Io, Carlo Cattaneo di allora, con tutti coloro che combattevano con me nell’Ottocento, ho creduto nell’Unità d’Italia e nella creazione di una Repubblica sana, forte, democratica, da difendere con la vita se necessario. Io, Carlo Cattaneo di oggi, con tutti coloro che lavorano con me, credo fermamente che l’Italia e i suoi figli, nipoti, pronipoti e così via, all’estero debbano tornare ai valori della Costituzione italiana, che non ha bisogno di essere fatta a pezzi da innovatori da strapazzo o ad ogni costo, ma di essere riletta, imparata a memoria, applicata e assunta come “credo fideistico” di tutti noi nella libertà, nell’onestà e nel rispetto della società di cui facciamo parte o che rappresentiamo nei luoghi sacri del Parlamento, del Governo e delle istituzioni. Il nostro dovere è quello della fedeltà al nostro Paese. E qui entrano in gioco la dicotomia, l’ambivalenza, i distinguo, la doppia appartenenza di chi – italiano jure sanguinis, seppure per discendenza – è anche cittadino di un altro Paese. E magari è contemporaneamente eletto a servire nei Parlamenti di ambedue i Paesi: quello d’origine, l’Italia, e quello di adozione e di residenza, ovunque esso sia nel mondo. La nostra meravigliosa Costituzione riassume questo dovere di fedeltà degli eletti nell’Art. 57. Rileggiamolo: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Partiamo dal secondo dettame. Ogni deputato o senatore è stato eletto dai cittadini italiani nella lista del partito che lo ha candidato. Ma la Costituzione gli dice che deve essere ed è libero di seguire la propria coscienza per il bene del Paese, senza vincolo di mandato con il suo partito, con gli elettori, con il territorio in cui è stato eletto, con la circoscrizione, nazionale o estera che sia, che spesso non ha nulla a che fare con la sua città o la sua regione d’origine o di residenza, perfino all’estero. Infatti, a partire dal 2018 si è tradita e inquinata la diretta rappresentanza territoriale – sottesa all'istituzione della circoscrizione Estero nell’Art. 48 della Costituzione – consentendo anche a chi vive dentro lo Stivale di candidarsi ovunque vuole nel mondo. E qui sta la prima aberrazione. Torniamo al primo dettame dell’Art. 57: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione”, cioè l’Italia, perché fa parte del Parlamento italiano. Anche il cittadino o doppio cittadino eletto all’estero rappresenta la Nazione. E fin qui va tutto bene. La riserva indiana dei rappresentanti eletti all’estero ha gli stessi doveri e dovrebbe esercitare gli stessi poteri degli eletti in Italia. Ma – c’è sempre un ma in tutte le situazioni – cosa succede se un eletto in una delle due Camere italiane o in una rappresentanza tipo Comites è anche parlamentare eletto in una delle Camere di un altro Paese? E insiste nel mantenere ambedue le cariche? E si incolla a due scranni quando non mantiene addirittura, e contemporaneamente, altri incarichi più o meno importanti, ma tutti elettivi( come sta accadendo anche in Uruguay...)? Rappresenterà l’Italia e non gli elettori locali quando siede nel Parlamento estero cui è anche eletto? Rappresenterà il Paese di residenza e non gli italiani che lo hanno eletto all’estero quando siede – molto raramente in certi casi – sul suo strapuntino alla Camera o al Senato italiano? A quale Nazione darà la sua fedeltà pur avendola giurata totale e inequivocabile a tutte e due? Come si può credere a una qualsiasi delle sue azioni e affermazioni? Come possiamo salvarci dagli abusi di potere che potrà mettere in atto nascondendosi dietro il dito dell’appartenenza all’altra realtà? Quanto peserà il suo interesse personale nel momento in cui parla oppure vota in uno dei due Parlamenti per approvare leggi che forse causano danni all’uno o all’altro dei suoi elettorati attivi? Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento il grande sociologo Vilfredo Pareto, insieme allo studioso italiano Gaetano Mosca e al tedesco Robert Michels, ha stigmatizzato la classe politica come “gruppo di persone specializzate a gestire il potere politico” e il sistema dei partiti come “metodo di selezione di oligarchie”, di minoranze che si sono allenate a governare ad excludendum. In quale oligarchia vuole entrare Il nostro Arlecchino servitore di due padroni e detentore di doppio potere? O rimarrà per sempre esclusivo servitore di se stesso in nome di una democrazia di cui non conosce il significato? Come sappiamo, dalle oligarchie si passa al sovranismo e ai tamburi di guerra che sentiamo rullare in questi giorni. Arlecchino servitore con la giubba multicolore dove si collocherà? O si nasconderà sotto uno dei due scranni per difendersi dai calcinacci del soffitto maciullato dalle bombe dell’egoismo? Sfortunatamente le previsioni non possono essere rosee: Arlecchino difenderà soltanto se stesso e griderà “Morte ai Filistei” per proteggersi con un’enorme foglia di fico.

Carlo Cattaneo