di Pietro Salvatori

Da quando si è sbloccata la questione dei soldi, da quando è riuscito a prendere fiato dalle complicate questioni familiari che gli hanno assorbito tempo ed energie, Beppe Grillo è tornato a far sentire la propria voce nel Movimento 5 stelle. L'entourage di Giuseppe Conte accredita un costante filo diretto con il fondatore, e fonti del partito confermano che tra i due i rapporti abbiano registrato una decisa schiarita rispetto ai tempestosi diverbi di un anno fa.

Un elemento sicuramente positivo per il leader pentastellato, che in una generale fragilità della sua leadership sente quantomeno di avere le spalle coperte. Ma una fonte che conosce bene l'ex comico mette in luce il rovescio della medaglia: "Beppe ha ritrovato un po' di spirito ultimamente, e quando lui rimette la testa sulle cose del Movimento dà per scontato che il suo punto di vista sia ascoltato. Non si vede, ma ci guida una sorta di diarchia in questo momento, anche se Giuseppe riesce ad avere l'ultima parola".

C'è la mano di Grillo dietro la durissima opposizione che i 5 stelle hanno promesso sull'inceneritore romano. Una questione che gli è stata sottoposta da Virginia Raggi, una dei pochi che ha avuto il privilegio di essere ricevuta nell'ultima trasferta romana del garante. Con l'ex sindaca il rapporto è ottimo, forse tra i migliori che Grillo conserva con i suoi. E sarebbe stata proprio Raggi a convincerlo che sul termovalorizzatore voluto da Roberto Gualtieri si dovesse fare opposizione pura e dura, come ai vecchi tempi. Pazienza se di mezzo c'è il Pd e l'alleanza progressista che di qui a un anno dovrebbe sfidare il centrodestra alle urne. Pazienza se si minacci di non votare il decreto che lo contiene, mettendo a rischio la tenuta della maggioranza. Raccontano che da alcune settimane Grillo batta su questo tasto con tutti i suoi interlocutori, un messaggio che a Roma è stato ben recepito: "Lo avremmo fatto comunque, ma la spinta di Beppe su questi temi che sente profondamente suoi è inequivocabile".

È stato poi l'ex comico a spingere Conte a perseguire con decisione la linea del no-armi. Da quando è tornato il sereno tra i due, il blog è tornato a sfornare articoli che hanno ricordato agli smemorati qual è sempre stata la linea internazionale di Grillo: contro gli Stati Uniti, simpatizzante nei confronti della Russia e, soprattutto, della Cina, pronta ad additare gli affaristi e gli speculatori occidentali come veri artefici della crisi scaturita dall'entrata dei carri armati russi sul suolo ucraino.

La linea Petrocelli, insomma, non un passante catapultato per caso alla presidenza della commissione Esteri del Senato, ma un esponente organico di quella che era e per molti versi è ancora il pensiero di molti dei 5 stelle sbarcati in Parlamento nel 2013, quando bollare EuroMaidan come un colpo di stato, dire no alle sanzioni e riconoscere l'annessione della Crimea era la linea ufficiale del partito. Un attivismo con il quale Conte deve misurarsi: se da un lato i post gli creano qualche fibrillazione, è proprio con Grillo che il presidente ha condiviso e maturato i distinguo rispetto alla linea del governo (e del suo ministro degli Esteri).

In queste settimane il fondatore sta facendo sentire la sua voce anche sulle questioni fondative del Movimento, che gli sono particolarmente a cuore. Raccontano che sia furioso per le mancate restituzioni. Soldi che mancano da un lato al partito (i parlamentari sarebbero tenuti a versare un obolo mensile di 1000 euro), dall'altro al conto con il quale i 5 stelle hanno finanziato prima il fondo per il microcredito, poi a iniziative di solidarietà e beneficenza. Ammanchi che azzoppano quella che da sempre è stata una campagna comunicativa del suo movimento, un elemento di distinzione peculiare dalle altre forze politiche che oggi non è possibile, pena accendere un riflettore sugli ammanchi derivati da chi non versa più, per critica all'attuale leadership o semplicemente in scorta alla certezza di non essere rieletto.

Allo stesso modo Grillo continua a dirsi contrario allo scardinare la regola dei due mandati. Una contrarietà sulla quale Conte sta lavorando da mesi, confidando di poter trovare una soluzione. Ma il nodo non è stato sciolto anche per questo elefante nella stanza. Grillo non è ancora convinto dal sistema di deroghe immaginato dal capo politico - soluzione che al momento sembra la più probabile - circola anche l'ipotesi di poter sommare quattro mandati, di cui due da espletare fuori dal Parlamento, nei consigli regionali o comunali. Conte prende tempo: la decisione, qualunque essa sia, sarà esplosiva all'interno dei gruppi, e prenderla a troppa distanza dalle elezioni potrebbe scatenare il caos. "E comunque devono votare i nostri attivisti", continua a ribadire Grillo, e su questo fronte avrebbe già ricevuto le assicurazioni del caso.

Sempre che il tribunale di Napoli non invalidi per la seconda volta l'elezione del presidente, tema che ha fatto registrare non poche preoccupazioni e un filo di irritazione in quel di Genova per come è stata gestita la partita. Senza contare che il bottino alle amministrative sarà ancora più magro del solito, rendendo la strada di Conte ulteriormente in salita. Insomma, i pieni poteri chiesti da Conte nel durissimo braccio di ferro intorno allo Statuto gli sono stati riconosciuti, e di fatto è lui ad avere l'ultima parola sulla linea politica. La penultima, però, continua ad averla Grillo. E ha un peso specifico rilevante.