…soltanto la falsità deve essere inventata”, scriveva il pittore Georges Braque nei suoi cahiers, i quaderni intitolati Le Jour et La Nuit. Siamo d’accordo con questa chiara affermazione, che ci riporta al discorso sulla libertà della stampa. Il tema è tornato violentemente alla ribalta dopo che la Segretaria di Stato per gli affari interni del Regno Unito, Priti Patel, del Partito Conservatore, ha autorizzato l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti, dove è accusato di spionaggio per aver pubblicato migliaia di documenti sui crimini delle truppe, la gestione del carcere a Guantanamo Bay e la linea della Presidenza di George W. Bush figlio durante e dopo la guerra in Afghanistan.  Se estradato e sottoposto a processo in USA, il creatore di Wikileaks rischia fino a 175 anni di carcere o addirittura la pena di morte.  Agnés Callamard, Segretaria Generale di Amnesty International ha immediatamente dichiarato: “Questa decisione pone Assange in grande pericolo e invia un messaggio agghiacciante ai giornalisti in ogni parte del mondo”. In molti Paesi europei si sono subito attivate le forze sociali che credono nell’inattaccabile principio della libertà di stampa, sancito anche nella nostra Costituzione all’Art. 21: “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Stanno circolando documenti che, opponendosi all’estradizione di Assange, in realtà intendono difendere, al di là delle azioni del personaggio in questione, il diritto di essere informati della verità sulla gestione dello Stato, diritto di cui godono tutti i cittadini che vivono in una nazione civile e sono protetti, anche fuori dalla patria, dalle leggi di una nazione in cui vige la democrazia. La storia ci insegna che il primo atto di ogni dittatura consiste nel mettere il bavaglio alla stampa, prosegue con la chiusura dei giornali che si ostinano a raccontare la “verità” di cui parla Braques e culmina con l’incarcerare o assassinare i giornalisti che, opponendosi alle favole raccontate dal regime, perseverano nel rendere noto quanto avviene davvero, usando ogni possibile mezzo. Un dato, che dovrebbe costringerci a pensare, è quello dell’uccisione di 21 giornalisti russi, in Russia o altrove, da quando Putin è salito al potere, come documentato dalla Glasnost Foundation. Ci ricordiamo tutti che Glasnost, introdotta da Mikhail Gorbachev, garantiva la libera discussione di argomenti politici e sociali, le critiche all’operato di esponenti del Governo e una più libera diffusione di notizie. Dopo il colpo di stato dell’alcolista Boris Eltsin e l’ascesa al potere dello zar Putin, di tutto questo non c’è più traccia, come dimostrano le quotidiane esternazioni di ridefinizione della realtà – prima di tutto sull’Ucraina – da parte del Presidente russo. In Italia ogni partito, lega, forza di qualcosa, fratelli di qualcos’altro, movimento e neonata espressione politica confluita nei Gruppi misti del Parlamento, gode di accesso alla stampa, ove non possegga una testata propria o assoggettata. Non parliamo della RAI, che ha consegnato i TG e RAINews 24 alle aree considerate maggioritarie (centrodestra, lega e/o M5S e centrosinistra). Mamma RAI distribuisce inoltre, più o meno equamente, interventi nei plurimi talk show, condotti, a loro volta, da appartenenti a specifiche aree di partito. Sta ai diversi rassemblements decidere chi mandare in TV. Ecco apparire le talking heads, ovvero teste parlanti, scelte fra inarrestabili donne stridule che nessuno riesce a interrompere e uomini che parlano tutti allo stesso tempo, in una cacofonia di parole così maleducata e frastornante che il telespettatore cambia canale e va a godersi un film di Totò, per ristabilire dentro di sé il senso della vita vera, descritta con intelligente senso dell’umorismo. O tempora, o mores! Tempi e costumi di vita in caduta libera. Reti di Social su cui chiunque può affermare qualunque cosa e dipingersi nel modo più autoesaltante e falso immaginabile. Almeno, tutto questo attua i dettami del citato articolo 21, contenuto nella parte prima: “Diritti e doveri dei cittadini”, Titolo primo “Rapporti civili”, della Costituzione. Ecco, le libertà di espressione e di stampa definiscono il livello di “civiltà” di ogni Paese e delle sue leggi. Il destino di Assange è legato a valutazioni autoprotettive, nello scacchiere internazionale, che poco o nulla hanno a che fare con il vero significato dei principi della libertà di stampa e del diritto a conoscere la verità sui fatti che ci toccano da vicino, direttamente o indirettamente. Ma il nuovo dialogo, provocato dalla decisione del partito della Ministra, Madam Patel, ci riporta a una situazione che ci coinvolge in prima persona e ci costringe a porre pubblicamente, di nuovo, un paio di domande. Come può un funzionario dello Stato – che in teoria deve essere al servizio della Repubblica e rispettare la nostra Costituzione – permettersi di emanare un proprio diktat, contra legem, per provocare la chiusura di un quotidiano di informazione ecumenica a favore degli italiani all’estero? Come può, a sua volta, il potere centrale consentire un’azione così devastante, della quale potrebbe essere lecito sospettare – ma noi non lo facciamo e non lo faremo mai – un movente di astio personale o, peggio, di asservimento agli interessi di una forza politica locale? A tutt’oggi non abbiamo ricevuto risposta a queste richieste, malgrado l’Art. 28 della Costituzione imponga: “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti”.  E non possono, aggiungiamo noi, autogiustificarsi nascondendosi dietro il parere del locale Com.It.Es., quello sì certamente motivato dall’astio personale (e dal persistente debito pubblicitario) del Presidente e dagli interessi del partito politico cui appartiene insieme alla maggioranza dei Consiglieri. Gutta cavat lapidem, dicevano i latini, la goccia scava la pietra. Ci auguriamo che il nostro stillicidio, prima o poi, giunga alle orecchie di quei funzionari della Repubblica Italiana che non solo si sentono servitori dello Stato, ma anche agiscono come tali.

( CARLO CATTANEO )