DI CLAUDIO PAUDICE

Se serve un altro pacchetto di sanzioni evidentemente quelli fin qui approvati non bastano. L'Unione Europea si appresta a lanciare nuove misure nei confronti di Mosca per aver invaso e aggredito militarmente l'Ucraina. Lo ha annunciato il Commissario economico Paolo Gentiloni chiarendo però che "non riguarderanno l'energia". Bruxelles ha sempre adottato un approccio graduale nell'applicazione delle misure ritorsive verso la Russia, consapevole che si tratta di armi a doppio taglio. Dopo quaranta giorni di un conflitto che tutti a parole vorrebbero finisse domani, tuttavia alcune domande si impongono: la Russia è davvero isolata economicamente e finanziariamente? I danni arrecati alla sua economia sono superiori a quelli autoinflitti dall'Europa a se stessa? In altre parole, le sanzioni stanno funzionando? Un mese o poco più è chiaramente poco per valutare la loro reale efficacia ma sembra invece sufficiente per pesare gli ingenti contraccolpi, più immediati, che l'Europa sta provando in queste settimane sulla sua pelle. D'altronde per farsi una idea bastano le parole della Commissaria Ue alla Concorrenza Vestager di qualche giorno fa: "Cosa possiamo fare noi tutti? Possiamo controllarci quando ci facciamo la doccia e quando la fanno i nostri figli. E quando chiudiamo l'acqua possiamo dire: 'Beccati questa, Putin!'". Messa così non pare una strategia di lungo respiro ma di certo incarna il timore più grande che l'Ue spera di non dover affrontare, presto o tardi, ovvero di dover intervenire sulla domanda di gas. Detta meglio, un razionamento del consumo di metano e di elettricità. Un riferimento simile lo aveva fatto qualche giorno prima il ministro dell'Economia tedesco Habeck parlando ai suoi cittadini: "Se riducete l'uso di gas ed energia elettrica state aiutando la Germania e l'Ucraina". Il governo dei Paesi Bassi, dove l'inflazione a marzo è arrivata quasi al 12%, ha lanciato una campagna pubblicitaria su tutti i principali quotidiani del Paese per sollecitare i cittadini a ridurre i consumi di gas.

Da settimane l'Ue è alle prese con una crisi energetica senza precedenti, che si acuisce ogni giorno che passa sulla scia delle crescenti minacce del Cremlino di interrompere i flussi di metano verso l'Europa. I rincari stanno colpendo duramente l'economia del vecchio continente: venerdì Eurostat ha registrato il record storico dell'inflazione nell'area euro, salita al 7,5%. La Bce, nel tentativo di frenare la corsa dei prezzi, si prepara a un rialzo dei tassi entro l'anno, alimentando i timori in un contesto di incertezza di una recessione economica, come già avvenuto durante la crisi del debito. A novembre scorso, a causa dei prezzi del gas, l'Eurozona è entrata per la prima volta dal 2014 in deficit commerciale, cioè il valore delle sue importazioni ha superato quello delle sue esportazioni. Un trend che si è confermato anche a gennaio, come diffuso da Eurostat a fine marzo. I prezzi delle materie prime non energetiche e minerali come grano, alluminio, nichel, ferro, acciaio sono su livelli estremi da settimane e stanno minacciando la ripresa economica post-Covid. Tutti gli Stati membri stanno aggiornando le loro stime di crescita: in Germania, ad esempio, il gruppo dei saggi che consiglia sulle questioni economiche il Governo federale ha abbassato drasticamente le previsioni per il 2022, con un Pil che è passato dal 4,65 all'1,8%. Inoltre a marzo è stato registrato un crollo storico di 93,6 punti per l'indice Zew che misura la fiducia delle imprese: si tratta del più grande calo delle aspettative dall'inizio dell'indagine nel dicembre 1991. L'Italia non se la passa meglio: nel Def che il Governo Draghi sta per emanare, la crescita verrà rivista "significativamente", e verrà probabilmente fissata sotto la soglia del 3%, rispetto al 4,7% previsto dall'esecutivo solo lo scorso autunno. Anche l'attuazione del Pnrr viene minacciata dai rincari delle materie prime che mettono a rischio progetti e cantieri e il Forum Ambrosetti ha chiesto a Draghi di rimaneggiarlo alla luce del nuovo quadro economico. Ma i danni che l'Ue sta patendo non sono solo economici, pure politici. Su come intervenire per mettere un tetto al prezzo del gas c'è una profonda frattura tra Sud Europa, Italia in testa, che lo vorrebbe, e il Nord che invece non lo vuole per tutelare il mercato, in questa fase piuttosto disfunzionale.

L'ultima mossa di Putin di imporre l'obbligo dei pagamenti a Gazprom in rubli (per vie traverse, è spiegato qui) potrebbe innescare nuove tensioni sui prezzi dell'energia o, addirittura, la chiusura del rubinetto del gas se le aziende europee dovessero rifiutare di aprire conti in rubli presso GazpromBank. Perché l'Ue al momento non è in grado di sostiture le forniture di Mosca con altre, avendo per anni sottovalutato i rischi derivanti da una eccessiva dipendenza energetica da un unico Paese. Oggi la Russia fornisce circa il 40% del gas consumato in Europa e ci vorranno anni, nuovi accordi commerciali, investimenti e progetti infrastrutturali per poterlo sostituire, durante i quali probabilmente i costi di approvvigionamento potrebbero anche ulteriormente salire, specie quelli nel mercato di gnl, piuttosto tight e con la concorrenza spietata dei clienti asiatici di lunga data. Del gas russo non se ne può fare a meno per ora se non si vuole andare incontro a una crisi economica certa e profonda: se Mosca chiude il flusso domani, "molte cose crollerebbero qui, avremmo alti livelli di disoccupazione e molte aziende fallirebbero. Questo porterebbe a danni irreversibili", ha detto in una intervista alla Faz il Ceo del gruppo chimico tedesco Basf. "Per dirla senza mezzi termini: questo causerebbe la peggior crisi per l’economia tedesca dalla fine della seconda guerra mondiale e distruggerebbe la nostra prosperità. Per molte piccole e medie imprese in particolare, potrebbe significare la fine. Non possiamo rischiare!".

Ecco spiegato perché l'Ue ha le mani legate nell'applicare le sanzioni contro Mosca per farla desistere dai suoi obiettivi militari in Ucraina. Lasciare aperta la porta del gas vuol dire fornire al Cremlino delle scappatoie più o meno agevoli per aggirare le misure adottate nei suoi confronti, a partire da quella più drastica: il congelamento di metà delle riserve valutarie in dollari ed euro, circa 330 miliardi a cui Mosca non ha più accesso. Quelle risorse erano state lentamente accumulate dal 2014 dopo l'invasione della Crimea, in preparazione di possibili sanzioni che avrebbero tagliato la Russia dall'accesso a valute forti con cui sostenere la sua economia interna, la sua moneta e le sue importazioni. Dopo il blocco delle sue riserve e l'esclusione di alcune banche russe dal circuito dei pagamenti internazionali Swift, il rublo è crollato arrivando a scambiare intorno ai 150 sul dollaro. Ma per effetto delle contromisure adottate dal Cremlino (controllo dei capitali, obbligo di conversione in rubli dei ricavi dell'export in valuta, tasso di interesse al 20% ecc) è tornato sui livelli pre-bellici, scambiando a circa 80 sul dollaro. Se Mosca dovesse realmente costringere i Paesi "ostili" a convertire in moneta russa gli importi che paga per le sue forniture di gas, gli economisti si aspettano un ulteriore rafforzamento del rublo ma soprattutto un costante afflusso di valuta forte in Russia libera da sanzioni che Putin potrà utilizzare in vari modi per aggirare le sanzioni in vigore: oltre a essere convertita in rubli per ripagare Gazprom, potrà essere fornita al sistema finanzario russo per stabilizzare il rublo, essere girata ai debitori russi in valuta straniera per ripagare i creditori senza andare in default (ad esempio su pagamento di cedole e bond a scadenza come si era temuto fino a qualche giorno fa) e agli importatori russi per l'acquisto di beni e servizi all'estero. In pratica rendendo così vano il congelamento delle riserve.

Tutti gli istituti economici e di credito prevedono che la Russia pagherà a caro prezzo la sua invasione dell'Ucraina con un crollo del Pil a doppia cifra, tra il 10 e il 15%. Ma il contraccolpo economico non basterà a far cambiare gli orientamenti di Putin: "Ci vogliono colpire nel nostro diritto alla libertà e all'indipendenza, nel nostro diritto di essere Russia ma non sacrificheremo per questo i nostri valori", ha promesso il leader del Cremlino. Il rischio di default del debito russo per ora sembra scongiurato, dal momento che Mosca sta ripagando le cedole e le obbligazioni in scadenza nella valuta di denominazione dei contratti. Lunedì arriverà il vero redde rationem con un bond in scadenza da due miliardi. Ad oggi i pagamenti in valuta estera sono consentiti per ripagare i creditori occidentali grazie a una licenza emessa dal Tesoro americano, la numero 9 all'Ordine Esecutivo 14024, che prevede che tutte "le transazioni vietate" necessarie "per facilitare, compensare e regolare le negoziazioni di titoli di debito o azioni sono autorizzate fino alle 12:01 am ora legale orientale del 25 maggio 2022". In pratica il default sovrano è rinviato almeno fino a giugno.

Ogni stima degli effetti delle sanzioni sull'economia russa è comunque avvolta dall'incertezza, ad essere certi sono invece i copiosi introiti che stanno affluendo nelle casse Mosca grazie alle sue forniture di un gas che costa sempre di più. I ricavi dalle sue esportazioni di energia potrebbero arrivare a oltre 320 miliardi di dollari, più di un terzo rispetto al 2021, se gas e petrolio continueranno a essere esentati dalle misure occidentali, secondo Bloomberg Economics che stima un surplus delle partite correnti di circa 240 miliardi di dollari. I calcoli potrebbero cambiare completamente nel caso di un embargo, anche parziale, alle vendite di energia, dirette in misura principale verso l'Europa. Ma al momento "il singolo maggior driver del surplus russo continua ad apparire solido" - scrive in un report l'Institute of International Finance - "con le attuali sanzioni, i forti afflussi di valuta forte sono destinati a continuare". L'avanzo delle partite correnti della Russia in queste settimane sta viaggiando al doppio del ritmo normale grazie ai rincari delle materie prime. Sempreché Putin non decida di adottare lo stesso schema adottato per il pagamento del gas in rubli anche per le altre materie prime di cui è un rilevante esportatore, come minerali (nichel, palladio), fertilizzanti, grano, petrolio, carbone, metalli, legname.

Chiaro che per effetto delle sanzioni la Russia potrebbe affrontare presto o tardi la carenza di forniture non tanto di materie prime, di cui è ricca, ma di componenti meccaniche e tecnologiche, semilavorati e beni di consumo che non è in grado di produrre a causa di un tessuto industriale poco diversificato. Ma c'è chi nota come le catene di fornitura, nell'arco di pochi mesi, possono essere modificate, dismettendo i vecchi rapporti con i soliti partner per allacciarne di nuovi con altri. Il summit di venerdi tra l'Unione Europea e la Cina serviva proprio alla prima per indurre la seconda a non aiutare Mosca nell'aggiramento delle sanzioni. Bruxelles è uscita dal vertice con un pugno di mosche e nessuna rassicurazione, dal momento che Pechino "sta contribuendo all'economia globale conducendo normali scambi con la Russia". Caduti nel vuoto quindi gli appelli della Commissione ai cinesi di "non interferire con le sanzioni" dal momento che "ogni aiuto prolungherà la guerra". Ma gli interessi economici vengono prima. Vale per gli Usa che hanno introdotto una licenza per il ripagamento dei creditori di obbligazioni russe, vale ad esempio per il Giappone che, malgrado le sanzioni a cui ha aderito, ha fatto sapere di non avere alcuna intenzione di abbandonare il progetto Sakhalin-2 in Russia sul gas naturale liquefatto (Gnl), perché lo considera prioritario per il suo fabbisogno energetico. "Il nostro Paese ha una partecipazione nel progetto che contribuisce ad un approvvigionamento di lunga durata di Gnl, ad un prezzo accessibile. È un accordo vitale per la sicurezza energetica del Giappone", ha detto il premier Kishida, ribadendo allo stesso tempo la volontà dell'esecutivo di ridurre progressivamente la dipendenza dalle risorse della Russia. Il Giappone importa da Mosca il 4% delle forniture di petrolio, e il 9% del gas liquefatto, una presenza che è andata crescendo negli ultimi anni, in corrispondenza dell'incidente nucleare di Fukushima, che ha provocato lo spegnimento dei quattro quinti degli impianti atomici nell'arcipelago. Sakhalin-2 ha visto l'inizio delle operazioni in Russia nel 2009, con una capacità di circa 10 milioni di tonnellate di Gnl esportate e distribuite principalmente tra Giappone, Cina a Corea del Sud.

Un discorso analogo vale anche per l'India che ha già iniziato ad acquistare dalla Russia greggio a prezzi scontati: lo ha rivelato la Ministra indiana alle Finanze Nirmala Sitharaman, durante una trasmissione della rete televisiva Cnbc Tv18. "L'accordo è già operativo", ha detto. "Il nostro governo anteporrà sempre gli interessi nazionali e la sicurezza energetica ad ogni altra cosa. Abbiamo già ricevuto una fornitura pari al fabbisogno di circa tre, quattro giorni, e continueremo". La dichiarazione della Ministra arriva il giorno dopo la visita del ministro agli Esteri russo, Sergei Lavrov, l'unico leader straniero, tra i tanti che nei giorni scorsi sono stati a Delhi, ad avere incontrato il premier indiano, Narendra Modi. Nei giorni scorsi si era parlato dell'offerta, da parte di Mosca, di greggio all'India con sconti di 35 dollari al barile rispetto alle quotazioni pre-invasione dell'Ucraina, per una fornitura di 15 milioni di barili di oro nero quest'anno. Mosca ha offerto pagamenti denominati in rubli e rupie utilizzando il sistema Spfs, bypassando quindi il sistema internazionale di pagamenti Swift.  In cambio, per riequilibrare i rapporti commerciali, Delhi punta ad aumentare le esportazioni di medicinali, prodotti ingegneristici e prodotti chimici verso Mosca. L'India è inoltre il maggior acquirente di armamenti russi.

Ankara, principale mediatore nei negoziati diplomatici tra Russia e Ucraina, ha invitato gli oligarchi russi colpiti dalle sanzioni occidentali a fare affari in Turchia. I Paesi dell'Opec rifiutano di aumentare la loro produzione di greggio, come richiesto dagli Stati Uniti per colpire ed estromettere sempre di più il petrolio russo dai traffici commerciali. Insomma, finora su 193 Paesi membri delle Nazioni Unite meno di cinquanta, ovvero meno di un quarto, hanno deciso di partecipare alle sanzioni nei confronti della Federazione di Putin. La Russia quindi non è così isolata, né economicamente né finanziariamente. Il premier polacco Morawiecki l'ha messa giù chiara: "Le sanzioni non stanno funzionando, occorre inasprirle". Per farlo, sarebbe necessario un embargo su gas e greggio, a cui Varsavia è pure disposta, non lo è però l'alleato di Visegrad Orban: "Il gas naturale liquefatto (GNL) dagli Stati Uniti non sarà in grado di sostituire il gas più economico proveniente dalla Russia in Europa", ha detto il leader ungherese ricordando che in Europa ci sono paesi che, per la loro posizione geografica e le peculiarità di sviluppo economico, non possono rifiutarsi di importare petrolio e gas russo, se non altro perchè non hanno accesso al mare e terminali per ricevere GNL o altri gasdotti. Budapest importa circa l'85% di tutto il gas che consuma dalla Russia. Per affossare seriamente l'economia di Mosca e impedirle di aggirare le sanzioni bisogna colpire anche i propri interessi economici. Ma al di là dei proclami e delle promesse al popolo ucraino, nessuno sembra davvero disposto a pagare oltre un certo prezzo: vale per gli Stati Uniti, per l'India, per la Cina, per il Giappone. E vale per l'Europa. Così va il mondo.