di Maurizio Guaitoli

In morte del Tiranno. Prima o poi. Dipende se il trapasso avverrà durante l'esercizio del suo potere o una volta "pensionato" l'interessato, per amore o per forza. Si è molto discusso, coinvolgendo persino un ambasciatore russo, scortato da un pessimo interprete e, si può immaginare, informato da un traduttore ancora più pessimo, su un commento di Domenico Quirico "Colpire il tiranno è l'unica chance", pubblicato di recente dal quotidiano La Stampa. Nell'articolo, in realtà, l'autore "non" istiga affatto al tirannicidio dell'autocrate vetero-stalinista di Mosca, ponendo piuttosto a se stesso e all'opinione pubblica il seguente quesito: "Siamo certi che l'eliminazione violenta e oligarchica del tiranno non inneschi un caos peggiore? Il pessimismo è obbligatorio. Quasi mai il risultato è stato conforme ai desideri di chi pensava di risolvere tutto al prezzo di una sola vita per di più sciagurata. Nel 1914 il serbo Gavrilo Princip si illuse: ammazzando l'erede al trono austriaco, i problemi dei Balcani sarebbero stati risolti, pensava. Invece eliminò l'unico personaggio che probabilmente, non per indole pacifista, avrebbe impedito che l'Europa precipitasse nella tragedia della Prima guerra mondiale". Infatti, il problema è ben più complesso. Meglio chiarire il tutto, quindi, con due esempi della storia contemporanea: i vergognosi linciaggi dell'irakeno Saddam Hussein e del libico Muammar Gheddafi.

Che cosa ne è stato dei loro Paesi dopo quei due tirannicidi? Un caos totale, costato parecchie centinaia di migliaia di morti in due guerre civili senza fine. Nel caso tripolino, la conseguenza è stata una Libia in mano alle milizie e alle bande di trafficanti di ogni specie (soprattutto di esseri umani). Qui, l'onda lunga del sangue del tiranno si è fatta tsunami, scaricando sulle coste del Mediterraneo e, soprattutto di casa nostra, una folla dolorante di profughi di ogni specie, economici e non, provenienti dall'Africa, dal Bangladesh, dal Medio Oriente e dall'Afghanistan, creando seri problemi di accoglienza e manifestazioni xenofobe in Italia, Francia, Spagna e Grecia.

In quelle situazioni, Vladimir Putin c'entrava poco o nulla, mentre è stato il nostro "Nation building" (vedi Kabul!) che faceva da sostegno al mainstream dell'Esportazione della Democrazia, a creare infiniti lutti e distruzioni, con tanto di bombardamenti sulle città, in nome e per conto dell'Occidente. Ma, allora, che cosa di norma (e quasi sempre) "non" funziona nel tirannicidio, come sottolinea l'intervento di Quirico? Un po' lo si può tradurre con il proverbio "non dire gatto se non ce l'hai nel sacco", nel senso che si rischia di scambiare il contenitore per il contenuto. Ovvero: morto un Papa, come se ne fa un altro, se non c'è la regola del Conclave e mancano i cardinali?

Fuori di metafora: come ci si assicura che chi verrà dopo il Tiranno non sarà peggio di lui, o che al tirannicidio non segua un caos fuori controllo per lungo tempo, come giustamente nota Quirico? In generale, basta osservare la cornice in cui si inquadra la corte dei fedelissimi dell'Autocrate, costituita da vassalli (come gli oligarchi russi, diventati nababbi sotto la protezione di Putin e che senza di lui rischiano di perdere tutto, vita compresa), collocati in tutte le posizioni di comando degli apparati pubblici e di quello militare, in particolare.

Nessuno tra di loro sarà mai un Delfino del Capo in grado di succedergli al potere, ereditandone tutti gli strumenti di ricatto e di coercizione (infatti, il potere non democratico, senza cioè Balance-of-Power, è "sempre" di matrice tribale!), perché tutti coloro che avrebbero potuto farlo sono stati eliminati per tempo in quanto facevano, per l'appunto, ombra al Tiranno. Quindi, nel caso di Putin che cosa ci si dovrebbe augurare? Di sicuro il fallimento (che già c'è) dell'assurda Campagna d'Ucraina, il cui esito disastroso potrebbe dare luogo a una ribellione dal basso dei militari di professione mandati allo sbaraglio, con una sorta di... "Rivoluzione dei Capitani": giovani ufficiali, nati nei primissimi anni Novanta, che non hanno mai conosciuto né il comunismo, né l'Urss. Costoro potrebbero benissimo optare per una società molto più aperta e senza più la tutela di un presidente autocrate a vita.

L'Occidente farà benissimo, qualunque sia l'esisto di questa assurda, sanguinosa e inutile guerra, a mantenere a lungo le sanzioni economiche contro Mosca, perché anche le campagne russe (quelle, cioè, da cui origina il largo consenso di cui oggi gode Putin) si ribellino all'Autocrate, una volta che in Russia divenga intollerabile il costo della vita, a causa della svalutazione del rublo e dell'iperinflazione. Di certo, le attuali sanzioni (come l'estromissione delle banche russe dal sistema Swift) dovranno essere mantenute fino a che non saranno ripagati i danni di guerra subiti dall'Ucraina, che potrebbero essere risarciti coattivamente, imponendo alte tasse sulle forniture energetiche russe all'Europa. In tal senso, un suggerimento è venuto dal professor Ricardo Hausmann, docente di Economia ad Harvard, per cui si potrebbero tassare fino al 90 per cento le esportazioni energetiche russe, che rendono al regime 700 milioni di dollari al giorno, consentendo oggi a Putin di coprire i costi della sua campagna militare di occupazione dell'Ucraina. Con tutti i disastri sistemici politici ed economici che ne sono derivati per il resto del mondo, destabilizzando per decenni il precedente quadro degli equilibri geopolitici.

I sovraccosti relativi, vista la scarsa elasticità delle forniture (nel medio periodo, infatti, per Mosca è impraticabile uno switch verso altri mercati energivori, come la Cina e l'India, non esistendo pipeline in grado di trasportare le stesse quantità di gas erogate ai consumatori europei!), graverebbero interamente sui produttori, e non sui consumatori europei, contraendo così sensibilmente i margini di profitto delle compagnie russe interessate. Tasse che verrebbero, quindi, solo riscosse ma non introitate dagli Stati, per essere riversate in un unico Fondo internazionale per la ricostruzione dell'Ucraina e il sostegno economico ai profughi.

Alcune annotazioni finali. Giustissimo deferire Vladimir Putin al Tribunale Internazionale dell'Aja per crimini di guerra. Ma l'iniziativa desta una certa perplessità, se a chiederla sono gli Usa (che si rifiutano di far giudicare i propri cittadini in divisa a tribunali non americani, vedi i piloti responsabili della strage della funivia del Cermisnel 1998, a causa del tranciamento dei relativi cavi a seguito di una bravata a volo radente!), che prima hanno firmato e poi ritirato la firma dallo Statuto, esattamente come i russi.

Un'ultima, ma non secondaria, annotazione: davvero a norma della nostra Costituzione è reato per un cittadino italiano, che non indossi la divisa, combattere all'estero, a fianco di un popolo oppresso e invaso? Curiosa disposizione, come se durante la Guerra civile spagnola non ci fossero stati un buon numero di Padri costituenti che siano andati a combattere per i Repubblicani, unendosi alla Brigata internazionale che si opponeva in armi e in nome della libertà all'esercito franchista appoggiato dai nazisti. Sinistra e destra si interroghino: che cosa avrebbero detto Sandro Pertini ed Edgardo Sogno in merito a una simile scempiaggine?