di Giorgio Merlo

Da sempre la riforma elettorale è “la madre di tutte le riforme”. Con le leggi elettorali nascono e tramontano partiti; si impongono nuove alleanze e scompaiono vecchie coalizioni. A volte, addirittura, emergono nuovi leader a scapito di altri leader. Insomma, le leggi elettorali stravolgono i sistemi politici tradizionali e ne fanno nascere di nuovi. È appena sufficiente pensare alla esperienza storica e concreta, nonchè cinquantennale, della Democrazia Cristiana per rendersene conto. Certo, il partito popolare di ispirazione cristiana è crollato anche e soprattutto per altri motivi, ma non c’è alcun dubbio che il cambiamento del sistema elettorale ha dato il colpo di grazia alla Dc e a ciò che ha rappresentato per molti lustri nella società italiana. E questo perchè ogni sistema elettorale, di norma, cambia la geografia politica nazionale.

Ora, è di tutta evidenza che il sistema elettorale riflette anche l’umore popolare e le condizioni politiche che in quel particolare momento storico condizionano il dibattito pubblico, culturale e sociale nel paese. Così è stato anche nel nostro paese negli ultimi anni. Almeno a cominciare da tangentopoli in poi, cioè dopo che la magistratura con la sua azione ha contribuito a radere al suolo quel sistema politico che per oltre 50 anni reggeva le sorti della nostra democrazia parlamentare. E la crisi, la precarietà e l’instabilità della politica italiana è anche il frutto dei continui cambiamenti del sistema elettorale. Una continua alternanza tra simil proporzionale e simil maggioritario che non ha contribuito a creare quella stabilità di governo che era e resta l’elemento decisivo di ogni sistema politico.

Per arrivare ad oggi, ci troviamo nuovamente di fronte ad un possibile, e auspicabile, cambiamento del nostro sistema elettorale. Si riparla, cioè, di un ritorno del sistema proporzionale. E sin qui, nulla di nuovo. Ma questa volta per un motivo persin troppo semplice da descrivere. E cioè, proprio il contesto politico contemporaneo richiede il superamento del sistema maggioritario a vantaggio del proporzionale. Solo un tifoso accanito del maggioritario può, oggi, sostenere che nel nostro paese ci sono due coalizioni omogenee e compatte a livello politico, culturale e programmatico che si possono tranquillamente confrontare e sfidare di fronte al corpo elettorale. È evidente a tutti, ma proprio a tutti, che le tradizionali alleanze sono state sacrificate sull’altare di una polverizzazione politica che ha sancito la fine degli antichi contenitori di centro destra e di centro sinistra. È appena sufficiente prendere atto delle dichiarazioni dei leader di partito di centro destra a giorni alterni per rendersene conto. Per non parlare del campo avverso dove la sommatoria del massimalismo della sinistra con il populismo sempre più sbiadito ed ondivago dei 5 stelle offre uno spettacolo di coalizione alquanto singolare se non addirittura grottesco. E, oltre a questa considerazione, assistiamo ad una sorta di perenne radicalizzazione del conflitto politico che rischia di riproporre, seppur in forma diversa rispetto al passato, a quella cultura degli “opposti estremismi” che non giova nè alla credibilità della politica e nè, tantomeno, alla stabilità dell’azione di governo.

Per questi motivi si parla di ritorno del proporzionale. Perchè dopo una stagione politica caratterizzata dal populismo di marca grillina che ha scassato le fondamenta del nostro sistema politico e parlamentare, diventa indispensabile ripartire dal basso. Che, tradotto in termini politici, significa ripartire dalle identità - se esistono ancora - dei singoli partiti per poi costruire, lentamente, le necessarie ed indispensabili alleanze politiche che siano in grado di governare degnamente l’intero paese. E non a caso, proprio in un contesto del genere riemerge la necessità di riscoprire un luogo politico di “centro” che sia in grado, soprattutto, di costruire e declinare una vera ed autentica “politica di centro” nel nostro paese. Non per regressione nostalgica ma per ridare qualità alla politica e dignità alla stessa azione di governo. E per centrare questo obiettivo si rende necessario, se non quasi addirittura vincolante, tornare ad un sistema proporzionale che esalti da un lato le identità dei vari soggetti politici e, dall’altro, costruisca coalizioni non fondate sul pallottoliere - come capita oggi sistematicamente - ma su motivazioni politiche e su ricette di governo.

Si tratta, quindi, di affrontare questa nuova ed inedita stagione non più con le armi demagogiche del populismo - ormai fallite e tramontate - ma con le munizioni della buona politica alimentate dalle culture politiche e da veri programmi di governo.