Memoriale di Aldo Moro - Foto: @wjarek (Depositphotos)

di Franco Manzitti

Erano in quindici a sparare contro cinque, praticamente inermi, quella mattina del 16 marzo 1978, esattamente quaranta anni fa. Tra gli orrori della guerra in Ucraina e la coda velenosa della pandemia, che non finisce mai, l’anniversario della strage di via Fani a Roma, del giorno in cui Aldo Moro venne rapito e gli uomini della sua scorta trucidati, è stato diverso dai precedenti. Meno attenzione, meno dolore, presi come siamo da una sofferenza diversa da quella della memoria ferita, del ricordo di una tragedia che sconvolse l’Italia e non solo e introdusse il capitolo più buio degli Anni di Piombo. 

Oggi l’emergenza della guerra, il precipizio sul quale ci affacciamo, l’urgenza, ora per ora, di quello che sta accadendo a un passo dall’Occidente sviluppato, democratico, solo sfiorato in 80 anni dalla falce della guerra, attutiscono quel ricordo. 

Eppure. Eppure bisognerebbe urlare contro lo spettacolo della giustizia che non si è fatta dopo quella tragedia, cui seguì, 55 giorni dopo, l’esecuzione di Aldo Moro, un un paese stracciato dal processo che lo aveva portato a morire nel bagagliaio di una automobile, giustiziato senza alcuna pietà da un commando ispirato dal vertice delle Br, che raggiungevano l’apice della loro potenza eversiva e fine a se stessa.

Dei quindici brigatisti che  con un’operazione perfetta rapirono Moro e giustiziarono la sua scorta nessuno, quaranta anni dopo, è in carcere. Come ha scritto in un post che sta suscitando grandi reazioni Mario Adinolfi, ex deputato giornalista acuto, Barbara Balzerani  ha festeggiato garrula sui social: “Chi mi ospita oltre confine per i fasti del quarantennale?”

Ha scritto i “fasti del quarantennale” questa donna di 69 anni, già compagna del capo delle Br, Mario Moretti, l’assassino che prendeva ordini dai servizi segreti di mezzo mondo, mai pentita, mai dissociata, condannata all’ergastolo nel 1983 e liberata nel 1994. La Balzerani oggi fa la fotografa, un po’ come era in quel giorno di 40 anni fa in via Fani per vegliare e immortalare le gesta del suo comando, e celebrerà l’anniversario della sua impresa con un’intervista nella quale il giornalista la tratterà con il “dovuto”rispetto. 

Dovuto perché? Perchè questa banda di assassini a sangue freddo e di impuniti ha pagato quei crimini con qualche annetto di carcere e neppure tutti.  

Partendo da quelli che erano in via Fani e non hanno premuto il grilletto, oltre alla Balzerani, Alfredo Casimirri di carcere non ha fatto neppure un’ora. E’ scappato in Nicaragua e gestisce una pizzeria che si chiama “Magica Roma”. Magica per lui, che ha sparato, ucciso alle spalle e poi se l’è squagliata in nome di un ideale sul quale poi ha sputato per tutta la vita.

Alvaro Lojacono , condannato all’ergastolo, non si sa come riesce a prendere la cittadinanza svizzera e paga lì, ma non l’omicidio plurimo di via Fani ma quello del magistrato  Tartaglione: 11 anni di detenzione nella Confederazione e poi libero!!!! Senza pagare nulla per via Fani.

La moglie di Casimirri, Rita Algranati, latitante per 25 anni, l’hanno presa al Cairo nel 2004 e sta scontando il suo ergastolo. Almeno lei, ma magari domani è in semilibertà…. Una su tutti. Bruno Seghetti, condannato all’ergastolo nel 2003 è semilibero dal 1995.

Il conto dei killer veri, quelli che hanno ucciso a sangue freddo i cinque agenti della scorta, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, è ancora più sconcertante, perché riguarda il vero “gruppo di fuoco” delle Br, assassini che si sono macchiati anche di altri delitti con la stelle a cinque punte.

 Raffaele Fiore , mai pentito, mai dissociato, un killer seriale, omicida anche del vicedirettore della Stampa Carlo Casalegno e dell’avvocato Croce a Torino, è in semilibertà dal 1997!

Il mitico (per loro) Valerio Morucci, compagno della Faranda, dopo una dissociazione è libero dal 1994.

 Prospero Gallinari, uno dei più noti e sanguinari è morto nel 2013, celebrato con un funerale nel quale i suoi amici cantavano l’Internazionale.

 Infine Franco Bonisoli, quello che ha sparato di più in via Fani, giustiziando anche il maresciallo Leonardi, il fedelissimo di Moro, è stato condannato all’ergastolo nel 1983 ed è libero dal 2001. Lui è quello che sparò anche alle gambe di Indro Montanelli. Oggi collabora con la diocesi di Milano.

La conclusione che Adinolfi tira nel suo solitario post, nel silenzio di tutti, è molto amara e si può ben condividere.

 Quegli assassini di via Fani, che fecero tremare la Repubblica, le istituzioni, ora sono tutti liberi tra di noi, passeggiano, si fanno intervistare, scrivono libri, memoriali, partecipano a dibattiti, con aria sussiegosa, da mezzi eroi travolti dalla Storia, ma anche un po’ spocchiosi, fanno parte di quel mezzo mondo che galleggia su quel tempo, un po’ rimosso, un po’ sfacciatamente eroico ( per loro), di un tempo lontano decine di anni, ma che loro fanno rivivere, testimoni vanagloriosi senza mai una parola di pietà per le loro vittime . Se la Balzerani addirittura pensa di organizzare “i fasti del Quarantennale”….. 

Chi tace e sta ancora immerso nel suo dolore sono i parenti delle vittime di via Fani, coloro, mogli, fratelli, figli, cui la vita, quel  16 marzo 1978, venne improvvisamente troncata. 

Tacciono e piangono i loro morti, come fanno le centinaia che hanno perso in quegli anni maledetti i loro cari in una rivoluzione che condusse solo a quel dolore. E quanti sono! 

Che penseranno nel loro muto dolore i parenti dei diciassette assassinati da Antonio Savasta, il più sanguinario di tutti, sparito all’estero e mai più rintracciato? 

Certo, la legislazione premiale, che favorì il pentimento dei terroristi e condusse alla sconfitta del terrorismo stesso rapidamente all’inizio degli anni Ottanta, fu una soluzione decisiva. Ma oggi è quasi insopportabile assistere alle esibizioni degli assassini _ pentiti o meno pentiti per finta, per convenienza,  e tra le righe capaci anche di rivendicare oggi la loro convinzione rivoluzionaria. 

Sono schegge impazzite di una follia sanguinosa, che lo Stato è riuscito a fermare e in qualche caso anche a far perdonare, attraverso incontri singoli tra assassini e parenti delle vittime, nel segno del Vangelo che predica, appunto, il perdono.

Ma la scia che quegli anni, tra i Settanta e gli Ottanta, ha lasciato fino a oggi è dolorosa come allora. Hanno ucciso sequestrato, terrorizzato ( non li chiamavamo gli anni del terrorismo?), poi alcuni si sono dissociati, pentiti, hanno pagato con un po’ di detenzione e sono rientrati nella società che volevano rivoluzionare, spesso una culla accogliente per loro. 

Ma, per favore, che ora tacciano, che stiano zitti, che non si esibiscano, che spariscano dalla scena. In via Fani, quaranta anni fa, hanno ucciso vigliaccamente cinque servitori dello Stato, sparando all’improvviso, senza pietà. Non si può dimenticare.