai, quello che sembrava impossibile è invece successo davvero perché nel calcio come nella vita prima o poi tutto finisce anche se a volte viene difficile fare il passo indietro. Óscar Washington Tabárez non è più il commissario tecnico della nazionale uruguaiana e, inevitabilmente, si apre una nuova era in Uruguay.

Il lungo ciclo alla guida della Celeste è finito nel peggiore dei modi, affossato sotto i colpi delle avversarie sudamericane che hanno strapazzato una squadra spenta e consumata nelle ultime gare del gruppo per le qualificazioni ai Mondiali del Quatar del 2022. Dopo 3 partecipazioni consecutive, la classificazione questa volta è seriamente compromessa dagli ultimi risultati. A questo psicodramma nazionale la Auf, la federazione calcistica uruguaiana, ha detto basta comunicando la propria decisione -dopo il precedente ultimatum- in un caldo venerdì pomeriggio destinato ad entrare nella storia del calcio uruguaiano da oggi orfano di uno dei suoi migliori interpreti su cui pende però quel peccato originale tipico di ogni organizzazione, di ogni istituzione: semplicemente, il non sapersi ritirasi al momento opportuno. Troppo forte è stata la spinta di una parte dell’opinione pubblica che chiedeva da tempo la testa del “Maestro” dopo averlo amato e accompagnato sia nei momenti di gioia e che nelle delusioni del passato. Il tempo però passa per tutti anche e soprattutto per colui che si ritrova a 74 anni traballante con la sindrome di Guillain-Barré che lo ha costretto alle stampelle ma non gli ha impedito di lottare.

Tabárez era il commissario tecnico più longevo al mondo ad essere ancora in attività. Questa lunghissima avventura cominciò nel 1988 per un breve periodo in occasione dei Mondiali di Italia ’90: furono proprio i padroni di casa a eliminare l’Uruguay agli ottavi e sempre in Italia, pochi anni più tardi, l’uruguayo ebbe un’esperienza formativa fondamentale allenando prima il Cagliari e poi brevemente il Milan di Berlusconi con cui era ideologicamente incompatibile. 

Il secondo e molto più significativo periodo alla guida della Celeste è partito nel 2006 per arrivare a raggiungere quasi 16 anni, un’anomalia per i tempi del calcio moderno. La vittoria della Coppa America del 2011 e il quarto posto ai Mondiali del 2010 rappresentano le due più importanti conquiste di questo ciclo da record accompagnato da interpreti straordinari come Forlan, Suarez e Cavani insieme a un collettivo all’apparenza indistruttibile capace di esaltare l’identità nazionale attraverso il calcio.

Alla base di quello che qui viene chiamato il “processo”, c’è stata una rivoluzione silenziosa che ha fatto dei giovani e del gruppo le sue prerogative principali. Ma come tutte le rivoluzioni che prima o poi si affievoliscono sotto l’ombra del potere, anche quella del “Maestro” ha pagato il mancato ricambio generazionale oltre che un pizzico di arroganza mostrato dal suo comandante in guerra contro tutti nella triste parabola discendente con la nave ormai affondata. Un finale davvero immeritevole.