"Passato, presente e futuro dell'emigrazione italiana nel mondo". Questo il titolo del dibattito tra Consiglieri del Cgie, politici e ospiti che ha chiuso poco fa a Roma la 44° Assemblea Plenaria del Consiglio Generale degli Italiani all'Estero. Occasione, questa, per celebrare il trentennale dell'insediamento del Consiglio.

Moderato dal Segretario del Cgie, Michele Schiavone, il dibattito si è centrato su quello che è stata l'esperienza della rappresentanza degli italiani emigrati, su quello che è successo negli ultimi tempi, in particolare con la "disastrosa" partecipazione al rinnovo dei Comites, fino ad arrivare a diverse proposte e modi di vedere il Cgie del domani, in un mondo, quello dell'emigrazione italiana, in attuale crisi e in continua evoluzione.

Ad aprire le danze con gli interventi, Gianni Farina, ex deputato del Pd ed ex consigliere del Cgie, che ha ripercorso la storia non solo dell'emigrazione, ma anche e soprattutto dell'organismo che la rappresenta. A partire dal fatidico 1991, evocato a più riprese da tanti dei partecipanti al dibattito. Un 1991 particolarmente denso, in quanto "approdo di un lungo processo storico iniziato dopo l'unità d'Italia, proseguita dopo la seconda guerra mondiale e dopo l'esodo degli italiani in cerca di un futuro migliore". E per Farina "noi siamo figli di quel processo storico", ma non solo. Il Cgie è infatti figlio anche dei diversi drammi che ha voluto ricordare, primo fra tutti Marcinelle, che ha imposto un "impegno collettivo per definire il ruolo degli emigrati nell'Italia democratica". "Sogni, utopie, voglia di contare": questo ha spinto alla creazione di un organo di rappresentanza, secondo Farina. E la "prima esperienza del nostro Cgie fu contraddistinta da una crescita, nel 1991, in ogni campo del riconoscimento del nostro ruolo. In quell'anno provai gioia e paura". Ma arrivando al presente, l'ex deputato Pd vede "un fallimento di un sogno": la "noncuranza, con eccezioni, con cui venimmo accolti dagli eletti in Italia, e la nostra incapacità rappresenta un fallimento, plasticamente rappresentato 30 anni dopo dall'attuale taglio dei parlamentari e dall'insignificante partecipazione all'elezione dei Comites". Quanto è accaduto nell'ultimo periodo, infatti, spiega come "la fiammella della speranza del riconoscimento della diaspora italiana si stia spegnendo". Arrivando al domani, infine, Farina si è anche detto comunque speranzoso di "un futuro migliore, in modo che la nostra storia non sia ritenuta vana".

È poi intervenuta Filomena Narducci, ex consigliera Cgie arrivata da Montevideo: anche lei è partita dal 1991, una "stagione di conquiste, di solidarietà", anche rispetto alla questione di genere, che lei ha particolarmente rimarcato rispetto alle grandi crisi che hanno colpito il Sudamerica nel 2002. Oggi, invece, "i tempi che viviamo sono sempre più difficili, e non solo per la Pandemia, ma soprattutto per i continui tagli effettuati ai nostri diritti di cittadinanza". E "le recenti elezioni dei comites ne sono una prova". Il dovere dello Stato, secondo Narducci, "è mettere i cittadini in condizioni di votare. In tutte le elezioni, non solo alle politiche". Quella dei Comites dello scorso 3 dicembre, è stata secondo lei "una messinscena di quello che doveva essere un appuntamento serio. Si dirà che è stato rinnovato, ma non è così. Con questi esigui risultati, la rappresentanza viene messa in discussione". Per questo, pensando al domani, i Comites devono essere, secondo lei riformati. Così come devono essere migliorati i servizi consolari. "Non siamo contrari all'uso della tecnologia, ma non accettiamo la disumanizzazione dell'incontro con i consolati". "Mantenere viva la memoria - ha concluso - è importante. Così come capire cosa è successo nel passato per migliorare il futuro".

È poi intervenuto Tommaso Conte, anche lui ex consigliere del Cgie nonché presidente uscente del Comites di Stoccarda, che ha "messo da parte la poesia" per parlare di cose pratiche. E lo ha fatto tramite una domanda: perché un italiano residente a Stoccarda nel 1991 avrebbe dovuto votare alle elezioni Comites delle settimane scorse? Ha ricordato come nel 1991 "non c'era prenotazione per i servizi consolari, si otteneva il passaporto a vista, c'era molto più personale. Per questo non dobbiamo meravigliarci se le elezioni sono state un fallimento, ha votato l'1,33% degli aventi diritto in Germania. Questa percentuale va oltre una Waterloo, non basta il disinteresse" a spiegarne l'insuccesso. "Sarebbe opportuno chiedersi se la natura di questi comitati sono in crisi. E sarebbe anche legittimo speculare sulle tante cause che hanno condannato a morte questi tanti Comites prima ancora del loro insediamento".

Secondo Conte "nessuno può asserire che non se lo aspettava, perché Comites e Cgie avevano avvertito. Il Maeci ha attuato la politica dello struzzo. Nessuno, ad ora, neanche i parlamentari all'estero, ha avuto il coraggio di dire che è stata la più grande sconfitta dell'organismo. E bisogna constatare anche che il Cgie non ha avuto piglio sulle decisioni". Infine, l'ex consigliere Conte, ha parlato anche di Giovanni Maria De Vita, consigliere della Direzione Generale degli Italiani all'Estero della Farnesina, reo, secondo lui, di aver potuto "stabilire cosa dovevano fare o non fare i Comites, gestendo soldi pubblici come fossero privati".

Le questioni degli italiani all'estero, a suo parere, "sono state gestite da Luigi Maria Vignali", Direttore Generale della Direzione Generale degli Italiani all'Estero, "in maniera più autocratica possibile". E "gli eletti all'estero hanno perso aderenza con la loro base elettorale". Dunque, concludendo il suo duro intervento, Conte ha sottolineato come sia "venuto meno il sistema piramidale al servizio della collettività dell'emigrazione. La legge sui Comites deve essere riformulata, che deve vedere consoli e ambasciatori vincolati dalle decisioni dei Comites, una riforma che renda i comites degli organismi che misuri l'efficienza dei Consolati". "Il Cgie deve uscire dal Maeci" ha proposto Conte. E inoltre deve "avere una voce tangibile sulle politiche che abbiano in oggetto gli italiani all'estero. Sono richieste esagerate? Il futuro ci darà risposta", ha concluso.

È poi intervenuta Silvana Mangione, decana del Cgie nonché attuale vicepresidente per i Paesi Anglofoni, che ha parlato delle sue emozioni del 1991, durante la prima riunione del Cgie, che è "figlio nostro". Il presente è questo, secondo Mangione: "abbiamo un Segretario Generale eccezionale, che ha organizzato oltre 300 videoconferenze, e l'assemblea di domani che non si svolgeva da anni". Il futuro, dunque: la questione degli italiani all'estero deve diventare "una questione nazionale", che deve lasciare il passo a "una coperta sempre più corta" dell'attualità.

"Il mondo degli italiani all'estero siamo tutti (e non solo i cervelli in fuga). Anche le fasce più in pericolo dell'emigrazione, che comprende anche gli italo-discendenti e quella dell'emigrazione dei pensionati, o i nati all'estero, o quelli che non si iscrivono all'AIRE (che sono 1,5 milioni di persone)". Ma il futuro è anche "ricostruire un'opinione pubblica per la quale noi non siamo più il "diverso". Noi siamo la ventunesima Regione italiana. Siamo 6,5 milioni di cittadini italiani sparsi in tutte le steppe del mondo e siamo una parte importante dell'intera Italia. E la nostra capacità d'amore è quella che sta infettando d'Italia tutti i paesi nel mondo. Noi facciamo vivere l'Italia nel mondo". Inoltre, ha parlato anche del rapporto con la rete diplomatico-consolare ("la migliore del mondo" secondo lei). "Ogni tanto ci scontriamo, ma dobbiamo smetterla, perché siamo entrambi bravi". Infine, ha puntato per il futuro una grande "riforma della cultura", argomento cardine per il domani del Cgie, nella sua idea. "Ricominciamo a lavorare insieme con lo stesso amore e rispetto degli uni verso gli altri, a qualunque livello di emigrazione, per ricostruire l'idea di squadra che noi avevamo all'inizio", ha concluso Mangione.

Elio Carozza, ex Segretario Generale del Cgie, non ha nascosto l'emozione per l'occasione. "Da ottimista - ha detto -, vorrei cercare di dare un'idea sul futuro della rappresentanza degli italiani all'estero, ma le ultime elezioni sono una conferma di quelle precedenti". Carozza si è detto d'accordo, dunque, con le parole di Tommaso Conte: "è un fallimento totale. Ma non dobbiamo reagire così. Tocca a noi, agli italiani all'estero e ai suoi organismi, capire dove e come mantenere la rappresentanza. Di tutto si può discutere tranne che di toglierla. E i parlamentari all'estero erano la conclusione di quella rappresentanza che alla base aveva i Comites. Nella scorsa consiliatura non siamo stati capaci di valorizzare di più il Cgie e far capire agli eletti all'estero che eravamo un tutto e un insieme. Avremmo dovuto lavorare per questo". Ma nell'attualità mancano due elementi che nel 1991 davano forza e impulso alle istanze del Cgie e degli italiani all'estero in generale: "l'entusiasmo" e la "raccolta delle forze politiche che avevano proprie quelle battaglie". Per quello 30 anni fa "fu un successo".

Oggi è più complicato anche se Carozza vuole "credere ancora, sono ottimista: l'Italia non può non tenere conto della presenza di milioni di italiani nel mondo. Non possono essere messi da parte dalla politica i milioni di italiani nel globo. Sono convinto che Stato, Regioni, Province e italiani all'estero hanno tutto l'interesse a mantenere un rapporto". Però bisogna cambiare qualcosa, secondo Carozza, e non poco, perché le istanze sembrano essere rimaste immutate nel tempo: "rileggendo i documenti finali delle iniziative di quando ero segretario generale, come la conferenza sulle donne, quella sui giovani e quello sull'Europa in Movimento, sono ancora estremamente attuali", mentre l'emigrazione è cambiata. "Dobbiamo ripartire dalla realtà dei fatti, essere più pragmatici, pensare più al ruolo di Comites e Cgie piuttosto che mantenerci in vita. Oggi è ancora più difficile, perché mancano entusiasmo e rappresentanza politica. Come ex segretario generale abbiamo assecondato l'amministrazione, invece di valorizzare il ruolo politico del Cgie. Siamo caduti in questo errore: ci siamo impantanati nei buoni rapporti con l'amministrazione. Ripartiamo dai fatti salienti che il Cgie è riuscito a produrre: mi auguro che il Cgie possa riaccendere la passione".

Anche Franco Siddi, ex consigliere Cgie e rappresentante della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ha ribadito l'importanza degli italiani all'estero, che spesso e volentieri, stando lontano dall'Italia, si sentono ancora "più italiani di chi vive in Italia, e spesso sono impegnati a vederla crescere" più di quanto non faccia chi risiede nello Stivale. Per questo, in questi 30 anni "questo organismo ha dei meriti, ha registrato successi e a volte ha vissuto nell'impossibilità di ottenere risultati. Il problema è perennemente aperto. In Italia si fa tutto a piccoli passi mentre il mondo viaggia rapido. L'esperienza della pandemia ha dimostrato come la lontananza possa diventare anche vicinanza. Questa grande potenzialità, il Cgie l'ha espressa già prima dell'era tecnologica. L'Italianità ha diritto della sua rappresentanza, ormai è un fatto. Dopodiché ci sono problemi enormi, specie per capire se si è pienamente cittadini e specie se si è informati. E il sistema informativo italiano sull'estero è carente". 

È poi intervenuta la deputata del Pd eletta in Centro e Nord America, Francesca La Marca, che ha ringraziato il Cgie per l'impegno di questi anni. "In un mondo di risultati, punterei sugli sforzi", ha spiegato in apertura del suo intervento. "Continuo a vivere l'impegno per gli italiani all'estero, ma a proposito di risultati devo dire: lavoro parlamentare vuol dire lavorare dietro le quinte. E prendo sul serio il mio lavoro, cercando di capire perché i servizi consolari sono carenti, e lo so che lo sono". E a proposito dei "disastrosi" risultati partecipativi delle elezioni dei Comites, ha spiegato: "solo il Pd si è pronunciato per il rinvio delle elezioni del Comites, come richiesto dal Cgie". Questi risultati rappresentano, secondo lei, una "crisi esistenziale". Però, ha detto rivolgendosi ai consiglieri in sala, "voi Cgie ci dovete informare. Responsabilità ne abbiamo avute noi, ma ne avete avute anche voi. Dobbiamo comunicare meglio, soprattutto alla luce del taglio dei parlamentari". Ora, riguardo al futuro, ha dichiarato: "archiviamo i disastri delle elezioni. Ora è importante fare questa riforma, di Comites e Cgie, perché dobbiamo essere rilevanti e marciare nella stessa direzione. In modo da contare anche in Italia".

L'intervento di Claudio Micheloni, ex Senatore del Pd e consigliere del Cgie, nonché ex presidente delle Colonie Libere Italiane in Svizzera, si è basato su una domanda esemplificativa: perché gli italiani dovrebbero votare i comites dopo 30 anni che i servizi non hanno fatto altro che peggiorare? E la risposta è eloquente ma chiara: "non abbiamo fallito". Però c'è un però: "dobbiamo prendere atto che siamo alla fine di un passaggio storico - ha spiegato -. Non possiamo vivere questo passaggio come un qualcosa di cattivo e doloroso. Perché se ho difficoltà a spiegare le nostre tematiche ai nostri figli nati all'estero, vuol dire che abbiamo fatto un buon lavoro, perché si sono integrati in altri Paesi. Noi non abbiamo fallito, con loro, ma non siamo riusciti e non riusciamo a costruire una rappresentanza per loro in Italia. Ogni volta che parliamo di rappresentanza non riusciamo a uscire dalla nostra logica in cui ci siamo incastrati per anni. Dovremmo cambiare linguaggio, cambiare proposta. Dobbiamo mettere subito in prima linea la cultura. Da quella scenderà anche un interesse e un impegno verso l'Italia nei nostri figli".

Riguardo ai comites e a come si sono evoluti nel tempo, ha spiegato che questi, ad oggi, "non possono muoversi come associazioni. È un organo di rappresentanza, e non possono prendersi fondi dal Governo italiano". Anche lui, riflettendo sul futuro, si è concentrato sulla crisi della rappresentanza dell'emigrazione italiana, partendo dalla pessima partecipazione al voto del 3 dicembre per il rinnovo dei comites e parlando di uno "svuotamento" chiaro e palpabile della rappresentanza estera. Uno svuotamento che qualcuno "ha voluto". Tanto che ora "svuoteranno anche il voto all'estero, che sarà rappresentato solo da politici residenti in Italia e non più da politici residenti all'estero. Questo è il disegno che abbiamo davanti per il futuro".

Avviandosi verso la conclusione, è intervenuto anche Vincenzo Arcobelli, consigliere del Cgie, che ha anche lui parlato di passato e futuro: "i Comites fino a qualche anno fa eseguivano una relazione annuale sull'attività del consolato di riferimento. Questo non è controllo, ma un monitoraggio serio, sempre nel senso più ampio della più fattiva collaborazione". Arcobelli, dunque, propone di tornare a questa relazione. Ma c'è un "problema politico rispetto alle riforme. La responsabilità tecnica è della politica". Parlando poi del futuro, a suo parere è urgente "una modifica della legge istitutiva del Cgie", poiché il "Comitato di Presidenza non può comandare su tutto". E rivolgendosi al Segretario Generale Schiavone, ha detto "avete gestito in maniera di parte il CDP". Ma comunque, ha evidenziato il Consigliere Cgie per il nord America in conclusione, "continuerò a vedere con ottimismo il futuro, con lealtà e spirito di servizio verso il nostro paese e verso il nostro organismo".

Schiavone, rispondendo ad Arcobelli, ha spiegato: "il CDP non deve rimproverarsi di nulla. Abbiamo lavorato giorno e notte per rispondere alle esigenze dei consiglieri. Abbiamo organizzato 300 e più videoconferenze con loro. Abbiamo bisogno di guardare al futuro rinnovando il regolamento, è vero, ma credo che abbiamo bisogno anche di rispetto per i ruoli. Non c'è mai stato auto-decisionismo in questa segreteria". (l.m.\aise)