di ENRICO PIRONDINI

Api operose, elefanti, asinelli. È lo zoo dei partiti. Il saccheggio continua. Tra il 12 e il 14 agosto saranno depositati i simboli e le indiscrezioni e conferme ribadiscono gli antichi gusti.

Zoologia e botanica ispirano sempre i creativi. Anzi, piante e fiori restano storicamente le più utilizzate. Il ventaglio è ampio: si va dal garofano alla stella alpina.

È così da oltre un secolo. Da quando cioè la raffinata matita dì Thomas Nast, il padre del fumetto americano, ha creato (1874) per il Partito Repubblicano, l’elefantino Gop. Il vignettista ha poi creato l’asinello per i democratici utilizzato per la prima volta nel 1928, nella campagna elettorale per la Casa Bianca. Per la cronaca portò fortuna al candidato democratico Andrew Jackson, settimo presidente degli Stati Uniti d’America, in carica dal 1829 al 1837.

IL SIMBOLO BESTIALE PER LE URNE DEL 25 SETTEMBRE - Di Maio e Tabacci – un napoletano ed un mantovano – per la loro lista (“Impegno civico”) hanno scelto un’ape, come Rutelli nel 2010 (Alleanza per l’Italia).

Ape operaia, si capisce. L’ape che non si ferma mai. L’ape che difende il Palazzo (alveare), che procura il cibo a tutte e che trova pure il tempo di accudire la sua regina. Domanda spontanea: chi servirà allora l’inedita coppia? Ah, saperlo! Altro partito ,altro simbolo, altro animale.

Prodi e Parisi nel 1999 hanno fondato "I Democratici" e, come il partito statunitense, hanno voluto un asinello. Tre anni dopo il partito che doveva rilanciare le idee uliviste, ha tirato le cuoia. Amen.

MA FIORI E PIANTE RESTANO I PIÙ USATI - È una lunga tradizione di asini e api. La botanica resta il giacimento preferito. Si è visto di tutto: rosa, garofano, stella alpina, margherita, ulivo, quercia. Gabriele Maestri, guastallese , docente nelle Università romane (La Sapienza, Roma Tre) ha addirittura costruito un blog e fondato “L’Osservatorio sui simboli politici per raccontare “fatti, mattane, litigi di una democrazia andata a male” attraverso “i simboli della discordia” (titolo di uno dei suoi saggi).

Matteo Renzi, ora rimasto solo col cerino in mano a caccia del 3%, prima di arrivare a Palazzo Chigi (2014-2016) e prima di dimettersi da rottamatore, ne approfittò per una tagliente battuta rivolta ai dirigenti del Pd:”Dalla Quercia all’Ulivo, passando per la Margherita, avete deforestato mezzo Paese, ma i volti sono sempre gli stessi".