Il presidente russo Putin (Foto Depositphotos)

di Michele Valensise

I poveri resti di tante vittime riaffiorano dalle fosse comuni. Nel silenzio e nel gelo si documentano esecuzioni, stupri, violenze disumane. Le tracce sui corpi martoriati, le cantine delle torture, le testimonianze dei superstiti sono frammenti sparsi di odio e di ferocia. Con i racconti e i reperti si ripercorre la sciagurata distribuzione di morte e di dolore. I sopravvissuti barcollano increduli, ma ricordano con precisione. Occorre ascoltarli, prenderne nota con cura, senza errate fughe in avanti come la preventiva accusa di genocidio. Non basta, non dovrebbe bastare, l’assuefazione strisciante all’orrore degli ultimi cinquanta giorni per cambiare canale o voltare pagina.

Gli ucraini l’avevano detto, temevano che dopo l’eccidio di Bucha, altre terribili stragi di civili sarebbero venute alla luce. E a Irpin, Borodyanka, Mariupol sono poi emerse nuove vergogne, i segni di una furia indiscriminata. Davanti a lutti e sofferenze così grandi sotto gli occhi di tutti, qualcuno a Mosca ha anche lo stomaco per sostenere che si tratta di una montatura. Altri, da noi, salgono in cattedra per spiegarci che questa è la guerra, con il sottinteso che le violenze sugli innocenti sono inevitabili, con l’ineffabile corollario che chi si difende è di fatto un guerrafondaio e sua sarebbe dunque la vera responsabilità dello spargimento di sangue tra civili.

Mentre si attende col fiato sospeso la preannunciata ripresa del conflitto su larga scala nel Donbass e al Sud, il negoziato è in stallo e l’assedio alla popolazione civile ancora intrappolata, in particolare tra le rovine di Mariupol, non accenna ad allentarsi. Persino un semplice corridoio umanitario, per evacuare in sicurezza donne, anziani e minori, sembra una chimera, come se agli assalitori russi fosse vietata qualsiasi pietà umana. E’ il tentativo di contribuire all’obiettivo della “de-ucrainizzazione”, candidamente teorizzato da Putin e dai suoi ideologhi. Zelensky denuncia che neanche nella seconda guerra mondiale l’Ucraina ha patito crudeltà uguali a quelle perpetrate oggi dall’esercito di Mosca. E’ davvero tutta propaganda?

Il diritto e la giustizia non possono essere travolti impunemente neanche in guerra. Non c’è pace senza giustizia non è uno slogan effimero, un biglietto ingiallito col tempo, deve continuare a essere un monito severo. Negli anni Novanta, anche grazie alla visione e all’impegno dell’Italia, fu creata la Corte penale internazionale con la competenza a indagare e giudicare su crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidi. Con l’approvazione dello statuto della Corte a Roma nel 1998 e con la sua entrata in vigore nel 2002, nuove regole e procedure innovarono il diritto internazionale. Pur priva dell’adesione di Paesi rilevanti, quali Usa, Russia e Cina, la Corte può agire anche nei confronti di cittadini di uno Stato che non l’abbia riconosciuta qualora lo Stato in cui siano stati commessi i crimini ne sia parte o ne accetti la giurisdizione. Quest’ultimo è il caso dell’Ucraina.

A L’Aja è stata già avviata l’istruttoria su possibili crimini di guerra verificatisi sul territorio ucraino. Si raccolgono prove che se ritenute fondate potrebbero portare all’apertura di un giudizio nei confronti dei presunti responsabili, militari o civili. E’ vero che il giudizio non si può svolgere in contumacia e che l’arresto e l’estradizione di eventuali imputati russi (o ucraini) è oltremodo improbabile, ma la sanzione di un procedimento internazionale da avviare nei confronti di militari o politici sarebbe comunque di notevole gravità. Ne limiterebbe, ad esempio, la libertà di movimento in uno dei 123 Paesi parte dell’accordo istitutivo della Corte, nei quali l’imputato rischierebbe l’arresto.

Di fronte alle tragedie quotidiane di chi muore, resiste sotto bombe e missili o fugge in cerca di salvezza, pensare a una forma di giustizia internazionale può sembrare un esercizio molto astratto, forse addirittura inopportuno. Invece la terzietà e l’indipendenza della Corte, la cui azione non è soggetta agli scontati veti in Consiglio di Sicurezza all’Onu, sono elementi da ricordare e rafforzare specie in questa stagione buia. Rivitalizzeremo così l’idea - tanto antica quanto attuale – del diritto come strumento principe per contenere la barbarie e favorire il progresso dell’umanità.