di Alberto Flores d'Arcais

 

In 150 si sono già dichiarati colpevoli, quasi sempre patteggiando per avere la pena più mite. Altri 700 erano o sono in attesa di sentenze e processi e da Capodanno circa un decimo (71) sono stati condannati. É passato un anno dall’assalto a Capitol Hill, quando i sostenitori di Donald Trump - aizzati in piazza dallo stesso presidente uscente - hanno provato a ribaltare la sua sconfitta elettorale con un violento attacco al palazzo del Congresso e alla sede del governo federale che non si era mai visto dalla guerra del 1812 tra Stati Uniti e Gran Bretagna. E un anno dopo l’America prova faticosamente, tra processi, condanne, polemiche, voglia di rivincite e vendette, a tirare le fila del giorno in cui la democrazia ha traballato per davvero.

Sui media e sui social Usa sono migliaia i racconti, i resoconti, le analisi di quanto accaduto nel giorno dell’Epifania 2021. La maggioranza dei rivoltosi “che sembravano andati a una festa popolare”, le centinaia “arrabbiati e violenti pronti a menare le mani contro i giornalisti” e a distruggere “qualsiasi cosa trovassero”, i “gruppi misteriosi pronti ad attuare piani sinistri di insurrezione”. Gente di ogni età, arrivata a Washington da ogni angolo degli States per “dare una lezione ai politicanti”, per difendere “anche con le armi” la vittoria di The Donald che i poteri forti avevano scippato. Un anno fa quattro persone sono morte, circa 140 poliziotti sono stati feriti e quattro agenti si sono in seguito tolti la vita.

Robert Pape, professore di scienze politiche alla University of Chicago, di quello che è oggi ricordato come “il giorno del caos” ha cercato, raccolto e analizzati dati, a partire dalle contee di provenienza dei rivoltosi, quasi tutte in aree degli Usa che negli ultimi anni avevano perso più popolazione bianca. Quando dopo la rivolta ci furono i primi arresti - qualcuno venne fermato all’aeroporto, altri quando erano già tornati a casa - Pape ha iniziato a tracciare sistematicamente il profilo dei rivoltosi, dedicando mesi, insieme a un selezionato team, al Chicago Project on Security and Threats. Progetto che secondo Pape ha dato “risultati inquietanti”. L’obiettivo, ha scritto il professore di Chicago “non era quello di guardare indietro, ma di determinare il rischio della violenza politica nel prossimo futuro, più specificamente in relazione alle elezioni di Midterm del novembre 2022”. Le analisi sulla “insurrezione” si concentrano in genere sul fatto che i rivoltosi fossero motivati da insicurezza finanziaria o da una generica voglia di “violenza antigovernativa” al di là dei risultati elettorali. Per Pape ed i ricercatori di Chicago la prima chiave è stata invece quella di analizzare la nuova violenza politica della destra Usa. Per gli esperti e per i media americani la violenza politica di destra è sempre stata associata alle milizie suprematiste o ai gruppi razzisti skinhead o di milizia. “Questo è effettivamente vero, ma non era vero il 6 gennaio”, spiega Pape. “Quello che ora sappiamo sulla base di un’analisi più sistematica di chi è stato arrestato (il progetto di Chicago ha analizzato i casi di 730 indagati) - è che quanto accaduto l’anno scorso non è il prodotto della sola frangia estremista. C’erano alcuni gruppi di miliziani coinvolti ma nella stragrande maggioranza dei casi, i dati ci dimostrano che erano tipici americani medi, neanche tutti conservatori”.

Nella banca dati del Fbi relativa alle azioni e alla ideologia della destra violenta Usa, i numeri sono chiari. Il 70 per cento degli arrestati sono membri di bande di skinhead, di gang di carcerati o di gruppi di miliziani suprematisti come gli Oath Keepers ed estremisti razzisti come i Proud Boys. Il 6 gennaio solo il 13 per cento di coloro che sono stati arrestati facevano parte di questi gruppi. Quello che ha portato il restante 87 per cento (una maggioranza schiacciante) di ‘americani comuni’ ad attaccare Campidoglio e Congresso non sembra sia stato un motivo economico (“anche se i nostri estremisti di destra sono disoccupati al 25 per cento”) e neanche per la mancanza di istruzione (“solo il 10 per cento degli estremisti di destra ha una laurea”). Perché solo il 7 per cento delle persone arrestate erano disoccupate (in linea con la media nazionale) e più della metà di coloro che sono stati arrestati sono proprietari di imprese, amministratori delegati di aziende di colletti bianchi, medici, avvocati e architetti. Sono diversi anche per l’età. Due terzi degli arrestati hanno più di 34 anni, sono concentrati tra i 40 e i 50 anni, mentre normalmente gli estremisti di destra sono per due terzi sotto i 34 anni. Diversa anche la fedina penale. Se circa il 70 per cento degli estremisti di destra nella banca dati Fbi ha precedenti criminali anche gravi, solo il 30 per cento degli arrestati aveva precedenti penali, per lo più per reati minori come detenzione di marijuana (che in diversi Stati Usa è ormai legalizzata).

Uno dei dati fondamentali della ricerca è quello sulle contee di residenza. Il 52 per cento degli arrestati proviene da contee in cui Biden ha vinto le elezioni del 2020, vengono da San Francisco, Los Angeles, Chicago, New York City - non dallo stato di New York - Philadelphia, Houston, Dallas: “Sono una minoranza politica nei luoghi in cui vivono. Questo è davvero sorprendente. Più la contea vota per Trump, meno è probabile che la contea abbia inviato un ‘insurrezionalista’. La caratteristica numero uno della contea che invia insorti, a parte semplicemente la dimensione della popolazione complessiva, è che queste sono le contee che perdono più popolazione bianca negli Stati Uniti”.

Una delle teorie del complotto più in voga nella destra Usa è quella chiamata “la grande sostituzione”, che dice che i bianchi sono stati superati dalle minoranze e che presto non avranno più diritti. Teoria che esiste da molti anni, ma che solo negli ultimi tempi è stata fatta propria dai maggiori leader politici conservatori, da Trump ai Governatori, da senatori e deputati ai sindaci, dai capi della polizia ai giudici locali (che negli Stati Uniti sono eletti come i politici). La conclusione cui arriva il Chicago Project on Security and Threats non tranquillizza: se il movimento ‘insurrezionale’ si concentra per riportare alla Casa Bianca l’ex presidente Donald Trump, potrebbe essere riattivato in più modi non appena inizia la corsa elettorale del 2022. In quel caso non si tratterà più del rischio per un singolo giorno, ma per l’intera stagione.