di Claudio Paudice

"Oggi posso dirvi che se pure la Russia chiudesse completamente le forniture di gas per questo inverno noi in Europa saremmo al sicuro". Alla conferenza per la Sicurezza di Monaco la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha ostentato sicurezza sull'ipotesi peggiore che potrebbe scaturire dalla crisi Ucraina: la chiusura del rubinetto da parte di Vladimir Putin, fornitore di oltre il 40% del gas naturale consumato dal Vecchio Continente. È una previsione allo stato attuale lontana ma il fatto che von der Leyen la citi espressamente vuol dire che a Bruxelles è stato esaminato anche questo scenario di rischio.

D'altronde la questua dei commissari Ue di queste ultime settimane, a caccia di forniture emergenziali da Stati Uniti, Qatar, Azerbaijan, è servita a disarmare almeno in parte la Russia che sul piano energetico ha il coltello dalla parte del manico. Il fatto che il gas per quest'inverno sia assicurato non vuol dire che l'economia europea non patirebbe pesanti conseguenze economiche. Le bollette dei cittadini stanno già lievitando sulla scia della riduzione degli approvvigionamenti russi da dicembre a questa parte, le imprese stanno affrontando una crisi che se dovesse prolungarsi rischia di fare più danni del Covid. L'inflazione corre, facendo salire i prezzi alle importazioni e al consumo, facendo pressioni sulle banche centrali per ritirare il sostegno alle economie occidentali. I costi dell'energia rischiano perciò di travolgere e affossare la ripresa avviata dopo il periodo di chiusure imposto dalla pandemia. Sarebbero dolori per l'Ue. Ma lo sarebbero di più per Mosca.

La Russia è l'undicesima economia mondiale in termini di prodotto interno lordo, la tredicesima per export, la ventunesima per import, la sessantacinquesima per Pil pro-capite. Le sue ricchezze maggiori consistono nel petrolio, nel gas e nel grano, che rappresentano la quota maggiore delle sue esportazioni e della sua capacità di creare ricchezza. Dopo le sanzioni internazionali scattate per l'invasione della Crimea, Mosca ha cercato di ridurre le sue debolezze verso le economie occidentali. In particolare ha ridotto la sua esposizione sul dollaro e accumulato riserve per prevenire eventuali shock futuri. Ma ancora oggi quasi metà del debito estero russo è in moneta americana. Oltre metà delle esportazioni russe è composta da petrolio (greggio e raffinato nel complesso ammontano al 47%) e da gas per un ulteriore 6,4%.

Il grano rappresenta il 2% dell'export totale in termini di valore ma la Russia è il primo esportatore a livello mondiale. I maggiori Paesi di destinazione dell'export russo sono la Cina, i Paesi Bassi, la Bielorussia, la Germania (70% derivati di petrolio e carbone), l'Italia, la Turchia. Per i Paesi Ue le valutazioni per i rischi commerciali dovuti a sanzioni vanno però fatte a livello comunitario, soprattutto se l'ipotesi di un conflitto su larga scala alle porte del Vecchio Continente dovesse realizzarsi. Come riporta una analisi del think tank Bruegel (The risks for Russia and Europe: how new sanctions could hit economic ties), l'Ue rappresenta oltre la metà dell'export russo. Mentre dal punto di vista europeo, le importazioni di petrolio valgono il 14% del totale, di cui il 60% è in capo a Mosca. Il gas vale il 3% dell'import Ue, di cui quasi il 10% è da ricondurre al monopolista di Mosca, Gazprom. Alcuni Paesi Ue sono più esposti di altri se la situazione dovesse prendere una cattiva piega. E i negoziati di questi giorni su cosa e quanto sanzionare la Russia nella peggiore dell'eventualità mirano proprio a ridurre gli effetti nefasti connessi a due sistemi economici fortemente interdipendenti ma che potrebbero colpire gli Stati membri in maniera molto differente.

È in questo senso che vanno interpretate la parole del premier italiano Mario Draghi: "La sanzioni devono essere sostenibili e non devono riguardare l'energia", ha dichiarato. Perché se la Germania ha fonti energetiche come il carbone (e persino la lignite), e la Francia può fare affidamento sul nucleare, "l'Italia ha solo il gas, non ha il nucleare e il carbone ed è più esposta. Quindi tutte le sanzioni che impattano indirettamente sul mercato energetico impattano di più sul paese che importa più gas".

Ad oggi non è ancora stato reso noto il pacchetto di misure che la Commissione Ue sta predisponendo nei confronti di Russia. Potrebbero riguardare diversi settori, come il divieto di acquisto di debito pubblico di Mosca, il divieto di export di semiconduttori o componenti per i chip, congelamento di beni dei magnati russi, una pietra tombale sul gasdotto Nord Stream 2 che approda in Germania e non ancora in funzione e misure mirate contro gli istituti di credito. Tuttavia molte questioni sono ancora in gioco. Al momento sembra esclusa l'ipotesi, almeno al primo giro di sanzioni, forse più deleteria per Mosca, l'esclusione dal circuito Swift per i pagamenti e le transazioni finanziarie e commerciali, come richiesto ad esempio dai capigruppo del Parlamento Europeo alla Commissione. Nel caso dell'Iran ha funzionato: tagliata fuori, Teheran ha perso un terzo del suo commercio estero. Nel caso della Russia potrebbe essere diverso, di certo per l'Ue sarebbe un'arma a doppio taglio perché rischierebbe di innescare conseguenze finanziarie difficilmente prevedibili.

Dalla crisi in Crimea in poi, temendo possibili ripercussioni e un impatto sul Pil di oltre il 5%, Mosca ha cercato di sviluppare un suo sistema di transazioni interno, Spsf, e potrebbe appoggiarsi di più a quello cinese (Cips), anche se al momento nessuno dei due è in grado di sostituire il sistema Swift. Al tempo stesso, l'interruzione dei flussi finanziari metterebbe a rischio le banche europee, in primis quelle italiane e francesi, particolarmente esposte in Russia per decine di miliardi. Non solo: anche le transazioni per l'acquisto del gas da Mosca passano attraverso il sistema Swift. "Il disaccoppiamento di tutte le transazioni di pagamento sarebbe forse il più grande bastone, ma potrebbe non essere per forza la lama più affilata", ha detto la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock.

Nel totale Mosca rappresenta solo il 5% del commercio europeo, seppure in un settore strategico come quello energetico, scrive Bruegel, per questo, "la Russia è molto più esposta alle interruzioni degli scambi con l'Ue di quanto lo sia l'Ue nei confronti della Russia". "Le sanzioni dell'Ue in caso di guerra in Ucraina influenzeranno il settore energetico e l'accesso all'alta tecnologia", ha detto von der Leyen durante la conferenza di Monaco. Se così dovesse essere, l'Italia teme di dover pagare un conto più salato dei partner: l'anno scorso si è vista arrivare 29 miliardi di metri cubi di gas russo, a fronte di un consumo totale di 76 miliardi, quota più consistente rispetto a quella degli altri Paesi europei che dipendono meno dalla Russia perché hanno una produzione di gas casalinga maggiore, anche se inferiore rispetto ad esempio ai Paesi dell'Europa orientale.

Nel caso dei prodotti tecnologici, invece, le sanzioni potrebbero essere più mirate ed efficaci se si tiene conto che i prodotti high-tech uniti a quelli farmaceutici dell'Unione Europea rappresentano circa la metà dell'import di Mosca. Inoltre dal Vecchio Continente si rifornisce anche di prodotti chimici (70%) e di strumenti e apparecchiature industriali (60%), sottolinea ancora il Bruegel. Una rottura dei rapporti commerciali inoltre avrebbe evidenti ripercussioni sugli investimenti, dal momento che l'Ue è al primo posto per Ide (Investimenti Diretti Esteri) nel Paese di Putin.

Uno scontro commerciale dovuto all'invasione dell'Ucraina, diversamente da quanto accaduto per la Crimea, non porterebbe comunque a misure limitate ma di vasta scala nei confronti di Mosca. O almeno questa è l'idea che circola a Bruxelles. Tuttavia, sebbene il rapporto commerciale tra Russia e Ue sia fortemente sbilanciato a favore di quest'ultima, la prima ha dalla sua la leva del gas e del petrolio che è fondamentale per la tenuta del sistema economico europeo. Forte di quest'arma, Putin potrebbe utilizzarla per spaccare il blocco europeo giocando sulle conseguenze che avrebbe l'impatto del comparto energetico sul tessuto industriale dell'Ue.

In caso di invasione dell'Ucraina gli analisti si aspettano un aumento del prezzo del petrolio oltre 100 dollari il barile. La Russia è il terzo produttore mondiale ed è un 'price maker'. Un barile a cento dollaro non si vede dal 2014. Circa il 60% delle esportazioni russe di petrolio si dirige verso l'Europa, il 30% verso la Cina. Dal punto di vista europeo, sebbene la Russia rappresenti una quota minima delle sue importazioni, ne detiene una quota dominante in beni strategici come quelli energetici. Dal punto di vista russo, messi da parte i guadagni in termini puramente geopolitici, il bilancio di una rottura commerciale con l'Ue potrebbe essere ancora più disastroso dal momento che quello europeo è pur sempre il principale mercato di sfogo della poco variegata offerta di Mosca in termini di esportazioni. Ammesso - e non concesso - che l'Ue sia capace questa volta di essere unita nell'adottare sanzioni realmente efficaci.