di Franco Manzitti

 

Che distanza c’è tra il Quirinale e la Lanterna di Genova, la città ex Superba, distesa intorno al suo grande porto, tanto intrigante da  suscitare i commenti storici di personaggi come Francesco Petrarca e più avanti dei grandi viaggiatori dei tour europei, da Dichens fino a Checov che sentenziò di essersi trovato davanti alla più bella città del mondo?

Nei giorni capovolti che hanno seguito l’elezione di Mattarella bis ,la distanza è stata minima, perché la prima scossa di terremoto politico suscitata dalla svolta quirinalizia ha colpito proprio Genova e più precisamente la giunta regionale ligure, da sette anni molto esponenzialmente guidata da Giovanni Toti, l’ex delfino di Berlusconi, diventato super presidente della Regione, ma sopratutto leader nazionale di una nuova formazione “Coraggio Italia”, che conta una trentina di parlamentari e cerca di costruire una nuova formazione di centro, flirtando con Matteo Renzi, con Calenda e con una parte di Forza Italia.

Nel quarto scrutinio per la nomina del presidente della Repubblica,  quando l’ordine di scuderia della Destra era stato quello di confluire sulla vicepresidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati,  i voti di quei centristi, agli ordini di Toti, formalmente allineati con la Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, non sono finiti nel sacco della ambiziosa e un po’ arrampicatrice, signora presidente che, come è noto, si era fermata a 387 voti. Impallinata  dal fuoco dei franchi tiratori della sua molto presunta maggioranza.

Il tradimento non si è fermato lì e non è stato dimenticato quando i grandi elettori sono massicciamente confluiti su Mattarella.

 Il giorno dopo la seconda consacrazione del bi-presidente dalla Lega è partito un siluro diretto a Toti, con una carica imprevista  di polemica. A spararlo Edoardo Rixi, deputato della Lega, ex vice ministro, leader ligure, della cerchia ristretta di Salvini, ma sopratutto antico sodale del presidente Toti, cui aveva gentilmente ceduto il posto di candidato alla presidenza ligure nel 2015, concedendogli, quindi, la possibilità di trasformare non solo la sua carriera , ma anche la sua vita.

“Traditore, quella è stata una pugnalata alle spalle: non votare la Casellati per la quale Salvini si era sprecato, è stata una azione ignobile.” _ Rixi ha aperto il fuoco in questo modo e così la giunta regionale ligure ha incominciato a tremare violentemente e inaspettatamente. 

In una conferenza stampa riunita quasi senza preavviso il consiglio federale ligure della Lega, da una sala detta della “Trasparenza”, ha rincarato la dose, sia per bocca dello stesso Rixi, sia per quella di Francesco Bruzzone, senatore e storico leader leghista della prima ora. 

Di colpo il rapporto all’interno della maggioranza di centro destra, che da sette anni governava non solo Genova, ma quasi tutta la Liguria, dopo una serie di vittorie elettorali a raffica, si è svelato  per quello che era diventato: un matrimonio fallito, pieno di tradimenti. Toti è stato accusato di avere gestito il potere in modo monocratico e assoluto, di avere mantenuto la presidenza, i due assessorati principali, quello vitale della Sanità e quello del Bilancio, e il ruolo nazionale, lavorando per se stesso e meno che mai per la Liguria. 

Per tre giorni di fila la Lega ha intonato un concerto contro il presidente con parecchie voci, compresa quella di Matteo Salvini, il capitano (o l’ex capitano, come lo chiamano adesso) che ha ingiunto al suo vecchio amico, probabilmente oramai ex, di mollare i due assessorati. 

Lo ha chiamato , irridendolo, prima Superman, poi l’Uomo Ragno, in un crescendo inarrestabile.

Toti non ha certo incassato in silenzio, controconvocando una conferenza stampa, prima di sottoporsi alla sua usuale raffica di interviste su molti organi di stampa nazionali e nelle reti televisive (secondo l’Osservatorio di Pavia è il personaggio politico più intervistato d’Italia) . 

“Chi mi accusa in questo modo _ ha incominciato a dire _ lo fa per nascondere i suoi errori. “

 Chiara allusione alla dèbacle quirinalizia di Salvini. Ma poi l’attacco era troppo preciso nel rimarcare i suoi presunti errori nel governo della Liguria, nella gestione della presidenza e dei due asessorati.

In altri tempi un simile scambio avrebbe portato l’immediato crollo della maggioranza nella Regione Liguria. Invece oramai la politica è fatta in un modo tale che la difesa della “carega”, in dialetto genovese “la poltrona”, è più forte di ogni altro obiettivo. E così, mentre le due parti continuavano a scambiarsi cannonate, quasi fossero a bordo di velieri in lotta per restare a galla, in un mare in tempesta (quello della politica terremotata del dopo Quirinale),  nessun rischio di caduta della maggioranza  si è realmente verificato.

Sullo scenario paradossale dello scontro interno tra alleati, legati apparentemente da un vincolo indissolubile, non è nemmeno comparsa l’opposizione di centro sinistra, che avrebbe dovuto approfittare del marasama nella maggioranza. 

Quale occasione più ghiotta per il Pd, per i  5 Stelle e gli alleati della sinistra di Leu, di Linea Condivisa e della lista Sansa, quattro gatti affiliati dall’ex giornalista del “Fatto Quotidiano”, diventato consigliere regionale dopo essere stato sonoramente sconfitto nell’ultima battaglia per la presidenza regionale proprio da Toti, di sfruttare l’occasione, dopo anni di totale sottomissione al potere anche un po’ irridente del centro destra? 

Invece nulla di nulla. In questi giorni in Liguria il centro sinistra è avvoltolato in se stesso in mille spire, perché deve decidere chi sarà il suo candidato alle prossime elezioni per il sindaco, previste in giugno e dal loro punto di vista dedicate a sfidare il supersindaco Marco Bucci, il più amato degli italiani, che fa_guarda caso_ blocco con Toti e lo faceva anche con Rixi.

Invece di infilarsi nella bega che scuote la Destra, questa opposizione non riesce a uscire dalle spire di quella scelta, che avrebbe dovuto essere stata presa da mesi e mesi, se si voleva veramente competere con il suddetto Bucci, primo cittadino, granitico nella versione dei suoi sostenitori e fallimentare, invece, per questa opposizione. 

In questo quadro la contesa che fa esplodere in Liguria il centro destra potrebbe anche spegnersi come un cerino, senza conseguenze, anche se sembra impossibile che Giovanni Toti possa restare presidente, pluri assessore e leader nazionale dei neocentristi.

 Rixi lo ha anche accusato di voler fare il ministro nel prossimo governo, dopo le inevitabili elezioni del 2023, e per di più in una coalizione di centro sinistra. Toti ha spergiurato che lui resterà al suo posto, fino alla scadenza del mandato regionale nel 2025. Ma nessuno ci crede. La politica è l’arte del possibile e dell’impossibile, quindi l’agonia del centro destra, che crolla, ma non vuole cadere, potrebbe protrarsi per mesi, tenuta in piedi_ come dice Salvini da Superman o dall’Uomo Ragno, cioè da Toti.