di Ugo Magri

Una volta, qualunque cosa facesse, Silvio Berlusconi veniva sopravvalutato. C’era l’abitudine di esasperarne pregi e difetti come se il mondo gli ruotasse intorno. Ora invece domina la tendenza opposta a sottostimarlo, quasi che per effetto dell’età il temibile Caimano sia retrocesso a simpatico lucertolone; non era così feroce prima (lo riconosce perfino Giuseppe Conte), tantomeno è diventato innocuo adesso. Rimane in grado di fare parecchio danno, e la corsa al Quirinale gliene offre una fantastica occasione. Anche se difficilmente verrà eletto, la sua voglia di farsi largo non resterà priva di conseguenze. L’uomo ha un piano presidenziale che sarebbe sciocco liquidare, superficialmente, con qualche risata.

Il piano di Berlusconi consiste nel farsi un gruzzoletto di voti tra gli ex grillini, una trentina almeno; li sta intortando con la promessa di seggi sicuri che, alle prossime elezioni, non sarà in grado di garantire nemmeno agli amici di una vita, figurarsi a questi scappati di casa che tuttavia, in preda alla disperazione, e non avendo mai avuto a che fare direttamente con un vero tycoon, ci cascheranno ugualmente; una volta che sarà certo di averli in tasca, non prima, Berlusconi inviterà a pranzo Matteo Salvini e Giorgia Meloni per dare loro notizia. Più o meno dirà: “Questi 30-40 miei sostenitori, sommati ai 480 del nostro schieramento su cui non nutro dubbi, permetteranno di raggiungere il quorum che dal quarto scrutinio in poi crollerà a 505 voti. Dunque avremo la possibilità, per la prima volta nella storia della Repubblica, di eleggere un presidente di centro-destra, che modestamente sarei io. A questo punto voglio sapere se mi sosterrete o meno”.

Messa in questi termini la risposta è scontata. Quei due dovranno dirgli di sì. E per quanti dubbi possano avere su tutta l’operazione, saranno costretti a dargli quantomeno la chance di fare un tentativo. La malizia del piano consiste nel cimentarsi solo alla quarta votazione, non prima, saltando a pie’ pari le prime tre con la banale scusa che il quorum (altissimo) sarebbe irraggiungibile. Ma il motivo vero è un altro. Presentandosi fin dall’inizio come candidato di bandiera, Berlusconi verrebbe impallinato dalle frotte di dissidenti che si annidano nei Fratelli d’Italia, nella Lega, perfino nel suo partito; tutti personaggi che, diversamente dagli ex grillini, hanno imparato a conoscerlo fin troppo bene. Farebbe dunque una pessima figura; e una volta accertato che non non raggiungerebbe il quorum nemmeno alla quarta votazione, tanto Giorgia quanto Matteo potrebbero dirgli con tono dispiaciuto: “Grazie per il generoso tentativo, ma è andata male; adesso rimettiti in riga”. Fine del sogno, addio rivincita di una vita. Ecco perché il Cav manovra per non farsi lanciare all’inizio e per tenere nascoste le carte in attesa della quarta votazione, sperando nell’ultimo magistrale bluff della sua carriera. Se fallisse cadrebbe in depressione, come altre volte gli è capitato, e chiuderebbe con la politica. Se invece dovesse farcela chiuderebbe il partito perché da presidente della Repubblica non potrebbe dedicarsi a Forza Italia, semmai all’Italia, e scatterebbe il fuggi fuggi generale. Ma in ogni caso - perfino di un fiasco - il piano berlusconiano condizionerà la corsa al Quirinale.

Prima conseguenza: Berlusconi ostacolerà qualunque larga intesa con la stessa grinta del cane dell’ortolano, che non mangia l’insalata ma non la lascia gustare agli altri. Marcherà stretto Salvini & Meloni, sapendo che loro preferirebbero di gran lunga qualcuno come Draghi, capace di portarli al voto tenendo buoni i mercati, i creditori e lo spread mentre con Silvio presidente succederebbe la qualsiasi, al di là di ogni immaginazione. Secondo effetto: fino a quando lui non si sarà rassegnato, è escluso che Draghi possa farsi acclamare come era accaduto a qualche predecessore (l’ultimo fu Carlo Azeglio Ciampi).

Perfino se Meloni e Salvini rompessero il patto col Cavaliere, Super Mario non avrebbe la certezza di raggiungere i 674 voti inizialmente richiesti. Rischierebbe (politicamente) l’osso del collo. Potrebbe ragionevolmente provarci dalla quinta votazione in poi. Però a quel punto (ultima conseguenza della legittima ambizione berlusconiana) il clima politico si sarà guastato tra scontri frontali, accuse di compravendite e sospetti di doppiogioco. Altri candidati scenderanno in pista contando sul quorum abbassato, per non dire di tutti i “peones” i quali, sinistra compresa, tifano Cav sperando che faccia fuori Draghi per poi liquidare anche lui. Previsione finale, speriamo sbagliata: Silvio se ne tornerà ad Arcore con la coda tra le gambe, ma lasciandosi alle spalle macerie fumanti; riallacciare i fili delle larghe intese sarà mille volte più complicato; francamente non se ne sentiva il bisogno.