Putin
Vladimir Putin (foto: Depositphotos)

di Adriana F. Brasca

Nella gran parte dei Paesi del mondo, il ventesimo secolo ha visto l’avvento degli Open Data sulla scena pubblica. La filosofia in questione vuole che determinate categorie d’informazioni siano rese disponibili gratuitamente all’uso da parte di chiunque.

Sono molti infatti gli aspetti della vita pubblica in cui gli Open Data possono fornire valore aggiunto. Per esempio, possono aiutare i cittadini a prendere decisioni migliori sull'accesso e sull'utilizzo dei servizi pubblici. La governance partecipativa permette, in questo modo, un maggiore coinvolgimento politico e istituzionale.

Per questo motivo, molti governi hanno approvato leggi che permettono ai giornalisti e al pubblico di accedere ai documenti ufficiali dei governi, come il Freedom of Information Act degli Stati Uniti. In alcuni casi, questo diritto è stato stabilito anche prima: l'accesso del pubblico ai documenti secretati era un principio fondamentale della legge svedese sulla libertà di stampa già nel 1766.

La Russia, a riguardo, ha ancora molta strada da fare. Per la prima legge che concede accesso alle informazioni pubbliche si è dovuto aspettare fino al 2009.

Proprio come gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno creato “data.gov" e “data.gov.uk", le agenzie governative russe hanno iniziato ad aprire i propri portali al pubblico.

La politica sulla trasparenza dei dati si stava sviluppando abbastanza rapidamente. Poi, nel 2014, il processo ha subito un brusco arresto: gran parte dell'infrastruttura per la trasparenza delle informazioni, apparsa durante l'era Medvedev, aveva di fatto lo scopo di promuovere alcuni obiettivi chiave della politica estera del Cremlino. In particolare, gli oligarchi volevano traghettare il Paese all’interno dell’OCSE – Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa – istituzione dove la libertà d’informazione è una priorità.

Nel 2013, al vertice del G8, Putin e altri leader avevano firmato un accordo per rendere open i dati ufficiali, ma dopo l'annessione della Crimea nel 2014, la Russia è stata espulsa dai progetti del G8 e il suo processo di adesione all'OCSE è stato di fatto sospeso.

Prima dell’Annus Horribilis 2014, ampliare l'accesso ai documenti pubblici aveva anche l’obiettivo di adattare l’agenda interna del Cremlino a quella estera: con la creazione di nuove istituzioni dedicate alla trasparenza del governo, si voleva placare la classe media di Mosca e San Pietroburgo, scesa in strada a protestare contro le elezioni truccate che avevano richiamato Putin alla presidenza. Da quando i sogni dell'OCSE si sono infranti, non c'è stato alcun motivo per continuare su quella linea. Col montare del cesarismo putiniano, la politica in Russia non aveva più bisogno di legittimazione.

Molti apparati d’interazione con l’opinione pubblica russofona si sono sgretolati nel corso degli ultimi otto anni. La piattaforma “regulation.gov.ru" resta di fatto la parodia di una reale comunicazione con i cittadini. Dalla fine di febbraio, infatti, le autorità hanno iniziato a rimuovere informazioni specifiche con rinnovata urgenza. Si può notare come, per esempio, i dettagli sui membri del consiglio di numerose società sanzionate da parte degli occidentali siano scomparsi. Questo perché il governo vuole forzatamente limitare la risonanza sulla percezione pubblica delle ricadute economiche della guerra. Per non parlare, poi, dei numeri reali dei coscritti e dei caduti in suolo ucraino.

La società russa, in questo senso, rivela ancora grosse difficoltà ad assicurarsi il diritto di richiedere e ricevere informazioni governative specifiche, fondamentali per stare, oggi, nell’arena internazionale trasferitasi nel cyberspazio.

La rete non è considerata da Mosca in virtù della relazione, bensì della possibilità di diffusione del potere, che si mimetizza, nascosto sotto la pretesa di orizzontalità delle infrastrutture digitali.

Le pagine Internet delle rappresentanze moscovite presentano ancora una vecchia impostazione nel piano comunicativo: prendendo in prestito la metafora che descrive il web come una grande piazza, si potrebbe dire che servirsi solo di un sito o un account statico per comunicare è come posizionarsi in un angolo con dei documenti informativi, non davvero comunicativi, in mano, senza intercettare un reale riconoscimento da parte del pubblico.

Limitarsi a pubblicare notizie non è più sufficiente; occorre essere pronti a instaurare un’interazione reale, partecipando ai forum online e portando i messaggi direttamente nei luoghi in cui si svolgono le discussioni pubbliche.

Lo Stato forte, la cui filosofia determina gli spazi di liberalità concessa o meno nella pratica comunicativa pubblica ex-sovietica, è la scorciatoia su cui i leader russi hanno cercato di scaricare altre debolezze: l’arretratezza della società civile e la povertà dell’economia. Qui sta tutto il paradosso della “Superpotenza Fragile”. Ma neppure questo controllo pieno, accentrato e autoritario sull’apparato statale ha mai veramente curato il senso d’insicurezza della nazionale che affligge le élite russe. La stretta contro le libertà attuata all’interno viene da Putin giustificata come la minaccia di un nemico esterno, isteria di cui tutto il rumore sull’Ucraina è un esempio perfetto.

Il cesarismo putiniano, declinato nella sfera comunicativa, non si preoccupa del consenso dell’opinione pubblica. Anche l’adunata allo stadio Luzhniki di Mosca, con il discorso alla nazione del presidente e la mobilitazione forzata, ha segnalato, una volta di più durante questi mesi di guerra, come finalità primaria fosse la propaganda, mancando di una reale strategia comunicativa interna, prima che internazionale.