Le armi del pacifismo? Uniche ammesse: quelle per la difesa! Quindi, quali armamenti l’Occidente, e l’America in particolare, dovrebbe inviare all’Ucraina per aiutarla a difendersi dall’aggressione putiniana? Interrogando il buonsenso con l’arma più a buon mercato e praticamente a portata di tutti, un coltello da cucina, in quale categoria lo si farebbe ricadere? Vediamo: se io lo utilizzo per tenere a bada, e magari menando qualche fendente al bersaglio utile, un ladro, un rapinatore, uno stupratore opero un’azione difensiva. Invece, ne faccio un uso offensivo (ma che bella scoperta!) se quello stesso coltello lo utilizzo per fare una bella strage in famiglia (di questi tempi se ne vedono in tutte le versioni possibili, chissà perché!). Ma, allora, in caso delle forniture di guerra in cui uno dei contendenti sta certamente dalla parte giusta nella sua qualità di aggredito (malgrado le ben strambe opinioni dei buontemponi filo Vladimir Putin da tastiera o da talk-show), come si stabiliscono e quanto sono fluide le categorie di armi offensive o difensive? Evidentemente, l’esempio suddetto del coltello da cucina appare palesemente insufficiente. Allora, c’è un altro criterio universale che si potrebbe definire sulla base del principio dell’outnumbering (soprannumerario), per cui il perdente è quello outnumbered, per eccesso di fornitura di armamenti all’avversario e a suo svantaggio.  Meglio fare in proposito alcuni esempi “parlanti”.

Dunque, etichettando per semplicità l’aggressore con una bella “A” maiuscola e l’aggredito, viceversa, con analoga vocale “a” minuscola, si potrebbe produrre un seguente elenco para-normativo di condotta. Se “A” mette in campo 100 tank T-72 (una sorta di ferrovecchi di epoca sovietica) ma ad “a” ne diamo altrettanti di tipo Abramsultramoderni, allora è chiaramente “A” outnumbered. Ma che cosa accade se, a fronte di 1000 T-72, forniamo ad “a” 3mila missili “intelligenti” anticarro tipo Javel? Dilemma di non poco conto, come si vede. Perché la situazione appare abbastanza equilibrata, se i missili vanno quasi tutti a bersaglio; ma servono almeno un migliaio di commandos da due/tre unità molto ben addestrate per gestire tremila lanci, con un elevato rischio per la sicurezza da parte chi li usa e li trasporta a spalla. Avvertenza per i cinici: non si sta facendo qui la terribile contabilità dei carristi di “A” arsi vivi nei loro abitacoli; né dei sabotatori di “a” fatti letteralmente a pezzi dalle cannonate di reazione dei carri aggressori. Tanto non serve a niente. Lo si è visto con l’assuefazione delle opinioni pubbliche mondiali ai terribili massacri di civili innocenti video-testimoniati massivamente sui social, in questa come in tutte le altre precedenti guerre di aggressione, come nel caso siriano, yemenita, libico e dello Stato Islamico.

Molto più problematico è invece il parallelismo nel caso dell’arma aerea, per cui tra Sukoy e F-15 vale in linea di massima l’analogia del precedente esempio, orientato al confronto tra tipologie di tank, compresa la parte relativa ai missili Stinger, che tuttavia sono micidiali solo a quote ridotte, ovvero fino a un paio di chilometri di altezza. Va detto, però, che tutte queste considerazioni e pseudo-contabilità sono valide se limitate allo scenario in base al quale le armi difensive e offensive si trovano all’interno degli stessi confini (ucraini, in questo caso). Ma che accade, cari paladini dei distinguo a ogni costo, quando invece le armi offensive (missili di ogni natura, velocità e potenza distruttiva) provengono da distanze pari a migliaia di chilometri dai confini internazionali dell’aggredito, provocando immani distruzioni e lutti in casa di “a” che non si può difendere? A questo punto non sarebbe assolutamente lecito procedere a un deciso outnumbering dotando “a” di armamenti antimissile pari a “n” volte il numero di missili presenti negli arsenali di “A”, visto che stiamo parlando di mero calcolo di probabilità? Tenuto poi conto che se l’aggressore lanciasse (come ha già fatto!) contro l’aggredito centinaia di suoi costosissimi missili ipersonici, questi ultimi andrebbero tutti a bersaglio, visto che i moderni sistemi antimissile sono troppo lenti per intercettarli.

Ma anche quelli “ordinari” lanciati dall’aggressore non possono essere abbattuti al cento per cento nemmeno dalle più avanzate batterie di difesa tipo Patriot! Morale: quale no-fly-zone potrebbe mai fermare questo Armageddon di fiamme e fuoco che piove dall’alto 24 ore su 24? Per non parlare, poi, delle centinaia di migliaia di obici d’artiglieria che costano poco ma che lanciati a stormi, come quelli degli Organi di Stalin, fanno terra bruciata del Paese invaso e spianano la strada ad “A” quando si opera su di un terreno favorevole all’avanzata delle truppe corazzate. Lì, però, l’outnumbering non può avere una contabilità precisa, perché se si forniscono droni-killer antibatterie (il rapporto dovrebbe essere di dieci droni contro una postazione nemica di artiglieria) e li si indirizza a bersaglio con l’appoggio della rete satellitare Usa-Nato, allora forse un certo equilibrio sul campo potrebbe essere effettivamente raggiungibile. Ora, a parte riproporre l’annoso quesito staliniano di “quante divisioni ha il Papa”, rimane il fatto indubitabile che, per salvare il buon nome dell’Occidente e mettere al riparo le democrazie, dovremmo raddoppiare la pioggia di fuoco di Putin solo per dissuaderlo dal continuare come sta facendo, distruggendo un intero popolo che non ne vuole sapere di arrendersi alle sue armate.

Se lasciassimo fare il Papa al Papa, senza nascondersi dietro la sua veste bianca, come fanno i buontemponi della pace a tutti i costi (a carico della vita stessa e del futuro degli ucraini, beninteso!), dovremmo prima dimostrare a Mosca a viso aperto che facciamo sul serio e non abbiamo nessuna paura delle sue assurde minacce nucleari, precisando che noi l’atomica la teniamo ferma lì dov’è, visto che non apparteniamo alla categoria dei suicidi. E che ci fermeremo dal sostenere l’Ucraina quando si fermerà “A” per primo. Allora, forse, otterremo il pieno rispetto del nostro avversario. Aspettiamo al varco, in tal senso, anche il pesce in barile che fa lo gnorri a Pechino con la sua politica internazionale del “né-né”, visto che più dura la guerra, più la fame nel mondo colpirà proprio i suoi luoghi ideali di espansione nel Continente africano. Perché sarà proprio l’Africa a subire nell’immediato futuro la devastazione delle imminenti carestie, per mancanza di grano e di fertilizzanti. Il che potrebbe provocare il fallimento prematuro nei maggiori Paesi africani dei grandi progetti cinesi della Road and Belt Initiative, duplicando per la Cina il gravissimo contraccolpo di de-escalation della globalizzazione, del crollo dei consumi e dei commerci mondiali, attualmente in atto. Certo, la Roulette russa è truccata. Ma forse, a nostro favore, a pensarci bene. Basta rammendarsi per un po’ le calze, invece di ricomprarle subito dai cinesi.