di Maurizio Guandalini

Sì, lo sciopero del 16 dicembre sul fisco non è proprio il massimo per la più grande organizzazione sindacale del Paese. Possibile che Landini si esponga insieme alla Cgil nell'uso di uno sciopero per qualche detrazione in più? E con il rischio, così, di rendersi ancor ultroneo e antico nel maneggiare nuove e incisive questioni che quelle sì condizionerebbero la vita dei lavoratori?

Un esempio: non crede Landini che il servo muto del recovery richieda all'Italia la dotazione di un piano industriale, da qui a venti anni, almeno per sapere che fare, con chi e dove andare. Allargare gli orizzonti toccando i punti nevralgici che stanno danneggiando soprattutto chi sta peggio. È la discussione sulla transizione ecologica a fronte dell'aumento si dice temporaneo delle bollette.

Ma per esempio l'auto elettrica per tutti nel giro di dieci anni, il sindacato che ne pensa. Chi soccorrerà le tasche dei cittadini obbligati ad acquistare auto a prezzi proibitivi? E sulla direttiva Ue che vuole vietare dal 2033 la vendita o l'affitto delle case che sprecano energia? Un colpo fatale al nostro mercato, ai piccoli risparmiatori, peccato che a dirlo è solo l'economista Giulio Sapelli che qualche esperienza sindacale prima di quella di professore universitario, proprio nella Cgil, c'è marcata traccia negli anni trascorsi. Su queste materie, ne sono certo, Landini spiazzerebbe Draghi, i partiti che lo sostengono e Confindustria perché è evidente che, tolto qualche slogan di passaggio, non sanno da che parte iniziare, dove mettere le mani.

A noi piace il Landini che si espose con la Camusso nel 2013 sulla rappresentatività sindacale e poi nella sfida a Renzi quando l'ex sindaco di Firenze divenne segretario del Pd e poi premier. Lì c'era l'embrione di qualcosa che una volta coltivato poteva crescere (la cosiddetta 'coalizione sociale').

Invece, oggi, ci ritroviamo peggio di allora. Lì c'erano le occasioni, i pilastri per costruire e non dedicarsi solo al rammendo, alla rivendicazione occasionale di qualche spicciolo per uno o per l'altro (o peggio la discussione assurda sul green pass no dei lavoratori che ci ha fatto perdere solo tempo). Prendiamo le dichiarazioni di Landini e Renzi di 6 o 7 anni fa. "Il sindacato è morto se non cambia", scrisse Renzi questa frase di Landini nella sua tradizionale newsletter settimanale. Era il Landini che non aveva in tasca ricette già scritte ma una idea di sviluppo. "Il problema è che la maggior parte del Paese, quella che per vivere deve lavorare, non è rappresentata. C'è un fatto nuovo nel rapporto tra politica e organizzazione sindacale" disse Landini nel 2015 in un'intervista al Fatto Quotidiano. Renzi era quello degli 80 euro, del non si cresce tagliando i salari. E ricordava pure la necessità di riscrivere lo statuto dei lavoratori.

C'era una base di partenza, milioni di lavoratori non rappresentati e i salari già bassi che andavano aumentati. La necessità della politica di approntare un piano strategico di sviluppo e il sindacato parimenti a collaborare rendendosi protagonista della svolta. Volgendo lo sguardo indietro, da allora, di strada non è stata fatta. I salari sono tra i più bassi del mondo, non c'è un piano industriale per l'Italia e i precari, milioni di partite Iva, sono inascoltati, senza alcun statuto dei lavori, arti e mestieri. Nel frattempo è insorta la pandemia che ha divaricato le sorti tra garantiti e non, a partire dagli aiuti economici, è arrivato Draghi con il recovery, tante aspettative, gli aumenti dalla luce alle spazzature e la transizione ecologica arricchita dall'Unione europea con perentori ultimatum, dal fuori corso delle macchine diesel alle case senza valore se non energeticamente efficientate, che suonano tanto quanto altri denari da uscire.

Lo spirito dello sciopero del 16 dicembre è più che legittimo, è vero che la riforma fiscale è nulla più che una rinfrescata amministrativa d'ufficio, ma si tratta di vedere il giorno dopo questo sciopero cosa è risolto. Nulla. Perché manca la sfida. Quella di inchiodare Draghi (protagonista obiettivamente della legge finanziaria, a debito, più semplice da chiudere negli ultimi vent'anni) e i partiti ormai privi di visione.

Landini da quel 2015 poteva incidere, incalzare, chiedere piani industriali, contrattazioni aziendali che prevedessero come in Germania la partecipazione dei lavoratori nei consigli di amministrazione, una risoluzione delle crisi aziendali attraverso di lavoratori proprietari d'imprese.

Oggi avremmo salari più dignitosi e starebbero meglio le piccole partite Iva sollevate da una sostanziale riforma del fisco, quella ci vuole, non qualche detrazione in più. Sostanziale riforma del fisco, l'ho scritto in diversi post, vuol dire alleggerire la burocrazia, insegnare al fisco a comunicare, possibilmente una volta all'anno e non che un povero professionista che raccoglie lavoretti è costretto stare più ore la settimana a davanti al pc a seguire più le scadenze fiscali che lavorare.

La logica ci dice che più facilmente il povero professionista o il rider, da cornuti e mazziati, incapperanno in qualche errore fiscale, con cartelle da pagare. È assurdo poi che si debba ricorrere per ogni ammennicolo al commercialista o a un caf con oneri fuori misura per il contribuente. È vero servirebbe un salto di qualità enorme proprio nel momento in cui i sindacati sono vivi perché hanno i caf ma non credo che il sogno di Landini sia quello di fare il commercialista.