Secondo Amnesty International nel rapporto 2021/22 sullo stato dei diritti umani nel mondo, anche prima della crisi generata dal Covid-19, le Americhe erano la regione più iniqua al mondo in termini di disuguaglianza tra i redditi. La disomogenea ripresa economica registrata durante l’anno nel continente ha avuto scarso impatto sulle variegate e ampie conseguenze di decenni di disuguaglianze strutturali. Nonostante l’implementazione di vari programmi per fronteggiare le conseguenze della pandemia, molti governi non hanno saputo tutelare i diritti sociali, economici e culturali delle fasce più vulnerabili della propria popolazione, finendo spesso per indebolirli ulteriormente con politiche e prassi discriminatorie.

Con altri 1,5 milioni di persone decedute per Covid-19 nel 2021, le Americhe si sono confermate come la regione con il numero di decessi pro capite per Covid-19 più alto del mondo. Il limitato e iniquo accesso all’assistenza medica ha avuto indubbiamente un ruolo importante in tutto ciò, insieme a sistemi sanitari cronicamente sottofinanziati, a politiche e misure di previdenza sociale incapaci di andare incontro ai bisogni delle comunità marginalizzate e alla mancanza di un adeguato accesso ai vaccini. L’impatto della pandemia sulle popolazioni native è stato reso particolarmente grave dall’accesso inadeguato ai servizi igienico-sanitari, all’assistenza medica e ai sussidi sociali. Molti governi non hanno fatto abbastanza per dare priorità ai servizi di salute sessuale e riproduttiva. I servizi essenziali erano spesso assenti e l’accesso all’aborto è rimasto criminalizzato in molti paesi. La violenza contro le donne e le ragazze è rimasto motivo di grave preoccupazione in tutta la regione. Le indagini sui casi di violenza di genere, inclusi episodi di violenza di genere, stupro, omicidio e femminicidio, si sono dimostrate spesso inadeguate. Il diritto alla libertà d’espressione è stato minacciato in diversi paesi, con decine di giornalisti e altre persone critiche verso le politiche dei governi minacciati, censurati, attaccati e detenuti. In molti paesi, la polizia e altre forze di sicurezza hanno represso proteste pacifiche con l’uso eccessivo della forza, detenzioni arbitrarie e, in alcuni casi, uccisioni illegali. L’impunità per queste e altre violazioni dei diritti umani, oltre che per i crimini di diritto internazionale, è rimasta un grave problema in più della metà dei paesi della regione. Anche gli attacchi contro l’indipendenza della magistratura sono aumentati. Decine di migliaia di persone sono fuggite dai loro Paesi a causa delle violazioni dei diritti umani legate a situazioni di violenza, povertà, disuguaglianza e cambiamento climatico. Tuttavia, molti governi hanno continuato a proibire l’ingresso nei loro paesi di rifugiati, richiedenti asilo e migranti e hanno violato il diritto internazionale rimpatriando con la forza coloro che riuscivano a varcare i confini, senza prendere in debita considerazione le loro richieste di protezione.

DIRITTI ECONOMICI E SOCIALI Nonostante l’anno sia stato testimone di una certa ripresa in termini di crescita economica, questi risultati si sono dimostrati insufficienti a invertire la recessione economica registrata nel 2020, che aveva visto tassi di disoccupazione da record, redditi in caduta libera e l’aumento dei livelli di povertà e disuguaglianza. In Argentina, Brasile, Guatemala, Haiti, Nicaragua e Venezuela, la crisi si è rivelata in tutta la sua gravità. A giugno, il 40,6 per cento della popolazione argentina viveva in condizioni di povertà. In Brasile, il 56 per cento versava in condizioni di insicurezza alimentare. Ad Haiti, quasi la metà della popolazione necessitava di aiuti alimentari. E in Venezuela, il 94,5 per cento della popolazione viveva in condizioni di povertà reddituale e il 76,6 per cento in povertà estrema.

DIRITTO ALLA SALUTE La pandemia ha continuato ad avere un impatto devastante in molti paesi dove l’accesso all’assistenza sanitaria e ai vaccini era limitato e iniquo. Con 2,3 milioni di morti per Covid-19 dall’inizio della pandemia, la regione ha registrato il 45 per cento dei decessi dovuti al Covid-19 a livello globale, nonostante rappresentasse appena il 13 per cento della popolazione mondiale. In Venezuela, mancavano dispositivi di protezione e Ong locali hanno segnalato che da marzo 2020 erano deceduti per Covid-19 più di 800 operatori sanitari. L’ormai cronica mancanza di ossigeno e l’insufficiente capienza degli ospedali hanno contribuito a rendere il Perù il paese con il più alto numero di decessi pro capite al mondo. Alcuni paesi ad alto reddito hanno attivamente bloccato l’espansione della produzione di vaccini. A fine anno, il Canada non aveva ancora rilasciato l’autorizzazione necessaria all’azienda farmaceutica canadese Biolyse per produrre 20 milioni di dosi di vaccino Johnson&Johnson, con i primi 15 milioni destinati alla Bolivia. A fine anno, la copertura vaccinale complessiva era simile nel Nord e Sud America, con oltre la metà della popolazione completamente vaccinata. Tuttavia, permanevano considerevoli disparità tra i paesi della regione. Mentre Canada, Cile e Uruguay avevano completamente vaccinato tre quarti o più della loro popolazione, Guatemala e Venezuela avevano raggiunto appena un quinto degli abitanti, mentre Nicaragua e Haiti avevano vaccinato rispettivamente meno del sei e dell’uno per cento della popolazione.

LIBERTÀ D’ESPRESSIONE Il diritto alla libertà d’espressione, associazione e riunione è finito sotto attacco in diversi paesi della regione. Giornalisti e persone critiche verso il governo hanno subìto intimidazioni, vessazioni, minacce, forme di censura, azioni penali o diniego d’accesso alle informazioni della pubblica amministrazione in paesi come Brasile, Canada, Cuba, El Salvador, Guatemala, Messico, Nicaragua, Uruguay e Venezuela. A febbraio, la Commissione interamericana dei diritti umani (Inter-American Commission on Human Rights – Iachr) ha assegnato misure precauzionali a favore di 34 membri dello staff del giornale digitale salvadoregno El Faro, che erano stati obiettivo di vessazioni, minacce e intimidazioni.

IMPUNITÀ E ACCESSO ALLA GIUSTIZIA L’impunità per le violazioni dei diritti umani e i crimini di diritto internazionale, così come la mancanza di accesso alla giustizia, alla verità e a forme di riparazione, hanno continuato a essere motivi di grave preoccupazione in più della metà dei paesi della regione. L’indipendenza della magistratura è stata duramente attaccata in Bolivia, Brasile, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Paraguay e Venezuela. Per esempio, in El Salvador, la nuova assemblea legislativa ha adottato una serie di misure che hanno limitato l’indipendenza della magistratura, rimuovendo tra l’altro membri della Corte costituzionale, della Corte suprema di giustizia e il procuratore generale. In Guatemala, magistrati con un ruolo di primo piano nella lotta all’impunità, che lavoravano a casi giudiziari riguardanti gravi violazioni dei diritti umani e corruzione, sono stati rimossi dall’incarico o di fatto impossibilitati ad assumerlo. Nel periodo che ha preceduto le elezioni di novembre, il presidente del Nicaragua Daniel Ortega ha continuato a servirsi degli organi giudiziari e legislativi per implementare tattiche repressive, con migliaia di vittime di violazioni dei diritti umani che attendevano di ottenere giustizia per i crimini compiuti da agenti statali sotto il suo governo. In Venezuela, il sistema giudiziario ha svolto un ruolo significativo nella repressione attuata dallo stato contro gli oppositori del governo, mentre le vittime di violazioni dei diritti umani e di reati sono state lasciate senza tutele. A novembre, il procuratore dell’Icc Karim Khan ha annunciato l’apertura di un’indagine su possibili crimini contro l’umanità commessi in Venezuela. In Argentina, Perù e Uruguay sono stati ottenuti alcuni progressi per assicurare alla giustizia coloro che erano sospettati di responsabilità penale per i crimini di diritto internazionale, commessi negli anni Settanta, Ottanta e Novanta. Ad aprile, il governo americano ha ritirato le sanzioni contro il personale dell’ufficio del procuratore dell’Icc che erano state imposte dalla precedente amministrazione, benché continuasse a non riconoscere la giurisdizione dell’Icc sui presunti crimini di guerra compiuti da personale militare americano in Afghanistan, Iraq o in altri paesi.

VIOLENZA CONTRO DONNE Le misure adottate per proteggere donne e ragazze si sono dimostrate inadeguate in tutta la regione e le indagini riguardanti casi di violenza di genere sono state spesso caratterizzate da irregolarità. In Messico, ad esempio, la violenza contro le donne è rimasta un fenomeno dilagante. Durante l’anno, nel paese sono state registrate 3.427 uccisioni di donne, di cui 887 erano oggetto d’indagine per femminicidio. Le indagini avviate dalla procura generale dello stato del Messico su casi di donne scomparse prima di essere uccise si sono rivelate fortemente viziate. Le forze di sicurezza messicane hanno inoltre fatto ricorso all’uso eccessivo della forza, a detenzioni arbitrarie e violenza sessuale contro donne che partecipavano a eventi di protesta. In Colombia, dove l’Osservatorio colombiano sui femminicidi ha registrato 432 femminicidi nei primi otto mesi dell’anno, le forze di sicurezza hanno regolarmente commesso atti di violenza sessuale contro donne. Sia Paraguay che Portorico hanno dichiarato lo stato d’emergenza a causa dell’impennata di violenza contro le donne. I livelli di violenza sono considerevolmente aumentati anche in Perù e Uruguay. A Portorico, a maggio erano già stati registrati 511 casi di violenza domestica, un brusco aumento rispetto allo stesso periodo del 2020. In Perù, le donne vittime di femminicidio erano state 146, rispetto alle 136 del 2020. Inoltre, tra gennaio e ottobre, erano scomparse 12.084 donne e il 25 per cento dei femminicidi del Perù erano stati in precedenza registrati come sparizioni. In Venezuela, la procura generale ha annunciato che in tutto il territorio nazionale erano operativi 72 uffici giudiziari specializzati in indagini penali riguardanti casi di violenza di genere. Tuttavia, Ong locali hanno messo in discussione la loro reale efficacia e il Centro per la giustizia e la pace ha documentato tra gennaio e giugno 125 femminicidi.