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Se qualcuno mi avesse chiesto – soltanto pochi mesi fa – la mia opinione sul “metaverso”, non avrei saputo rispondere e avrei consigliato di chiedere ad un poeta, esperto nella metrica dei versi. Oggi ho imparato che il metaverso é qualcosa di differente: é una nuova dimensione che accompagnerá la nostra vita nel futuro. Ma cosa vuol dire “metaverso”? Come molte parole della modernitá, la nuova espressione cerca di legittimare il suo significato nell’antichitá. La preposizione “meta” (μετά) significava per i greci ció che “é oltre”, “qualcosa che si va trasformando”: da questa preposizione, sono nate parole como metafisica, metastasi, metamorfosi, etc. La parola “metaverso” unisce il prefisso con “verso”, come contrazione di “uni-verso”: metaverso é quindi qualcosa che sta oltre, piú in lá dell’universo.

Il 28 ottobre scorso Mark Zuckerberg - CEO di Facebook – annunció in occasione dell’evento Facebook Connect 2021, che la prossima “meta” (usó proprio questa parola per giocare con il suo ambiguo significato) di Facebook sará il mondo virtuale e il gigante tecnologico comincerá a chiamarsi Metaforms: "Tra cinque anni – aggiunse – tutti penseranno in noi come una compagnia metaverso, piú che un rete sociale”. Ma non é stato Zuckerberg a inventare la parola. La visione di un mondo virtuale – il cui cyberspazio si denominava “metaverso” – fu immaginata trent’anni fa dallo scrittore Neal Stephenson nel suo racconto di fantascienza “Snow Crash” (1992): nell’ambiente virtuale immaginato dall’autore vive l’ “avatar” del protagonista, un giovane che consegna pizze e che nel metaverso si trasforma in un principe samurai.

Il metaverso é quindi un cyberspazio dove potremo lavorare, studiare, viaggiare, visitare il supermercato senza muoverci dalla nostra sedia. Ma per farlo dovremo costruirci un “avatar”, cioé un pupazzetto digitale simile a noi e sará lui a interscambiare attivitá con altre persone, anch'esse rappresentate da avatars nel metaverso. A differenza di quanto oggi accade con connessioni via zoom o skype, non ci connetteremo con il nostro viso reale, ma con l’immagine di un avatar costruito a nostra somiglianza. Cosí sará almeno nelle prime tappe del processo tecnologico. Dovremo pensare anche a vestire il nostro avatar: una cravatta o una borsa o scarpe eleganti, che potremo comprare nei negozi digitali posti a nostra disposizione nello spazio del metaverso. O arredare la casa o l’ufficio che costruiremo in questa dimensione fantastica. Credete che mi stia dando di volta il cervello? Macché...

La revista di moda Cosmopolitan ha già annunciato che “la moda e il metaverso cambieranno il nostro guardaroba, che diventerá digitale”: potremo comprare quanto necessario per il nostro avatar e pagare con i cosiddetti NFT (Tokens No Fungibles, in inglese). La fantascienza diventa scienza, ma purtroppo le nuove tecnologie – ne sono convinto – aumenteranno il divario tra le persone altamente competenti e formate e quelle (purtroppo tante), che rimarranno escluse dal necessario processo di educazione necessario per entrare nel metaverso. Di fronte alle grandi decisioni delle multinazionali globali, poco fanno oggi Stati e governi, relegati a subire trasformazioni che non riescono ad arginare o almeno governare. La sfida di tutti é quella di reagire, aprire gli occhi davanti a trasformazioni epocali, che minacciano tutti. Ma non sappiamo come farlo. Temo peró che – trascinati dal desiderio di immergerci nel metaverso - tra non molto tutti cominceremo a costruirci il nostro avatar, senz’altro un po’ piú bello, un po’ piú agile e un po’ più giovanile di noi, proprio como il samurai del pizzaiolo di Stephenson.

JUAN RASO