di Franco Manzitti

 

A Genova è finita la guerra, spiegano gli osservatori più acuti. La svolta epocale ha visto un gruppo di americani californiani della “777 Partners” acquistare il Genoa Cricket Foot Ball Club, la società di calcio più antica d’Italia, dal joker Enrico Preziosi. Che ne deteneva il pacchetto azionario da 18 anni.

La guerra era la contrapposizione storica tra i tifosi, ed anche un po’ la città, e questo imprenditore di origine avellinese, di grande carriera imprenditoriale. Tra la Brianza, Lugano e la Cina, dove ha costruito il suo impero dei giocattoli. Mai digerito dai tifosi, mai entrato in sintonia con Genova e il suo riservato establishment. Per anni Preziosi è stato anche violentemente contestato dalle truppe dei tifosi, malgrado il merito di avere tenuto il Genoa in serie A per quindici anni consecutivi, record del Dopoguerra.

Lo hanno accusato di ogni malefatta e soprattutto di avere sempre venduto i giocatori più importanti, che con il suo intuito sopraffino comprava nel mondo, per guadagnare con le plusvalenze.

Gli hanno contestato di essere più un mercante che un presidente di calcio. Lo scontro era tale che Preziosi da anni non metteva piede allo stadio di Genova. Si vedeva dal vivo solo le partite in trasferta e visitava la squadra nel centro di Pegli. Dove sono i campi di allenamento e la sede della gloriosa società. Ma che è ben lontano dal cuore della city.

Così, dopo anni, l’arrivo degli americani è stato appunto salutato “come la fine della guerra”. E con loro, l’arrivo dell’allenatore da loro scelto. Una superstar del calcio mondiale, l’ex pallone d’oro Andrey Shevcenko. Ucraino, gentile, campione nel Milan e nel Chelsea, gran trionfatore di campionati e coppe.

E del nuovo presidente, Alberto Zangrillo, il genovese-genoano, celebre per essere il medico personale di Silvio Berlusconi, oltre che il primario di Rianimazione del San Raffaele di Milano,

I tifosi sono impazziti, il mood della città è cambiato anche perché gli americani in visita ufficiale dal sindaco Marco Bucci hanno promesso grandi investimenti non solo nel calcio. Vogliono comprarsi lo storico stadio Luigi Ferraris, il tempio del Genoa (un po’ meno della Sampdoria) e fare altre operazioni in città.

Nonostante la prima sconfitta del nuovo corso contro la Roma dello “special one”, Josè Mourinho. E la quasi disperata situazione della squadra nel campionato in corso. L’entusiasmo non scema e già si pensa a un mercato riparatore di gennaio con decisivi rinforzi, Per evitare che gli americani e Zangrillo esordiscano con una retrocessione, evitata da Preziosi fino all’ultimo.

Ma la guerra che finisce potrebbe non essere solo quella intorno al Genoa, ma più generalmente quella politica, che si combatte tra quel che resta di partiti e movimenti politici. In uno scenario che si sta decomponendo velocemente, attraverso un processo che proprio a Genova ha uno dei suoi epicentri.

Il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, da tempo veleggia verso il centro dello schieramento politico nazionale con il suo movimento “Cambiamo”. E poi con “Coraggio Italia”. Rompendo schemi che ora lo avvicinano a Calenda, a frange di Forza Italia, da lui tradita anni fa e a Renzi.

Il sindaco di Genova, Marco Bucci, sembra seguire quel filo ed accetta l’invito alla Leopolda di Matteo Renzi, insieme con sindaci di altra matrice politica, come Sala di Milano e Nardella di Firenze. “U scindaco cho’ cria”, come lo chiamano, tra grandi applausi ha esposto al pubblico degli Stati generali renziani il cosidetto “modello Genova”. E ha incassato i complimenti per la gestione della città.

Solo un atto dovuto, una cortesia usata per far parlare di Genova su altri scenari, come sostiene qualcuno. Oppure una mossa politica di autonomia dal suo schieramento di centro destra (e anche ultradestra) del sindaco. Che sta preparando la sua seconda campagna elettorale, baciato dai favori del pronostico per il prossimo appuntamento delle comunali genovesi. Ma anche un po’ discusso per la sua posizione di commissario alle Grandi Opere del Pnrrr, incompatibile con la elezione bis?

Bucci ha già annunciato di correre con una sua lista civica. Come dire: vado da solo e i partiti mi appoggino pure per conto loro. Inoltre anche il presidente Toti ha annunciato una sua lista per le comunali, in sostegno a quella del sindaco, sollevando un vespaio. Un’ altra presa di distanza, sopratutto da Lega e Fratelli d’Italia che insistono nella coalizione coesa. Cinque anni fa l’alleanza di ferro portò Bucci a conquistare Genova e con lui la roccaforte rossa che governava la Superba da decenni.

Prima di tutto questo, una transfuga del Pd aveva spalancato la porta a Bucci, annunciando un possibile appoggio renziano al sindaco del centro destra che chiede il bis. È Raffaella Paita, ex pupilla di Claudio Burlando, oggi deputata di Iv e presidente della Commissione Trasporti alla Camera, ex candidata sconfitta da Toti alle Regionali di sei anni fa.

Un gesto che incominciava a profilare un orizzonte diverso: il tentativo di costruire un centro che scavalcasse il muro tradizionale.

E Genova è sempre stata una città di grandi muri in tutta la sua storia politica. Non solo i muri tra Destra e una Sinistra per tanto tempo egemone. La “città più comunista” d’Italia, con il Pci sopra il 40 per cento dei consensi. Ma anche la città divisa dei quartieri politicamente “diversi”. Il Ponente operaio, portuale, postmanifatturiero, con tutte le sue servitù ambientali. E non solo il centro storico, mai recuperato. Spesso miccia di tensioni sociali per immigrazione incontrollata, spaccio di droga, grande sfruttamento della prostituzione.

I quartieri di Levante più ricchi, borghesi, residenzial-balneari, la Circonvallazione a monte, borghese anch’essa. Ma sobria con punte radical chic, nelle cosidette sezioni Pd e post Pci, soprannominate “sezioni cachemire”. Politicamente una città a macchia di leopardo. Dietro ogni muro un colore diverso, rossa Pci, bianca Dc, spruzzate di garofano socialista….

Oggi che la guerra sia finita lo si capisce anche dal fatto che questi confini, già minati dalle ondate successive dei boom prima leghisti, poi grillini. E poi dalla riconversione territoriale del Pd sono saltati. Alle ultime elezioni questi democrat hanno preso il loro pieno di voti nei quartieri più “borghesi” , Castelletto e Albaro….

Il nuovo centro in costruzione, con la tenaglia Renzi-Bucci da una parte e Toti dall’altra, non considera più le differenze territoriali che erano anche ideologiche.

La Lega, che aveva conquistato quel Ponente spesso definito in qualche parte la Stalingrado di Genova, potrebbe vederselo rimangiare da quella parte di elettorato stufo di estremismi, sia di sinistra che di destra.

Ma insomma la guerra finita, secondo gli schemi storici di contrapposizione dentro ai confini classici della città, indica che una nuova mappa si sta disegnando. E non è un caso che chi la traccia per primo è un sindaco-manager, apolitico per definizione e magari oggi più politico degli altri. Scelto cinque anni fa dalla Lega, civico al 200 per cento.

Renzi è stato veloce a cogliere il segnale genovese e a cercare di metterci il capello sopra, con l’invito a Firenze di Marco Bucci.

E tornando in città dall’assemblea della Leopolda, a cosa si è dedicato il sindaco? Eravamo alla vigilia della prima partita del nuovo corso genoano e in città c’erano gli americani neo acquirenti.

Bucci ha fatto loro da Cicerone, mostrando le bellezze genovesi, chiese, piazze, caruggi, con il suo slang yankee, ben sviluppato in 25 anni di vita negli United States.

Enrico Preziosi il naso nei caruggi, guidato da chicchesia, altro che da un sindaco, non ce lo aveva mai messo. E si vantava di non avere mai fatto una doccia in città. Ora chissà quali grandi operazioni gli americani intendono fare nella ex Superba, al di là e oltre il calcio? Non ci sono più confini.