di Sergio Califano

Il prossimo 25 dicembre, di prima mattina molti di noi saranno in cucina, con la tazzina del caffè e forse con la citrosodina. Forse, speriamo. Perché citrosodina significherà aver potuto celebrare la Vigilia con il cenone. Ma in lontananza si odono tamburi di guerra e torna alla memoria il ricordo recentissimo del Natale dell'anno scorso, quando il sacro Cenone diventò Cenino per decreto governativo, quando alla stessa tavola potevano sedere soltanto congiunti/conviventi fino a un massimo di quattro persone, però si faceva un'eccezione per i bambini. Nessuna riunione allargata a familiari e amici e, se ci fossero stati assembramenti domestici, un bravo cittadino avrebbe dovuto telefonare alle forze dell'ordine per denunciare strani e illeciti movimenti umani sul ballatoio, anche in forma anonima ("Pronto, carabinieri? Ho contato 5 persone piene di pacchi e pacchetti che entravano in casa del ragioniere De Luca che abita al quarto piano"). E se andavate a comprare 10 cassatine, il pasticciere di cui siete cliente da una vita vi sussurrava complice e omertoso: "Buon Natale e statevi accorto. Se mi interrogano, vi ho venduto soltanto 4 cassatine, non vi preoccupate". E poi il Cenino con le tende chiuse, poche luci accese e si parlava uno alla volta, a turno, a bassa voce. Perché oltre l'ingresso, sul ballatoio deserto, protetto dall'anonimato di uno spioncino, c'era immobile il geometra Esposito, vedovo e in pensione, che in silenzio e in pigiama scrutava movimenti sospetti. Perché tutti abbiamo sul ballatoio di casa un geometra Esposito in pantofole che non si fa i cazzi suoi. Come erano diverse le vigilie di tanti anni fa, quelle che restano custodite tra le pieghe e le rughe della nostra esistenza decisa oggi dalle varianti del Covid, quando la casa si riempiva di invitati, i ragazzi senza play station e senza smartphone giocavano in corridoio, e c'era il 7° Cavalleria contro gli indiani che erano sempre selvaggi e cattivi e noi avremmo impiegato una vita a capire che le cose non stavano esattamente così. E c'erano i padri, gli zii e qualche nonno, che facevano la parte che gli era stata assegnata, la parte degli uomini di casa, seduti nel salotto buono a fumare col vestito della festa e a parlare di lavoro, di stipendio e di fitto aumentato, di un'ipotesi di televisore da comprare a rate e da piazzare proprio lì dove adesso stava seduto in poltrona zio Gigino che stava dicendo agli altri che una Fiat 600 prima o poi bisognava per forza comprarla, perché senza l'automobile ormai non fai più nulla. E intanto la scena principale, la madre di tutte le scene natalizie, si stava celebrando in cucina, con le donne intorno alla padrona di casa che assegnava i compiti a tutte. E si friggeva l'impossibile e la padrona di casa aveva collocato sul comò le cassatine della pasticceria Daniele al Vomero (e la frase era sempre la stessa "ogni anno che passa, mettono più zucchero e meno ricotta") e nessuno le toccava, e la zia zitella, che stava in tutte le case, come ogni anno aveva il compito di catturare il capitone ribelle e decapitarlo. E c'erano l'insalata russa e quella di rinforzo, che come ogni anno avrebbero vagato tra cucina, camera da pranzo e dispensa fino al momento di finire nella spazzatura. I ragazzi si rincorrevano e Geronimo finalmente era catturato e rinchiuso nello sgabuzzino. E poi la vita è questa, e passano via le madri e i padri e i nonni e le zie killer di capitoni, e va via anche chi non sarebbe dovuto andare. E tutti quei cavalleggeri e apaches hanno capito che gli indiani non avevano poi tutti i torti a stare incazzati perché era stato il 7° Cavalleria che era andato a rompergli le palle a casa loro. E anche questo Natale, comunque vada, non sarà uguale a quei Natale. Perché la vita e la morte sono illogiche e bizzarre. E a tavola ci sembrerà di sentire l'eco di voci lontane e uno sguardo allegro rimasto conservato tra le pieghe delle nostre rughe e forse sorrideremo pure, credendo di sentir friggere un capitone assassinato dalla zia zitella.