(foto depositphotos).

di Antonio Buttazzo

Tra i tanti motivi dell’aggressione russa all’Ucraina ve ne è uno poco indagato: una Ucraina democratica e prospera è uno schiaffone in faccia a Putin e ai suoi oligarchi.

La Russia, negli anni seguiti alle privatizzazioni selvagge – che meglio sarebbe chiamare spoliazioni di beni pubblici – invece di destinare il denaro ricavato con la commercializzazione delle tante risorse naturali di cui è ricca per potenziare le scarse infrastrutture del Paese, ha invece favorito la nascita di una classe di pochi ricchi che hanno messo le proprie ricchezze a disposizione della Nomenklatura al potere a Mosca.

Nessun investimento nella sanità, nell’istruzione, nel commercio al minuto, in nulla che potesse favorire la nascita di una classe media paragonabile a quella Occidentale.

Masse dì poverissimi sono state foraggiate con miseri sussidi statali affinché si mostrassero docili, ubbidienti e soprattutto riconoscenti al Governo centrale.

Le tipiche mosse di un potere dispotico e autoreferenziale.

Il modello di sviluppo economico e sociale ucraino è un modello pericolosissimo per la Russia.

Al confine dell’Impero, una piccola nazione (al confronto), considerata da sempre un vassallo, sperimentava una via d’uscita da secoli di arretratezza, con la pretesa di affrancarsi dall’egemonia russa che l’aveva tenuta in ostaggio da sempre.

Da Euro-Maidan nel 2014, le cose erano cambiate.

Il burattino di Putin, Viktor Janukovich , costretto alla fuga precipitosa in quella Russia che lo aveva insediato a Kiev perché proteggesse gli interessi del Cremlino, aveva segnato il punto di non ritorno della politica di controllo degli oligarchi russi sull’Ucraina.

Da allora, nulla è stato più lo stesso tra i due Paesi.

I russi hanno iniziato con il riprendersi la Crimea, che generosamente un Eltisin in stato dì ebbrezza alcolica, con gli accordi trilaterali di Belovezhskaya nel dicembre del 1991, aveva “regalato” a Leonid Kravchuk, leader Ucraino.

Con la ratifica di quegli accordi le tre repubbliche slave di Russia, Ucraina, Bielorussia, avevano sancito la loro separazione segnando la dissoluzione definitiva dell’URSS.

Una operazione colpevolmente tollerata dall’occidente che ha preferito voltarsi dall’altra parte e lucrare i vantaggi delle forniture petrolifere e del gas e degli investimenti degli oligarchi negli asset finanziari americani ed europei, mentre intanto i mandatari europei (come l’ex premier tedesco Shroereder, seduto nei consiglio dì Amministrazione della Gazprom), favorivano accordi come quello per il gasdotto Stream2 che avrebbe tagliato fuori l’ucraina, dimezzando i profitti derivanti dal passaggio del gas nei suoi territori.

Poi Putin adocchiò i territori del Donbass, tollerando la secessione delle repubbliche russofone di Donetsk e Lugansk, facendo finta di proteggere la popolazione quando in realtà era interessato ai giacimenti carboniferi e soprattutto a creare una zona cuscinetto a fronte della sempre più evidente presenza americana in ucraina.

Ma il suo fiuto predatorio aveva già individuato un altro innegabile vantaggio nella annessione di quei territori: il passaggio verso la Crimea ed il controllo del Mar d’Azov fino al Mar Nero e da li’ fino ad Odessa, ai confini dell’Europa sotto l’egida della Nato.

È quello che sta accadendo, come dimostra l’attivismo militare nella Transinstria, piccola repubblica autonomista filo russa inglobata nella Moldavia, da cui già partono decine di missili contro l’Ucraina.

La guerra di Putin dunque persegue due scopi, uno interno, mirato a raffreddare eventuali pretese dì democrazia che potrebbero giungere dal “modello ucraino”, e uno esterno, funzionale alle mire espansionistiche russe e al contenimento dell’occidente verso la Russia.

Un obiettivo che Putin si è proposto di fronteggiare anticipando l’Europa (e gli USA) arrivando fino ai nostri confini.

Prima che loro arrivino ai suoi.