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di Antonio Saccá

L’arte mantiene la vita in vita, non la vita diretta, immediata, che perisce vivendo, ma la vita espressa in parole, suoni, immagini, sculture, edificazioni, la vita in “forma”. L’arte rende sensibile il concetto, non fa un trattato sul dolore ma fa sentire il dolore, non espone le caratteristiche della gioia ma fa gioire, non tratta l’individualità dell’uomo, la rende, la raffigura. La conoscenza è un mezzo nell’arte mentre nella filosofia e nella scienza è lo scopo. Vi è il pittore che gode del tramonto, lo dipinge e lo fa godere anche a noi, vi è il pittore che predilige la notte, la dipinge e noi potremmo immedesimarci nelle sue notti dipinte. Vi è il pittore che vuole catturare il sorriso, il lievissimo fruscio delle labbra o il brillio dello sguardo che esiste e si nega, e quel sorrisino, quel brillume potremmo apprezzarlo anche noi, niente è risparmiato, scartato dalla percezione artistica. Essa rende con mezzi artificiosi la realtà reale, vi è l’erba ed ecco l’erba a mezzo di colori, vi è la casa ed ecco la casa a mezzo di segni, una metamorfosi incredibile esclusiva dell’uomo, ridare con un mezzo diverso la realtà, che non è realtà, e tuttavia sembra spesso maggior realtà della realtà, perché attinge alla realtà potenziale, a quanto non è comunemente attinto dal non artista.

Avviene l’inimmaginabile, viene fissato un istante che nella realtà non è immobilizzato ma lo è nel dipinto, poniamo, il tempo, l’attimo reso eterno, una piazza veneziana affollata di persone che sosteranno per sempre, memorizzazione della vita, il tempo inchiodato, l’attimo “per sempre”, chi ha dipinto ha stagliato l’istante, e fermato, c’è la vita che resta vita come se fosse, dicevo, marmorizzata (Canaletto), ma, paradossalmente, è vita anche se fermata, anzi: è immobilizzata come vita, la contraddizione pulsativa dell’arte, un gesto da poco, una brocca versata, che verserà, immobilmente, per l’eternità (Vermer), anch’essa da fermo, o una corsa, un inseguimento di sculture ferme che sembrano muoversi (Apollo e Dafne del Bernini)! Come è possibile dare vita a dipinti, statue, edifici con mezzi alterativi, animazione a ciò che fermo, vita alla non vita? È l’arte, soltanto l’arte, che compie questa trasmutazione. Perché? Perché immette la sensibilità nella rappresentazione. È una rappresentazione non per essere conosciuta ma per essere sentita, per suscitare emozione contenendola. Nel Museo di Tokio vi era un quadro, francese, una donna con minuzioso svelamento dei seni resi di coloritura più bianchi giacché di solito coperti in accostamento al restante petto.

Ecco la vita! Quella peculiarità che rivela la femminilità. L’arte, la realtà presa da chi ha fine disposizione percettiva. Infatti, esprimere non si limita a comunicare, tutt’altro, esige la forma che riesce a diventa espressione. Se devo manifestare dolore cadenze, termini, andamento, eventi devono suscitare dolore; e similmente per tutte le emozioni e le passioni, non è concepibile usare cadenze, termini, uguali per passioni dissimili a meno che non si voglia parodiare o mostrare una realtà disemozionata, disappassionata. E siamo al presente. La scissione dell’uomo dalla natura ha negato, ci ha negato suscitio di emozioni, sensazioni. Dalla città non scorgiamo l’alba, qualcosa del tramonto, chi ha voglia di guardarlo, le stelle sono appassite, la luna dorme sola, i galli non cantano, gli alberi stentano, il mare è lontano, strade, macchine, no, non suscitano emozioni, sensazioni, la natura vegetale, la natura animale, millenarie compagne dell’umanità sono al di fuori, talvolta andiamo a trovare la Natura fuori porta, ma non abitiamo nella natura, non sentiamo, non siamo natura nella natura.

E se proseguiremo avremo una natura di laboratorio ed un uomo artefatto. Questo l’andamento antropologico disantropologico. L’arte dove attinge? Non attinge. Al punto che ha negato la figura umana alla pittura, la natura, o a trapezzizzato l’uomo (Picasso), o manichizzato (De Chirico), o linearizzato il vuoto (Mondrian). E poiché siamo, dicevo, ad una svolta antropologica, con l’evenienza che dell’uomo detto umano resti neanche lo scheletro immaginiamo invece che conquisteremo emozioni, sensazioni, rinvirilite, gli spazi, il cosmo, vedere la Terra da migliaia e milioni dall’alto e stupire e sentire e sentendo esprimere, chi sente necessariamente esprime, sicché tornerà l’arte tornando le sensazioni. Colori dello spazio, suoni cosmici, silenzi dei vuoti astrali, tenebre di stelle incenerite. Lassù. Del resto se continua la parata dei paladini nucleari decisi a distruggere non morirà soltanto l’arte, piuttosto l’umanità. Chi sa perché tanta voglia di morte. Eppure è facile capire.

Il potere economico politico si disprezza, sente la falce mortuaria nel denaro e nella tecnologia, cerca ulteriore potenza per stordirsi, illudersi che l’eccesso di potenza valga, ma è una specie di potenza che turbina come il passaggio del vento nel deserto, non reca segno eterno. È la potenza del nulla, il nulla potente. Invece di ristabilire un vincolo con l’arte la Denarocrazia gira a far denaro ma è cosciente del proprio non essere, allora si accanisce a rendersi potentissima, si ubriaca di potere, di potenza. La distruzione è il culmine del potere impotente. Chi ama la bellezza non ha tempo da perdere a distruggere. E troppo impegnato a dare “forma” alla vita per conservarla esprimendola, dandole, appunto, forma, espressione, arte. Vi sono stati assassini amanti dell’arte. Ma, non assolutizzando, noi rischiamo la morte dell’arte e la morte fisica. Se poi, “questo” tipo di potenza distruttiva dà l’illusione che sia vera potenza, non c’è scampo giungeremo all’eccesso per dimostrarlo. Possibile che non vi siano ragioni a favore dell’arte e della vita?! È ancora consentito?