DI MARCO FERRARI

Ci fu anche un Risorgimento al femminile. La mostra "Anita e le altre. Storie di donne del Risorgimento", in corso a Torino, rende omaggio alla figura di Anita Garibaldi nel bicentenario della nascita, ma anche a quelle donne che lottarono per l'indipendenza e l'unità della penisola. A loro la storia ha concesso poco, ma ebbero un ruolo determinante nel disegno politico, istituzionale e sociale del nascente stato. Nei locali del Museo nazionale del Risorgimento di Torino sino al 20 febbraio viene esaltato un racconto corale in un arco cronologico che muove dal triennio rivoluzionario, percorrendo tutto l'Ottocento. Al centro dell'esposizione figure femminili distanti tra loro, divise da barriere di ceto, educazione, linguaggio in una sinergia di intenti e ruoli. Diciannove le protagoniste: oltre ad Anita, la mostra celebra Luisa Sanfelice, Giulia Colbert Falletti di Barolo, Costanza Alfieri D'Azeglio, Cristina Trivulzio di Belgioioso, Olimpia Rossi Savio, Virginia Oldoini Verasis Contessa di Castiglione, Giuseppa Calcagno, la regina Margherita di Savoia e tante altre. Donne umili o ricchissime, contadine o guerriere, nobili o semplici madri che si muovono una multiformità di luoghi e ambiti: dai balli di corte alla cospirazione clandestina, dalla vita familiare alla solitudine dell'esilio, dal carcere all'impegno intellettuale.

Di Anita Garibaldi, di cui si sono celebrati i 200 anni della nascita, ecco il ritratto originale dipinto "dal vero" a Montevideo nel 1845 dal pittore Gaetano Gallino, una tela conservata nel Museo del Risorgimento di Milano che svelta l'autentico volto della donna. Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva (Morrinhos, 30 agosto 1821 – Mandriole di Ravenna, 4 agosto 1849), è stata una rivoluzionaria, infermiera, combattente, prigioniera, amazzone, ribelle, moglie, madre virtuosa e martire: una figura entrata nella mitografia garibaldina, simbolo dell'internazionalismo delle camicie rosse. Oltre al suo ritratto, nel Corridoio della Camera Italiana sono esposti dipinti, stampe, fotografie dalle collezioni del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, del Museo Glauco Lombardi di Parma, dell'Opera Barolo di Torino, del Castello di Masino e del Museo del Risorgimento di Milano da cui, oltre al ritratto di Gallino, giunse l'opera "Anita morente" di Pietro Bouvier che rappresenta l'ultimo istante di vita dell'eroina, abbandonata nelle braccia di Giuseppe Garibaldi. Anita nacque in Brasile, a Morrinhos, una frazione di Laguna nello Stato di Santa Catarina, figlia del mandriano Bento Ribeiro da Silva, detto "Bentòn", e di Maria Antonia de Jesus Antunes. La coppia ebbe tre figlie e tre figli. La bambina fu battezzata Ana e chiamata in famiglia Aninha. Sarà Garibaldi ad attribuirle il diminutivo spagnolo Anita.

 

Dopo che la famiglia si trasferì a Laguna, nel 1834, in pochi mesi morirono il padre e i tre figli maschi. La ragazza imparò presto a cavalcare e ad assumere un atteggiamento spavaldo. Fu suo zio Antonio a inculcarle un'ideologia di giustizia sociale in un Brasile governato dal pugno duro dell'impero. La madre le impose di sposare Manuel Duarte de Aguiar, un uomo molto più grande di lei. Il matrimonio avvenne il 30 agosto 1835, il giorno stesso in cui la giovane compiva quattordici anni. A cambiare la sua esistenza fu l'incontro con l'Eroe dei Due Mondi il 22 luglio 1839 nella famosa rivolta degli straccioni. Quando i rivoluzionari conquistarono momentaneamente la città, gran parte degli abitanti di Laguna si recò in chiesa per intonare un "Te Deum" di ringraziamento al Signore. Lì c'era Garibaldi assieme agli altri protagonisti della rivoluzione. Il giorno seguente i due si incontrarono nuovamente e lui la fissò intensamente dicendole in italiano: "Devi essere mia". Una frase che legò per sempre la donna al rivoluzionario ligure. 

 

Oltre Anita, ecco una figura poco conosciuta del Risorgimento, Rosalia Montmasson (Saint-Jorioz, Alta Savoia, 12 gennaio 1823 – Roma, 10 novembre 1904), unica donna che fece parte della Spedizione dei Mille distinguendosi per coraggio e dedizione verso i feriti, tanto da essere definita "l'Angelo dei Mille". Incontrò Francesco Crispi a Marsiglia nel 1849, lo seguì nell'esilio di città in città, Torino, Parigi, Londra, si sposarono in una frettolosa cerimonia religiosa a Malta con un prete girovago. Poi lei divenne, per volere di Mazzini, un elemento essenziale della cospirazione: non esitò a mettere a repentaglio la propria vita per salvarne altre, rischiò l'arresto e la prigione passando frontiere e posti di blocco, portò in giro bombe e messaggi, sorrisi e rassicurazioni, tanto che Garibaldi ne lodò il coraggio e la dedizione alla causa nazionale. Ma, una volta raggiunta l'agiatezza, venne ripudiata dallo statista che si sposò con Lina Barbagallo. Accusato di bigamia, il siciliano si difese, vinse la causa che di fatto annullava il matrimonio con Rosalia. Lei fu costretta al silenzio, esiliata nella solitudine di una Roma che non la riconosceva come un'eroina della patria. In vecchiaia ripresero gli incontri tra lei e Crispi sorretti da lunghi silenzi in cui non venne mai a galla la verità su quel rapporto interrotto dopo 25 anni di vita insieme, lotte e fughe, guerre e successi politici. Lo statista, intanto, sopportava le umiliazioni a cui lo sottoponeva la nuova consorte. Rosalia tenne fede al silenzio sino alla fine, come una partigiana che ancora faceva parte di quel mondo che, dalla clandestinità era giunto al potere nel nuovo regno. Morì in solitudine, assistita dal nipote e fu seppellita al Verano in una modesta tomba messa a disposizione dal Comune. Di lei resta una sola statua, un mezzobusto commissionato a Salvatore Grita, ora esposto nell'atrio del comune di Pisa.

Se tra i milleottantanove volontari che sbarcarono a Marsala risultava solo la trentottenne Rosalia Montmasson, a Calatafimi combatterono altre due garibaldine, Lina e Marzia. A raccontarlo svelarlo è lo stesso Garibaldi nel libro "I Mille" uscito nel 1874. Il generale rivela che nella truppa comparivano due figure di «squisita bellezza», una bionda e l'altro bruna. «I contorni dei loro fianchi però» scrive «accusavano, più d'alcune svolazzanti treccie, qualche cosa esclusiva del sesso gentile.» Ecco la verità: «Nel turbinìo dell'assalto, della fuga, e della persecuzione, io vidi avvolgersi sempre fra i primi le due incantevoli creature. E per un momento trasportato dal calore della pugna, e dal fascino della bellezza, mi sembrò d'esser lanciato in quei tempi eroici ove i genii e le dee presiedevano agli eventi delle battaglie. Le due eroine, giacchè le conosciamo donne, avevano perduto nella mischia i loro fez e turbanti; dimodochè una capigliatura d'oro ed una d'ebano avean per un momento svolazzato sull'altipiano del Pianto del Romani. Esse indispettite d'essere state svelate, misero le ali ai piedi, e perseguirono disperatamente il nemico». La sera, poi, le due ragazze andarono dal generale a chiedere perdono per aver disobbedito all'ordine che impediva alle donne di partecipare alla battaglia. Una era l'esule veneta Tonina Masanello Marinelli che combatté insieme al marito e venne decorata al valor militare con il grado di caporale. Chiamata «la Masanella», dal suo cognome di ragazza, nacque in provincia di Padova e nel 1860 si travestì da soldato, facendosi passare come il fratello minore di suo marito, che si era arruolato per seguire Garibaldi in Sicilia, salendo a bordo del piroscafo Torino con il gruppo del pavese Gaetano Sacchi in quella che è conosciuta come la «quarta spedizione» che sbarcò a Palermo un paio di centinaia di volontari all'indomani del celebre scontro di Milazzo, il più sanguinoso per i garibaldini. La «Masanella» partecipò eroicamente a tutte le battaglie più importanti dell'impresa garibaldina. Dopo la guerra la coppia e la loro figlioletta vissero miseramente sino alla morte di Tonina nel 1862 di tubercolosi. Venne sepolta a San Miniato a Firenze, accanto a Virginia Menotti, la sorella del patriota di Modena, città dove avrebbe voluto riposare, quale sua ultima volontà, anche Ada Corbellini, poetessa che cantò le gesta dei garibaldini («Hanno gli occhi fiammanti, lieta l'alma, prestissimo il piè, ed al suono di bellici canti corron sotto i vessilli del Re») e finì uccisa a soli ventisei anni, da una difterite, e sepolta nel piccolo cimitero di Felino.

Difficile invece individuare la figura di Marzia che potrebbe essere stata Luisa Attendolo Bolognini, che seguì in Sicilia il marito, il capitano garibaldino Biagio Perduca, oppure la giovanissima senese Rosa Strozzi, che aveva invece perso il marito, il capitano Vincenzo Santini, nella difesa della Repubblica romana. Diverse indicazioni ci portano sulle tracce di altre garibaldine impegnate nella conquista dello Stato borbonico. Al Sud si recò anche la trentenne contessa piemontese Maria Martini Giovio della Torre, figlia del conte di Salasco, nota per la sua capacità nel maneggiare la sciabola, che aveva conosciuto Garibaldi sei anni prima a Londra. Si narra che indossasse una tunica, un cappello con le piume, un bel paio di stivali di pelle scura, portando sempre il fodero con la sciabola. 

In rotta con la propria famiglia e con quella del marito seguirà Garibaldi anche in altre imprese, come a Bezzecca nel 1870, finendo poi in cella prima a Parigi per questioni economiche e quindi a Londra, dove si era portata dietro la sua tribù animale composta da una quarantina di capre, ventitré gatti, due cani e un asino. Morirà in una casa di riposo a Mendrisio nel 1914, in una stanza completamente fasciata da drappi rossi. Con lei viaggiava Jessie White, giornalista e infermiera inglese, già protagonista della fallita Repubblica romana, la quale seguirà Garibaldi in cinque campagne militari e nel periodo spezzino in cui era ferito al piede. All'annuncio dello sbarco a Marsala, Jessie White e il marito Alberto Mario salirono a bordo del "Washington" con il generale Medici che trasportò sull'isola una seconda mandata di garibaldini, circa duemilaquattrocento volontari, tra cui molti stranieri (albanesi, serbi, dalmati, istriani, polacchi, ungheresi, russi, francesi, inglesi, canadesi, algerini, turchi, russi e persino indiani). Jessie White consegnò a Garibaldi i soldi raccolti da Lady Shaftesbury con la sua associazione «Signore di Garibaldi» per l'acquisto di ambulanze e medicinali. A lei spettò la direzione degli ospedali napoletani, una volta conquistata la città, con a fianco Antonietta De Pace, direttrice dell'ospedale del Gesù. Nel 1877 scrivendo "La miseria in Napoli" sarà la prima donna a misurarsi con il reportage sociale.

Garibaldi, quando entrò a Napoli il 7 settembre 1860, arrivando in treno da Portici, viaggiava con due donne meridionali, Emma Ferretti, la moglie dell'avvocato Nicola nella cui casa, a Salerno, era attivo il comitato d'azione che riuniva i patrioti campani, e Antonietta De Pace, detta «la passionaria del Sud», che animò le barricate dei moti napoletani del '48 travestita da uomo. A Napoli giunsero anche tre personalità famose: la cinquantenne francese Louise Colet, già amante di Gustave Flaubert, sua musa per Madame Bovary, che scriverà il libro "Naples sous Garibaldi"; la quarantenne baronessa Maria Espérance von Schwartz, che raggiunse Garibaldi a Caserta e che era stata a Caprera tre anni prima; la trentaquatrenne tedesca Elisabeth Ney, la scultrice che nel 1867 all'Esposizione internazionale di Parigi esporrà il busto di Garibaldi, accanto a quello di Bismarck. Tra le donne protagoniste della resistenza napoletana, corsero ad abbracciare e applaudire Garibaldi Marianna De Crescenzo detta «la Sangiovannara»; Raffaella Faucitano, detta «Gigia», moglie di Luigi Settembrini; Enrichetta Ranieri, sorella di Antonio Ranieri, l'amico di Giacomo Leopardi, moglie di Giuseppe Ferrigni; sua figlia Calliope, moglie di Antonio Capecelatro, protagonista dei moti del '48; la filantropa tedesca Giulia Salis Schwabe. Il 9 novembre Garibaldi accompagnò il re a Napoli sotto la pioggia e si imbarcò sul piroscafo americano "Washington" che lo portò a Caprera. L'esercito del Sud era sciolto, dei Mille di Marsala ne erano presenti meno della metà, come racconta il giornale napoletano «L'Indipendente», diretto da Alexandre Dumas, l'autore de "I Tre Moschettieri". Il 5 novembre in una gremita piazza del Plebiscito – che all'epoca si chiamava piazza San Francesco di Paola – Garibaldi si alzò dalla sedia per andare incontro a Madame Crispi ed esclamò a gran voce: «Ella è la sola donna che fosse allora nell'armata e in mezzo al fuoco, e sul campo di battaglia». Un grande gesto di riconoscenza da parte dell'Eroe dei Due Mondo verso Rosalia Montmasson, eroina dimenticata dell'Italia nascente. 

Gaetano Gallino, l'unico a ritrarre dal vivo, a Genova......

Gaetano Gallino (Genova, 11 febbraio 1804 – Genova, 10 ottobre 1884) è stato l'unico pittore a ritrarre dal vivo Anita Garibaldi a Genova. Nato a Genova nel 1804, apprese le prime nozioni dell'arte nella bottega del pittore Santo Tagliafichi e alla Accademia ligustica di belle arti, dove frequentò i corsi di disegno. Seguace di Mazzini, prese parte alle azioni promosse dalla Giovine Italia e, dopo il loro fallimento, forse nel 1833, fu costretto ad emigrare, rifugiandosi a Montevideo. In Uruguay entrò in contatto diretto con Garibaldi, di cui eseguì numerosi ritratti, uno dei quali è conservato al Museo histórico nacional di Montevideo. La serie di ritratti garibaldini iniziò nel 1845 con un ritratto-miniatura di Anita, ora conservato al Museo del Risorgimento di Milano, che, secondo la testimonianza di Ricciotti Garibaldi, è l'unico ritratto autentico della donna. Sembra inoltre che il Gallino sia stato ideatore della divisa garibaldina, la camicia rossa, e della bandiera della Legione, nera con un vulcano al centro. Tra i ritratti dei notabili uruguaiani eseguiti in questo periodo, si ricordano quelli di Don Pedro Pablo de la Sierra e di Don Melchior Pacheco (Montevideo, Museo histórico nacional), oltre al Ritratto di Monica de la Sierra. Nel 1848 rimpatriò e, fino al 1859, compì probabilmente diversi viaggi fra Genova e Montevideo. Nel 1850 si associò alla neonata Società ligure promotrice per le belle arti e in seguito prese parte con ritratti alle mostre organizzate dalla Promotrice (1851, 1855-57, 1859). Dal 1859 al 1864 risulta di nuovo, e stabilmente, in Uruguay, dove proseguì la sua attività di ritrattista forse estendendola anche a Buenos Aires. Nel 1836 partecipò alla fondazione della Giovane Italia uruguaiana e nel 1843, insieme con altri esuli della Legione italiana, prese parte ai combattimenti contro il Brasile in difesa della Repubblica dell'Uruguay. Pittore analitico ed essenziale, nei suoi ultimi anni s'interessò vivamente alle nuove tecniche fotografiche che si andavano affermando, così vicine al suo modo di ritrarre, fino a definirsi "pittore fotografo". Morì ottantenne nella città natale nel 1884.