Immagine d'archivio (Depositphotos)

di Antonella Boralevi

La guerra stanca. Stanca chi la subisce, ma anche chi la guarda. Detto così sembra brutale, ma  il dato corrisponde a tutti gli studi sulla comunicazione dei conflitti.
Noi abbiamo accanto la guerra in Ucraina. E dopo 50 giorni, cominciamo a sentire la stanchezza. Dipende, io credo, dal combinato disposto di due fattori.

Il primo è la “spettacolarizzazione di questa guerra”.
Nessun media libero e democratico intende trasformare la guerra in uno show. Tuttavia, come ci ha spiegato nel 1964 Marshall Mc Luhan, il contenuto dipende dal modo in cui viene veicolato. La stessa immagine ha un effetto differente sulla psiche e sul sentimento in base, per esempio, al fatto che sia presentata con una colonna sonora  oppure con il suono che ha in presa diretta. I tanti servizi sulla distruzione delle case dei civili (9000 a oggi) , sui cadaveri freddati a bruciapelo nelle strade, sulle madri incinte e sanguinanti in fuga dalla maternità dell’ospedale bombardata, ci vengono proposti con montaggi sapienti, e sempre accompagnati da musiche classiche o rock o da canzoni sentimentali. L’intenzione è certamente buona, ma l’effetto, io credo, non è quello sperato. Invece di suscitare empatia, i filmati dove l’orrore della guerra viene mostrato con le tecniche di narrazione dei film e delle fiction, provoca uno “slittamento di senso”. Una parte del nostro cervello è abituata a decrittare il binomio immagine+musica come “fiction”. fa fatica a recepirne il dato di realtà.
Poi ci sono i collegamenti con gli inviati di guerra. Spesso si svolgono (per il coprifuoco o per i bombardamenti) con lo sfondo delle camere d’albergo.Questi giornalisti coraggiosi hanno passato la giornata a cercare immagini, prove, testimoni e spesso ci mostrano i loro servizi sul teatro di guerra. Tuttavia, per chi guarda, l’immagine preponderante resta il mezzobusto che parla seduto a una scrivania. E di nuovo il nostro cervello, che per abitudine si attaglia al passato per decifrare il nuovo, perde la drammaticità della situazione e tende a assimilarla alle usuali interviste in tempo di pace.
La guerra in atto  viene dunque, paradossalmente, trasformata in “guerra raccontata” e perde a lungo andare ogni efficacia emotiva e empatica. E qui entra in gioco il secondo fatto.

Un dato di funzionamento della nostra psiche che Freud ha scoperto oltre un secolo fa. Si chiama “rimozione”. Si descrive così: quando un evento  è per la nostra anima intollerabile, l' anima lo cancella dalla  consapevolezza. Accade, per fare un esempio banale ma chiaro, alle mogli che trovano in tasca dell’abito del marito la ricevuta di una camera doppia in un hotel dove non sono mai state con lui.  Il tradimento è intollerabile, la psiche si mette al lavoro. la moglie guarda la ricevuta ma non la vede. Cioè non ne ha consapevolezza. Mi sono chiesta come sia possibile dubitare delle testimonianze di migliaia di inviati di guerra sul campo, dei video ripresi dai droni, della testimonianza del vescovo di Kiev in lacrime, delle fotografie dei cadaveri legati e massacrati, delle carcasse  crivellate dai mitra e schiacciate dai tank delle auto  di chi fuggiva e vi è rimasto ucciso dentro, della pancia che fiotta sangue della donna incinta di Mariupol, morta col suo bambino dopo poche ore dal video del telefonino che l’aveva ripresa in barella.  Come si possa dubitare degli esperti che descrivono i trucchi della propaganda: il braccio alzato del cadavere è una goccia di pioggia sul cruscotto dell’auto da cui è stata fatta la ripresa, per esempio.

E credo che la spiegazione sia proprio il meccanismo della rimozione.
Un atto di tutela di sé, della propria tranquillità  emotiva che, in questo caso, pratichiamo  tutti insieme ma ciascuno in proprio. Noi non possiamo sopportare questo orrore assoluto. Non possiamo accettare quanto ci viene documentato ( per me, l’autopsia di una bambina di 9 anni stuprata da 9 uomini diversi, prima di essere uccisa). Noi non possiamo, punto e basta. La guerra c’è in 176 paesi del mondo, ma la guerra in Siria, in Cecenia, in Libia era percepita come lontana. La guerra in Ucraina è a 2 ore di volo. Riguarda amici che abbiamo, persone con cui lavoriamo, bambini che abbiamo adottato. Noi non ce la facciamo, a reggere a questi indicibili crimini. E allora, che facciamo? Ci attacchiamo al dubbio. "Ci diciamo che mah, beh, però, e se fosse una messa in scena?”, ci diciamo " La propaganda si sa  è la nebbia di tutte le guerre”. Oppure ci diciamo la più ignobile e vergognosa delle frasi “La guerra è guerra”.

Cosa possiamo fare per restare umani? Per resistere alla stanchezza, ci serve il cuore. E cuore ha la stessa etimologia della parola “coraggio”.