di ADALGISA MARROCCO
Può bastare davvero poco, per perdere il lavoro in Russia se non si è d'accordo con la guerra. Non soltanto partecipando a manifestazioni pubbliche, ma anche scrivendo un post su un social network (almeno finché è stato possibile), o aderendo a una lettera aperta. Un'arma di ricatto potentissima, in un Paese in cui 2 cittadini su 5 non hanno risparmi per vivere, e il 13% della popolazione vive sotto la soglia di povertà.

È emblematica la storia di Kamran Manafly, insegnante di geografia di 28 anni che ha perso la sua cattedra dopo un post critico sull’invasione in Ucraina pubblicato su Instagram, poco prima che il social network venisse bandito da Mosca. "Ho un’opinione che non coincide con quella dello Stato. Non voglio essere specchio della propaganda governativa e sono orgoglioso di non aver paura di dirlo”, ha scritto in reazione a un’assemblea indetta dal suo istituto durante la quale i docenti hanno ricevuto ordine di non prendere iniziative personali e di allinearsi alle informazioni fornite dal governo sul conflitto. Due ore dopo la pubblicazione del contenuto, il giovane insegnante ha ricevuto una telefonata dal suo preside che gli ha intimato di cancellarlo: se non lo avesse fatto, avrebbe dovuto lasciare il posto di lavoro. "Non volevo cancellarlo - ha dichiarato Manafly alla Bbc Online - ho capito subito che non aveva senso discutere, quindi ho pensato che fosse meglio dimettersi".

Ventiquattro ore dopo il maestro è tornato a scuola per ritirare le proprie cose, vedendosi impedito il passaggio. A quel punto gli studenti hanno provato a scendere in strada per salutarlo ma qualcuno ha allertato la polizia, accusando Manafly di aver organizzato una manifestazione non autorizzata: le immagini dei bambini che si accalcano per salutarlo sono state trasmesse dalla tv britannica. Il giorno successivo, non senza difficoltà, l’insegnante è riuscito a portare via alcuni oggetti personali dall’istituto e il mattino dopo ancora ha incontrato il preside, che gli ha chiesto nuovamente spiegazioni sul post. Manafly ha rifiutato di rispondere, aspettandosi comunque di poter firmare le proprie dimissioni. "Invece due giorni dopo mi hanno informato che ero stato licenziato per comportamento immorale sul luogo di lavoro. La cosa più assurda è che considerino 'immorale' l'espressione di un'opinione personale", ha detto il 28enne.

Ma quello dell'insegnante è solo uno tanti casi che si stanno verificando in Russia. Katya Dolinina, manager di due teatri a Mosca, si è dimessa dal suo incarico a seguito di pressioni il 28 febbraio, tre giorni dopo aver aggiunto il suo nome a una lettera aperta firmata da operatori del settore culturale e intellettuali contro l'invasione in Ucraina. Subito dopo aver firmato la lettera, Dolinina ha ricevuto una telefonata dal suo capo. Avrebbe dovuto rimuovere immediatamente il suo nome o dimettersi. Se si fosse rifiutata di farlo, sarebbe stata licenziata. "Ho sempre amato il mio lavoro, non volevo perderlo", ha dichiarato la diretta interessata, spiegando perché prima della crisi ucraina non avesse preso parte a proteste contro il governo. “Avevo la possibilità di scrivere una dichiarazione in cui affermavo che il mio nome era apparso sulla lettera per errore”, ha aggiunto la manager ad Artnet News: “Ho rifiutato”.

Manafly e Dolinina hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo, scegliendo di portare le proprie opinioni fino in fondo. Ma dire la propria non è facile: il lavoro, infatti, può essere una fortissima arma di ricatto in un Paese in cui la disoccupazione è un vero è proprio spettro, mentre la contrazione dei salari e l’aumento del costo della vita logorano i risparmi dei cittadini. Un’indagine di Rbc, media finanziario di Mosca, svela infatti che ben il 43% per cento dei russi non possiede alcun risparmio.

Non una Russia da oligarchi, dunque, ma una Russia in cui si lavora per portare il pane a casa. Letteralmente. Se andiamo ad analizzare nel dettaglio i dati di Rbc, vediamo che il 13% di chi possiede risparmi afferma che sarebbe in grado di sopravvivere grazie ad essi per meno di un mese. Un altro 18% dice che sarebbe in grado di sopravvivere fino a due mesi e l'11% fino a sei mesi. Solo l'8% degli intervistati ha affermato che sarebbe in grado di andare avanti coi propri risparmi fino a un anno e il 7% per più di un anno. Inoltre, secondo statistiche ufficiali, in Russia circa il 13% della popolazione (intorno ai 19 milioni di persone) vive al di sotto della soglia di povertà.

Un quadro da cui si riesce a dedurre come per molti sia difficile opporsi pubblicamente al governo di Putin, pena la perdita del posto di lavoro, unica fonte di reddito. L’unica alternativa sarebbe andare via dalla Russia ma non tutti possono, o vogliono, fare questo passo. Così si sopravvive, e si resiste, alla giornata.