di Fabio Marco Fabbri e Rosita Ponticiello

 

La guerra in Ucraina sta sollevando numerosi interrogativi motivati sia dalla causa, sia dalle reazioni. Tra le tante perplessità e prospettive catastrofiche come quelle di impronta nucleare che potremmo giudicare non verificabili e, se eventualmente si verificassero, non resterebbe chi potrebbe smentirle a causa dello sterminio globale, ci sono quelle che riguardano le “normative” Nato le quali, in questi casi, entrano in gioco. Così, alcune ore dopo che l’esercito russo è penetrato in Ucraina, otto ex Paesi dell’ex Unione Sovietica  Polonia, Romania, Repubblica Ceca, Bulgaria, Lituania, Estonia, Lettonia e Slovacchia – hanno chiesto l’attivazione dell’articolo 4 del Trattato del Nord Atlantico.

L’articolo 4 del Patto Atlantico prevede che i membri dell’Alleanza si consultino ogniqualvolta, a giudizio di ogni singolo membro, sarà minacciata l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti. Ogni Paese membro può formalmente richiedere l’attivazione dell’articolo 4 del Trattato del Nord Atlantico. Non appena richiesta l’applicazione, la questione viene discussa e analizzata e può anche concludersi con una decisone che potrebbe prevedere una azione coordinata degli Stati membri in nome dell’Alleanza.

 

Dalla creazione dell’Alleanza, nel 1949, l’articolo 4 è stato attivato sette volte. Tra queste, nel 2003, quando il Consiglio Nord Atlantico si è riunito dopo che la Turchiaaveva attivato l’articolo 4 a causa del conflitto in Iraq con i conseguenti rischi di tracimazione bellica all’interno dei suoi confini (la cosiddetta operazione “Display Deterrence”). Recentemente, è stato invocato anche dalla Lituania, nell’agosto 2021, quando la Bielorussia stava ammassando migliaia di immigrati ai confini dell’Unione europea. Ma la Nato ha applicato anche altre iniziative congiunte ricadenti nel programma di difesa dei propri confini, come l’operazione “Determined Guard”, nel dicembre 1996, un coordinamento militare congiunto tra Nato e l’Unione europea “Occidentale” con il fine di far rispettare le sanzioni delle Nazioni Unite nei territori della ex Jugoslavia; operazione poi continuata nel 1999.

Tuttavia, anche se l’articolo 4 prevede consultazioni tra alleati, la reazione militare non è automatica. Infatti, l’articolo 5 specifica che “le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse (…) sia considerato un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che, se si verifica un tale attacco, ciascuna di esse, in esercizio del diritto di autotutela, individuale o collettiva, assisterà la parte o le parti così aggredite”. Così se l’Ucraina fosse stata membro della Nato, avrebbe potuto attivare l’articolo 5 per richiedere il supporto militare dei Paesi membri. Ma l’Ucraina, come la Georgia, sono Paesi (membri) associati alla Nato, non membri Nato. L’Ucraina, dal 2005, ha intrapreso un meccanismo di pre-adesione chiamato Dialogo intensificato o Intensified dialogue. Al vertice di Bucarest, del 2008, l’Ucraina ha presentato domanda per avviare un Piano d’azione per l’adesione alla Nato, Membership action plan (Map). Nel 2021 ha ottenuto il Membership action plan, approvato dall’Assemblea parlamentare nel gennaio 2022; probabilmente il fattore che ha dato definitivamente fuoco alla miccia di Vladimir Putin.

 

Sull’altro piatto della “bilancia normativa”, sotto un aspetto diverso, anche la Russia sta “legiferando” in ambito di “stato di emergenza vero”; infatti il 4 marzo la Duma, Camera bassa del Parlamento russo, ha votato e adottato una legge, firmata da Vladimir Putin ed entrata in vigore il 5 marzo. La legge prevede sanzioni pesanti e condanne fino a quindici anni di reclusione per coloro che diffondono “false informazioni sull’esercito russo, soprattutto se ha gravi conseguenze per le forze armate”. In effetti, la disposizione normativa vieta qualsiasi forma di giornalismo indipendente nel Paese e qualsiasi protesta contro la guerra, che nei media russi si ostina a trascurare e a volte a negare. Di fatto, il presidente russo sta mettendo in “isolamento trasparente” la Russia. Detta legge è, chiaramente, un ulteriore inasprimento della già pesante repressione esercitata sui media nazionali e verso gli oppositori della guerra in Ucraina. Ma questa costrizione è esercitata anche sui giornali stranieri indipendenti presenti in Russia e sui territori annessi controllati. Proprio la legge del 4 marzo ha permesso di bloccare molti social network, tra cui Facebook. A corredo di questa attività legislativa, un altro emendamento prevede sanzioni per coloro che pubblicano “inviti a imporre sanzioni alla Russia. Queste normative si applicano a tutti i media, a giornali e giornalisti privati, ai giornalisti stranieri.

La guerra che si sta combattendo è anche una “guerra di informazione”, come verifichiamo quotidianamente. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha difeso la forte scelta fatta dal Governo russo, ritenendola necessaria per ottimizzare una difesa globale; non un attacco! Come possiamo constatare la “battaglia mediatica” è un’arma complementare alla “battaglia convenzionale” e, nell’ambito di una globalizzazione informativa, riuscire a scorgere sfumature di verità risulta oggi estremamente complesso.VV