di Franco Esposito

Episodio di puro razzismo a una partita di calcio femminile? Origine marocchine, residente però in Piemonte, a Tronzano Vercellese, paesino al crocevia di Torino con Biella, la diretta interessata denuncia l'arbitro coetaneo che le ha intimato di togliere il velo durante una partita a Vercelli. Maroua Morchid, classe 20225, gioca con la Pro Vercelli, e il suo club sta con lei, pienamente solidale. Denuncia infatti anche la società al termine della partita del campionato under 19, avversario l'Accademia Torino.

“Se vuoi continuare a giocare, devi toglierti il velo che indossi”, perentorio l'ordine dell'arbitro sedicenne. Lei basita, incredula. “Sono rimasta sorpresa davanti a quella richiesta. Nelle altre partite avevo sempre indossato il burkino e nessuno aveva riscontrato problemi”.

Il velo sportivo viene indossato e usato su tutti i campi di calcio. “In quel momento ho pianto e le lacrime mi hanno accompagnato durante l'intera giornata”, rivela Maroua, che ha impiegato l'intero week end per smaltire gli effetti di quell'invito perentorio. “Adesso sto bene. Sul momento non avevo realizzato cosa sia accaduto in campo, ma ora posso dire di aver capito tutto e di averlo metabolizzato”.

La storia è già superata, i suoi occhioni scuri sono tornati sereni. Il suo sorriso abita nuovamente sulle sue labbra. La sua società, la Pro Vercelli, è con lei. Soft e insieme ferma la denuncia del club. “Serviva più sensibilità”. E le anche le compagne di squadra si schierano compatte al fianco di Maroua Morchid. Quando l'arbitro ha fatto l'appello di prammatica, lei già indossava l'hijab tecnico e così tutto il tempo che è rimasta in panchina. “Io il velo non l'avrei tolto, piuttosto sarei uscita dal campo”.

Di fronte alla richiesta dell'arbitro giovanissimo, le compagne di squadra si sono arrabbiate più di Maroua. E l'arbitro ha fischiato la fine della partita. “Praticamente era il novantesimo minuto. É stato molto bello vedere le mie amiche compagne di squadra schierarsi dalla mia parte. Ho molto apprezzato il gesto”.

La sfida con il Torino è terminata due a due. Maroua è entrata in campo al minuto ottantacinque, in sostituzione di una compagna vittima di un infortunio di gioco. “Il velo, per me, ha un significato importante, è parte della mia vita. Ha un senso profondo, più forte di tutto, anche degli sguardi degli altri”.

L'invito del direttore di gara si è materializzato pochi minuti dopo l'ingresso in campo di Maroua. Tanti l'hanno visto e interpretato come un episodio di razzismo. Ma per l'arbitro? Solo uno scrupolo nei confronti della giovane giocatrice di origini marocchine. Perché non si facesse male in un eventuale contrasto di gioco. La tesi dell'arbitro e dei suoi dirigenti di grado superiori non è comunque di facile digeribilità. Il senso è quello della pezza a colori. Attorno a Maroua hanno fatto comunque quadrato quasi tutti. L'eccezione è rappresentata dal presidente della sezione Aia di Casale Monferrato, William Monte. Gli arbitri si sono schierati in massa con il giovanissimo collega. “Il nostro tesserato - riferisce il presidente William Monte - mi ha comunicato che non aveva nessuna intenzione di offendere la sensibilità della calciatrice”.

Allora come lo spiega il presidente della sezione arbitrale quell'invito perentorio? Semplicemente così: “L'arbitro ha agito per tutelare la sicurezza della ragazza. Le ha chiesto di togliere lo scaldacollo, che però era integrato al velo. Se fosse stata strattonata in un'azione di gioco, sarebbe potuta finire strozzata”.

Formidabile consorteria a tutti i livelli, quella arbitrale. Unita e indivisibile quando si tratta di difendere un collega, chiunque egli sia, in quale categoria calcistica operi e quanti anni abbia. “Non possiamo far passare un ragazzo di sedici anni come razzista”. Anita Angiolini, vice presidente della Pro Vercelli, si esprime su tutt'altra lunghezza d'onda. La squadra femminile l'ha voluta fortemente, battendosi con tutte le sue forze. “É stato un episodio spiacevole. Non mi permetto di giudicare il comportamento del direttore di gara, ma sicuramente ha peccato di cattivo uso del buonsenso”.

Quell'invito ha sollevato un grande polverone. L'annosa questione del razzismo in ambito sportivo riproposta in maniera sconcertante e ambigua. Noi siamo portati a credere a un momento di follia dell'arbitro, piuttosto che alla volontà “di proteggere l'incolumità della ragazza con il velo da eventuali incidenti di gioco”. La giustificazione sa tanto di frettolosa corsa nel tentativo di porre riparo. Laddove sembrano pertinenti le argomentazioni espresse dalla vice presidente della Pro Vercelli. “Il rispetto del prossimo passa da piccoli gesti, Permettere a una ragazza di giocare con il velo, come prescritto dalla propria religione, non deve essere motivo di discriminazione”.

Ascoltato e approvato in pieno. Ma il calcio in particolare fs una fatica boia ad adeguarsi a un corretto pensiero di tolleranza e di vita. Gli uomini continuano a governare a modo loro i rimbalzi del pallone. Uno per tutti, i buu indirizzati dalle tribune degli stadi italiani ai giocatori di colore avversari dei padroni di casa.