Festival di Berlino (Depositphotos)

DI MARCO FERRARI

Eravamo abituati alla doppia firma, Paolo e Vittorio Taviani. Ma, da quando nel 2018 Vittorio se ne è andato via per sempre, facendoci dimenticare i suoi bellissimi baffi, il fratello ha deciso di continuare da solo. E così, alla bella età di novant'anni, Paolo Taviani ha portato in concorso al Festival di Berlino la sua solitaria fatica "Leonora Addio". Per il maestro toscano è la quarta volta alla Berlinale, in una manifestazione che in più occasioni lo ha premiato e omaggiato (insieme al defunto fratello Vittorio). L'ultima vittoria è stato l'Orso d'Oro nel 2012 per il film "Cesare deve morire". Adesso ha portato sullo schermo questa nuova pellicola, in uscita nelle sale cinematografiche italiane da oggi, rocambolesca e vera avventura del "viaggio" da Roma ad Agrigento delle ceneri di Luigi Pirandello, custodite nel film dal bravo attore Fabrizio Ferracane.

Venti giorni prima di morire poi, il Premio Nobel per la Letteratura scrisse la novella "Il chiodo"una storia di emigrazione e dolore che trova spazio nella seconda parte della pellicola: il giovane Bastianeddu, strappato in Sicilia dalle braccia della madre e costretto a seguire il padre al di là dell'oceano, non riesce a sanare la ferita che lo spinge a un gesto insensato. Nella novella "Il Chiodo", Pirandello per la prima volta introdusse il senso del tragico in un suo scritto, preferendo abbandonare il grottesco che aiutava a distogliere dal dolore che veniva rappresentato. 

"Questo film – ha spiegato Taviani a Berlino - è ispirato a Pirandello, però né ora e nemmeno prima con Vittorio, abbiamo mai avuto l'intenzione di illustrare Luigi Pirandello. Quando io e Vittorio giriamo un film (in questo caso purtroppo ero solo io) siamo riconoscenti all'autore per questo diciamo: 'Grazie, Pirandello'. Però arrivederci, noi andiamo per la nostra strada! Del resto, la letteratura è una cosa, mentre il cinema è un'altra, ossia è un meccanismo audiovisivo. Quindi sappiamo che tradiremo moltissimo Pirandello, ma siamo sicuri che se lui potesse venire a vedere il film, lo capirebbe e ci darebbe ragione. O almeno lo spero!". 

Sembra che la storia delle ceneri sia uscito dalla penna dello stesso Pirandello, non di Taviani, autore della sceneggiatura, perché è veramente incredibile. Quando il personaggio interpretato da Ferracane perde sul treno la cassa con dentro l'urna e poi la ritrova usata come tavolo per giocare a carte da alcuni uomini e loro gli dicono di stare giocando a "Tre sette con il morto", sembra una battuta del copione, invece andò esattamente così. "Credo che nemmeno la fantasia di Pirandello potesse arrivare a immaginare una cosa del genere" ha commentato il regista pisano.

"Alla storia delle ceneri – ha aggiusto il regista - abbiamo una cosa all'inizio e un'altra alla fine: volevo che il pubblico ricordasse che questo è uno spettacolo perché Pirandello faceva teatro. In questo senso, con un'apertura e una chiusura del genere, non volevo fare cinema, volevo semplicemente rievocare Pirandello e il suo teatro di cui è stato un così grande protagonista". A fare manforte a questo viaggio pirandelliano pesa soprattutto uno degli attori italiani più bravi, Fabrizio Ferracane, che ha tra l'altro una grande intensità teatrale. Con una voce fuori campo, quella di Roberto Herlitzka, la pellicola propone un continuo intrecciare di materiali di repertorio, immagini provenienti da una cinematografia passata eppure così fortemente radicata, caposaldi del neorealismo come "Paisà" di Rossellini o "Il bandito" di Lattuada, passando poi per "L'avventura" di Antonioni, "Estate violenta" di Zurlini e il pirandelliano "Kaos" dei Taviani stessi. Il tutto con uno sfondo di finzione che rielabora in due episodi distinti la vita e l'opera di Pirandello, visto giovanissimo e poi novantenne. Il Premio Nobel ragiona con sguardo libero sul senso della fine, sul "dolce della gloria" e sul dolore, su quanto è costata l'emigrazione, sulle nostre radici, su quello che rimane di un uomo, di un grande artista, una volta che non ci sarà più.

Il film sposa il tono paradossale di Pirandello, riguardante le proprie ceneri nel bianco e nero di Leonora, e quindi si tramuta in colore caldo grazie ai due i direttori della fotografia, Paolo Carnera e Simone Zampagni, per ricostruire il fatto di cronaca che lo scrittore restituì nel suo ultimo racconto. Così, dalla natia Sicilia eccoci trasportati nella Brooklyn italiana dove tanti connazionali si integrarono a perfezione ma altri, come il protagonista della novella, non riuscirono a trovare una nuova identità. Uno specchio di ciò che è stata l'emigrazione italiana nelle Americhe.