Giuseppe Conte (foto depositphotos)

di Gabriella Cerami

Stefano Ceccanti, il massimo esperto di meccanismi elettorali e parlamentari, ha una processione di deputati M5s e dimaiani davanti a sé: “Dimmi qual è il seggio in cui vengo eletto sicuro”. Nel cortile di Montecitorio non si parla d’altro. I deputati contiani sono sotto shock da ieri sera, da quando il governo Draghi non c’è più. Uno di loro riassume così la vicenda: “Conte ha acceso un fiammifero in una stanza piena di gas ma poi non ha più capito cosa sia successo”. È chiaro a tutti che la situazione all’ex inquilino di Palazzo Chigi sia sfuggita di mano creando un patatrac che neanche lui aveva immaginato fino in fondo confuso tra il no alla fiducia, l’appoggio esterno e la convinzione che l’esecutivo sarebbe andato avanti anche senza M5s. Lo pensavano un po’ tutti, convinti che avrebbero avuto davanti a sé altri sei mesi di legislatura, che equivalgono a sei mesi di stipendio sicuri. E i musi lunghi dei grillini si moltiplicano nel calcolo dei soldi che Giuseppe Conte scatenando la crisi ha tolto dalle loro tasche.

I deputati pentastellati non se ne fanno una ragione: “Ma noi avevamo dato la disponibilità per un appoggio esterno, perché Draghi ha detto no? Che problema c’era se non abbiamo votato il Decreto Aiuti?”, si domanda Saitta. “Il problema è che Conte l’ha gestita male, ha voluto sfidare Draghi, alla fine è andato contro tutti”, risponde il collega: “Ma questo, per favore, voi giornalisti non lo scrivete”. Nessuno oggi parla apertamente di sfiducia al capo M5s né si parla più di scissione da queste parti, perfino Davide Crippa, il capogruppo che avrebbe dovuto portare via con sé verso Di Maio trenta deputati, ora sta zitto e buono: “Perché mi avere attaccato?”, dice ai colleghi: “Io volevo solo salvarvi”.

In fondo il presidente M5s ha avuto la benedizione di Grillo, per il quale ha fatto bene a sfiduciare Draghi, quindi è a Conte adesso che tocca fare le liste delle ormai imminenti prossime elezioni. E a proposito di liste arriva anche l’avvertimento del Garante: “La regola dei due mandati rimane”. Avvertimento che fa arrabbiare Paola Taverna e compagnia, tutti coloro che sono in Parlamento dal 2013, convinti che il presidente M5s avrebbe trovato un escamotage per tenerli tutti a galla. I nervi sono a fior di pelle. I parlamentari vorrebbero fare la voce grossa con Conte, ma per andare dove? “Chi ci ricandida?”, domanda un senatore. E quindi si torna dal dem Ceccanti: “Quanti seggi dovremmo prendere? Tu lo sai?”. Oggi ci vorrebbe una sfera di cristallo anche perché ancora non è stato sondato l’elettorato di Luigi Di Maio. Ma anche dalle parti di Insieme per il futuro non stanno messi bene. Pensavo di lanciare la grande convention a settembre per creare il nuovo partito, ora non hanno neanche il tempo di depositare il simbolo e dovranno usare quello di Centro democratico.

Nel frattempo i deputati grillini, nel cortile di Montecitorio, seduti distanti dai colleghi del Pd con cui a mala pena si parlano, leggono la raffica di lanci di agenzia con le parole di Enrico Letta: “Il non voto di fiducia peserà e impatta molto sulle prossime elezioni”. Che tradotto significa che il ‘Campo largo’ non c’è più. Ma da via di Campo Marzio si fa di tutto per far trapelare serenità e infonderla ai parlamentari che questa serenità non ce l’hanno affatto. “Il Campo progressista esiste e lotta insieme a noi”, dicono i più stretti collaboratori di Giuseppe Conte. E insistono: “Noi lavoriamo sui programmi, sui progetti, su ciò che serve all’Italia. Domenica abbiamo le premarie in Sicilia e nel Lazio amministriamo insieme. Alle Politiche vediamo chi sta con noi”. È questa l’ultima trovata fantasiosa degli strateghi contiani che sa di beffa: inviare messaggi amorosi ai dem per dire loro che nulla è cambiato, che ci si può rifidanzare, che un litigio non è per sempre e insomma ci si può alleare ancora. E se non volessero farlo, la colpa non è certo di Conte, così come – dalla sede M5s – continuano a dire che la responsabilità della caduta del governo Draghi non è da cercare da queste parti.

Ma tanti parlamentari sono esterrefatti dal “capolavoro” dell’ex premier che in un colpo solo “ci ha tolto il seggio e non ce ne può garantire un altro”. Perfino Paola Taverna che è stata la pasionaria di tutta questa vicenda adesso andrà ricollocata in altra sede che non sia la Camera e il Senato ma Grillo con tutti, e soprattutto con lei, si mostra benevolo: “Vi trovo un altro posto”. Mentre dal quartier generale di Conte minimizzano anche su questo: "Ma no, il quesito è sempre lì, dobbiamo decidere quando pubblicarlo". L'ex premier teme davvero la rivolta, che questa volta non risparmierebbe neanche i suoi fedelissimi.

Lo spaesamento dei peones stellati somiglia a quello degli studenti che non sanno se saranno promossi e se l’anno successivo si vedranno ancora con i compagni. E tutto un chiedersi a vicenda: “Ma domani dobbiamo venire a lavorare in commissione o no?”, domanda Luciano Cantone. “Ma no, non hai capito. È finita, vengono sciolte le Camere”, spiega l’altro. Oppure un altro deputato chiede: “Ma tu che dici vado a parlare con Di Maio?”. Si spulciano gli ultimi sondaggi ma non corrispondo alla fotografia attuale. E se torna Alessandro Di Battista a fare la campagna elettorale con Conte? Alla domanda Ceccanti alza le braccia al cielo: "Non ho ancora calcolato che traino possa avere per tutti voi". L'aria è sempre più dimessa, tendenti al singhiozzo.