In tempi straordinari uomini ordinari si trasformano in piccoli supereroi. O ci provano. Denis ha tre figli e come tutti i genitori ha altrettanti rumorosi gruppi scolastici su WhatsApp. Decide di condividere un messaggio in cui spiega che servono medicinali per aiutare i soldati a difendere il proprio Paese dall'invasione russa, e che li porterà lui stesso con la sua auto fino al confine ucraino. E così fa: mette un contenitore fuori casa, raccoglie bende, antidolorifici, kit per conicotomia d'urgenza e tutto ciò che sta nella sua Volkswagen Touran (idea per i brand: regalare auto e furgoni a chi sta facendo la stessa cosa di Denis, più efficace dei cuori e delle bandiere colorate di giallo e blu). Il primo viaggio è di sole medicine, da Pontenure, in provincia di Piacenza al confine polacco sono 1500 km, circa due giorni di viaggio andata e ritorno. In tempi straordinari persino i gruppi su WhatsApp diventano utili.

La storia di Denis in Italia inizia circa 7 anni fa, quando riceve una lettera e lascia l'Ucraina: da un anno è scoppiata la guerra in Lugansk e Donetsk, le due Repubbliche del Donbas all'origine di questi tempi che stanno cambiando il mondo in cui viviamo. Il governo gli chiede d'entrare nell'esercito. Mi dice "volevano mandarmi lì, ma in Russia mio cugino è sposato con una russa, voleva dire sparare anche a lui, e ai suoi figli", mi spiega che "stavo bene, facevo l'autista, non volevo lasciare il mio Paese ma non volevo neanche fare la guerra". Decide di partire con i tre figli e la moglie e raggiungere sua madre che vive in Italia, qui chiede asilo politico e trova un lavoro prima in Sicilia e poi in provincia di Piacenza dove oggi vive.

"La mia macchina stava sempre in garage prima, ora sta fuori perché il garage è occupato dalle cose da portare". L'operazione passaparola è un successo: arriva con la merce, torna con donne e bambini che ci stanno sul furgone. Dal primo viaggio ha conosciuto un altro uomo ucraino che vive in Italia da vent'anni e che conosce più gente, hanno fatto una colletta tra colleghi, li aiuta il comune, la parrocchia, la gente su Facebook, noleggiano due furgoncini e la lista delle cose che servono si allunga: vestiti, cibo, persino droni per aiutare a capire dove sono i soldati russi. Su Facebook pubblica i video e le foto delle consegne "per dare fiducia alla gente che mi aiuta", gente che lo chiama in qualsiasi momento per ritirare la merce. "Ogni mattina mi sveglio e penso 'dai dai dai, non posso essere stanco'". Mi dice che in 38 ore di viaggio ha dormito due ore.

L'ultimo viaggio pare una scena di Spielberg. Fa un percorso diverso dal solito con la moglie e anziché trovare una zona grigia, una di quelle neutrali, passa per l'Ungheria. "in Polonia non mi hanno mai chiesto nulla, potevo essere un terrorista e in due minuti passavo, in Ungheria invece hanno fatto più storie". Mi spiega che passa in una dogana dove non c'è la zona grigia. Suda freddo, spiega la sua situazione ai militari, gli promettono che lo lasciano entrare e uscire, ma non ha altra scelta che fidarsi: "Solo la sua parola, non c'è nessun foglio che certifica che mi fanno uscire, potevano dirmi 'e tu dove vai, ora resti qui o ti sparo'. Che avrei fatto?". "Mia moglie aveva paura per me", dice "non so quanti capelli bianchi mi sono venuti. Non farò più quella strada, avevo dimenticato non ci fosse zona neutrale lì". La neutralità è così: per Putin significa raderti al suolo, per i pacifisti italiani significa né con la Nato né con l'Ucraina, per Denis significa non farsi arrestare o buttare al fronte.

Se una mattina scoppiasse una guerra e doveste decidere tra scappare per sempre o difendere il vostro Paese che fareste? Vincerebbe il senso di sopravvivenza o il patriottismo? I vostri figli o la vostra terra? È una decisione che in molti uomini sono stati costretti a prendere in fretta il 24 febbraio. Denis in patria è considerato un disertore, eppure a me sembra straordinario quello che fa per il Paese da cui è scappato. Gli chiedo se la sua percezione dei russi oggi è cambiata: sempre fratelli? "So che non è colpa dei russi, la colpa è di Putin. Però anche i popoli devono protestare. Se sono tanti non possono metterli tutti in prigione". In qualche modo l'inazione ti rende complice, per uno disposto a fare più di 3000 km per trasportare aiuti è chiaro sia così. "Potevo mandare 500 euro ai militari, stare a casa tranquillo a guardare la tv. Ma oggi si ferma uno, domani un altro, poi un terzo. Chi li aiuterà poi?"