di Luca Bianco

Oltre a quella che si combatte in Ucraina c'è anche una guerra dove a fronteggiarsi non sono fucili e carri armati. I protagonisti di questo conflitto parallelo sono il dollaro, il rublo, l'euro, lo yuan. È la guerra delle valute che, da quando il Cremlino ha avviato la sua "operazione speciale" nello scorso febbraio, ha già regalato diversi colpi di scena: il deprezzamento improvviso della moneta russa, il tentativo di aggirare le sanzioni attraverso le criptovalute, il congelamento delle riserve denominate in dollari americani presso la banca centrale di Mosca. E poi, ancora, la minaccia di Putin di far pagare in rubli le forniture energetiche destinate all'Occidente e la decisione di ancorare il valore del rublo all'andamento dell'oro, con il ritorno di un Gold Standard valutario ad oltre cinquant'anni dall'ultima volta. Sullo sfondo, le mosse del gigante cinese: il permesso di far oscillare il rublo con maggiore libertà rispetto allo yuan, l'avvio di un dialogo con l'Arabia Saudita per ragionare insieme di una futura quotazione in moneta cinese del petrolio – da oltre mezzo secolo denominato in valuta statunitense. Ora, Mosca e Pechino si parlano in vista della creazione di una futura moneta internazionale – preferibilmente agganciata alle materie prime di cui la Siberia è ricca – con la quale sfidare il dominio del dollaro come valuta di riferimento dell'economia planetaria.

Gli esperti, d'altronde, lo dicono da tempo. Prima o poi succederà: ad un mondo geopoliticamente bipolare – dove le due superpotenze in campo saranno Stati Uniti e Cina – ne dovrà necessariamente corrispondere uno bipolare a livello valutario. Anche perché non è scritto da nessuna parte che il dollaro è l'unica moneta dominante nell'economia e nel commercio mondiali. Il sistema di Bretton Woods, quello messo in piedi da Washington al termine della Seconda guerra mondiale, con il quale si afferma indiscutibilmente il predominio del bigliettone verde, è finito da più di cinquant'anni. "Nell'estate 1971 – racconta ad Huffington Post Lucio Gobbi, ricercatore in Economia Politica dell'Università di Trento e specialista di affari monetari – il presidente americano Nixon pose fine al cambio fisso tra oro e dollaro, facendoci entrare in una nuova era nella quale si emette moneta senza avere una commodity a cui si è agganciati".

Da allora è successo di tutto. Vero: il dollaro è rimasto centrale. Soprattutto dopo la fine della Guerra Fredda, con il crollo dell'Urss. Grazie ad un vecchio accordo con i sauditi, gli americani sono riusciti ad imporre per decenni il pagamento dei barili di petrolio in valuta statunitense. La letteratura li ha ribattezzati, non a caso, petrodollari. Dall'oro si è passato all'oro nero. "Quando quoti il petrolio in dollari – spiega Gobbi – stai mantenendo forte la domanda di valuta americana, necessaria a comprare barili. E questa domanda, arrivando da tutto il mondo, ha mantenuto il dollaro centrale anche dopo il 1971".

Ma a partire dai primi anni Duemila, paesi come Cina, Russia, India, Brasile, Sudafrica e via dicendo – qualcuno parlava di Brics – hanno acquistato gradualmente una quota di mercato globale sempre più alta. "Quindi è naturale – prosegue Gobbi – che sul piano valutario il dollaro tendesse a diminuire la sua influenza come moneta internazionale". Con l'ascesa della Repubblica Popolare Cinese, i suoi crescenti investimenti nei diversi continenti e l'avvio della One Belt One Road Iniziative – cioè la Nuova Via della Seta – si è iniziato ad utilizzare con maggiore frequenza le banconote con sopra stampato il volto di Mao. Secondo Morgan Stanley entro il 2030 sarà la terza valuta più importante al mondo – dopo dollaro ed euro – facendo decollare le riserve in valuta cinese delle banche centrali dall'attuale 2.5% ad una percentuale tra il 5 e il 10%, superando così lo yen giapponese e la sterlina britannica.

"Chiariamo subito: siamo ancora nel sistema post-Bretton Woods. A dominare sono gli americani. Però oggi c'è chi si pone una domanda ben precisa: se il dollaro non è più legato all'oro e non è più formalmente la moneta di riferimento del sistema, perché dobbiamo usarlo come moneta degli scambi di tutto il mondo?". Una domanda che, ovviamente, si sono posti i cinesi, rivali della superpotenza a stelle e strisce ormai da diversi anni. Un colpo durissimo, a parere di Gobbi, al predominio del dollaro è arrivato quest'anno, cioè "quando gli Stati Uniti hanno congelato le riserve di asset denominati in dollari detenute dalla banca centrale russa". Oltre 600 miliardi di dollari in mano russa, non più utilizzabili da un giorno all'altro. Un evento epocale, secondo Gobbi, perché non era mai successo in precedenza che gli Stati Uniti agissero in questa maniera con una grande potenza. "Era stato fatto per l'Iran, per il Venezuela" ricorda l'economista. "I famosi rogue-states. Ma mai con grandi economie e potenze militari. Bloccare le riserve russe avrà effetti enormi sul sistema monetario".

Il problema, infatti, è molto semplice: quando Washington blocca le riserve russe viene messo in discussione il principio base dell'avere una 'riserva'. Se uno Stato ha bisogno di dollari ma poi non li può usare a sua discrezione, allora il dollaro inizia a perdere la sua credibilità come fonte di stabilità. "Da decenni si conserva il dollaro nelle riserve perché i governi sono sicuri che, cascasse il mondo, manterranno il loro valore intatto". Non è un caso che considerando le riserve in valuta straniera detenute dalle banche centrali di tutto il pianeta, le banconote con le effigi dei principali presidenti statunitensi rappresentano quasi il 60% del totale. Al secondo posto l'euro con il 20%. E poi a seguire lo yen, la sterlina e al quinto posto il renminbi cinese con il 2.7%.

La mossa del Dipartimento del Tesoro Usa rischia di far perdere agli stessi americani uno dei "privilegi" nel detenere una moneta internazionale come il dollaro. "Nel sistema attuale – prosegue Gobbi – dato che il dollaro è considerato la moneta con maggior stabilità al mondo, tutte le altre banche centrali vogliono detenere titoli del tesoro americano, cioè stoccare riserve. Questo dona all'amministrazione di Washington un grande vantaggio. Possono finanziare la spesa pubblica a costi bassissimi perché la domanda c'è sempre. Stiamo parlando d'altronde dell'asset più sicuro al mondo e cioè il debito pubblico americano. Qualsiasi cosa succede, data l'altissima domanda, il debito pubblico Usa costa pochissimo".

Il congelamento delle riserve russe in dollari però – e qui viene l'aspetto geopoliticamente più interessante – non è solo un evento che interessa gli storici della moneta. Le sanzioni Usa hanno creato uno shock, soprattutto per il rublo, crollato di colpo con l'inizio della guerra di Putin. Prima del 24 febbraio, un dollaro veniva scambiato a circa 75 rubli. Tre settimane dopo, eravamo già oltre i 130. Quasi il doppio, praticamente. "Per reagire al duro colpo la banca centrale della Federazione – dice Gobbi – ha dovuto trovare forme alternative al dollaro per evitare il collasso. Il 25 marzo, ad esempio, hanno deciso di ancorare l'oro ai rubli". Una sorta di Gold Standard in salsa russa che ha riportato stabilità valutaria per il rublo, con un cambio fisso di 1 grammo per 5.000 rubli. "Da quel momento in avanti la moneta russa si è apprezzata. Se per un grammo d'oro bastano 62 dollari, basta fare due calcoli che per un dollaro ci vogliono circa 80 rubli". E l'economista dell'Università di Trento non sbaglia, perché in queste ore servono 85 rubli per avere un dollaro.

La seconda mossa di Mosca, di respiro molto più ampio, è il rafforzamento del legame finanziario con i cinesi. Prima l'annuncio del ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov, di voler mitigare le sanzioni occidentali ammassando più riserve in valuta cinese. E poi, le voci della possibile creazione da parte di Pechino e Mosca di una moneta internazionale alternativa al dollaro. Formalmente, il dialogo è portato avanti dall'Unione Economica Eurasiatica (UEE) – cioè la zona di libero scambio tra Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan e Kirghizistan – e da alcuni accademici cinesi. Siamo ancora all'inizio, in pratica. L'idea è semplice: "Le informazioni disponibili al riguardo sono ancora limitate, ma è abbastanza verosimile credere che il piano sino-russo sia quello di creare una moneta internazionale fondata su un paniere di materie prime" spiega Gobbi. Petrolio, gas, metalli preziosi e via dicendo. Tutta roba di cui la Siberia è ricca. Anzi, come ricorda l'economista, UEE e Cina avevano già auspicato in passato lo sviluppo di nuovi sistemi di pagamento per regolare gli scambi tra le due potenze senza dover necessariamente passare per valute di paesi terzi, dollari in primis.

Ecco, al di là delle caratteristiche che il progetto valutario prenderà effettivamente – sempre che si realizzi – la mossa dell'Orso russo e del Dragone cinese, a parere di Gobbi, può assumere una prospettiva credibile per il futuro: "Ci sono interessi economici ma anche geopolitici. Anzi, c'è la possibilità di espandere questo genere di collaborazione anche ad altri paesi asiatici. Pensiamo a Siria e Iran ad esempio, cioè paesi che possono essere facilmente attratti da un sistema alternativo a quello americano". Il vantaggio di una nuova valuta tra questi paesi è facilmente intuibile: "Oggi la Russia, per pagare un paese mediorientale deve prima convertire i rubli in dollari e poi i dollari in valuta locale. Con una moneta alternativa non ci sarà più bisogno dell'intermediazione del dollaro".

Da questo punto di vista, con un timing decisamente poco casuale, non è solo il Cremlino a muoversi. Sì, perché a metà marzo i cinesi non si sono fatti attendere, annusando nell'aria proprio quello che Gobbi ci ha spiegato poco fa: con le sanzioni alle riserve di Mosca, il dollaro rischia di perdere la sua credibilità internazionale. Pechino ha quindi avviato trattative con l'Arabia Saudita per utilizzare direttamente lo yuan nell'acquisto di petrolio. Una mossa rivoluzionaria, dopo decenni di dominio dei petrodollari. Già, perché stiamo parlando rispettivamente della più grande potenza importatrice e del più importante esportatore. "Una tale ipotesi, se realtà, potrebbe portare alla creazione di un polo alternativo in grado di erodere il dominio Usa. A quel punto, infatti, non solo la Repubblica Popolare ma anche altri paesi vicini, Russia in primis, potrebbero fare riferimento allo yuan nel commercio del petrolio".

Da qui a qualche anno potremmo veramente assistere alla nascita di un sistema bipolare valutario, una riedizione della Guerra Fredda – questa volta tra Stati Uniti e Cina – con dollaro e yuan protagonisti? "Non è ancora possibile fare previsioni e non so quale destino possa avere una moneta internazionale tra Russia e Cina" chiarisce Gobbi. "Ma le premesse per cui la valuta americana, da qui a 10-15 anni, potrebbe perdere il suo predominio come unica valuta di riferimento in termini di scambi e riserve ci sono tutte. Al riguardo, se penso al dollaro, mi tornano alla mente le parole di uno dei protagonisti de I Buddenbrooks romanzo scritto più di un secolo fa da Thomas Mann: quella stella brilla ancora tanto. Ma mentre noi qui sulla Terra la vediamo brillare, essa, in realtà, si è già spenta". Insomma, gli Usa sono avvertiti: non date per scontato il dominio del "bigliettone verde".