di Giulia Belardelli

 

“Non importa quanto l’Occidente provi a isolare la Russia, farlo è semplicemente impossibile. Per rendersene conto, basta guardare una mappa”. C’è, in questa affermazione di Vladimir Putin, una indubbia parte di verità. Basta, appunto, guardare una mappa per ricordarsi di come gli interessi regionali di Mosca incomincino sul Baltico e finiscano davanti al Mar del Giappone, sulle cui acque affaccia Vladivostok, città che dal 2015 ospita l’Eastern Economic Forum. È questa immensità, accanto ai retaggi del passato, a spingere fatalmente la Russia a continuare a vedersi come una superpotenza. Una superpotenza perfettamente in grado di sopravvivere al divorzio economico dall’Occidente. Come? Aumentando la propria presenza su altri mercati, dal Medio Oriente all’Asia; intensificando i rapporti con Paesi scevri dal servilismo verso Washington, origine di ogni male; sviluppando con Pechino una relazione bilanciata, anziché l’abbraccio mortale suggerito da tutti gli indicatori economici e demografici.

Dal punto di vista dei contenuti, il discorso del leader russo riecheggia quello pronunciato a metà giugno al Forum economico di San Pietroburgo, ed è in linea con la nuova “dottrina di politica estera” approvata lunedì dal Cremlino. I toni, però, sono più duri e riflettono il maggiore nervosismo della leadership russa di fronte a due dati di fatto: la guerra per i russi continua a essere un pantano e la morsa delle sanzioni – con all’orizzonte la prospettiva di un tetto al prezzo del gas – impone a Mosca una grande prova d’immaginazione, oltre allo sforzo diplomatico di trovare altri mercati. Tra i punti centrali del discorso di Putin, vale la pena sottolinearne alcuni: 1) “l’operazione militare speciale” in Ucraina - ancora guai a chiamarla guerra! – è stata una necessità per proteggere le popolazioni russofone del Donbass; 2) la Russia sta affrontando “l'aggressione economica, finanziaria e tecnologica” dell'Occidente, ma alla fine ne uscirà più forte di prima perché l’asse del mondo si è irreversibilmente spostato a est per effetto di “cambiamenti tettonici nell’intero sistema delle relazioni internazionali”; 3) a pagare il prezzo più alto, alla fine, sarà l’Europa, colpevole di aver “gettato il proprio benessere e la propria stabilità socio-economica nella fornace delle sanzioni su ordine di Washington per il bene della famigerata unità euro-atlantica".

Di qui la promessa – ai russi e a quanti nel mondo rifiutano di assoggettarsi alla “prepotenza americana” - delle magnifiche sorti e progressive di un mondo multipolare che è già sorto a est, con una Russia chiaramente protagonista. Ora, che in questa visione del mondo ci sia una buona dose di wishful thinking – se non di autentica illusione – è fin troppo chiaro. Lo spiega bene Ugo Tramballi, senior advisor di Ispi, esperto di Russia e mercati emergenti come l’India. “Il documento sul ‘mondo russo’ approvato lunedì dal Cremlino descrive il mondo per come lo vorrebbe Putin, non certo per quel che è. Quel documento indica alcune direzioni che però non trovano riscontro nella realtà. Prendiamo il mondo slavo; a parte la Serbia, gli altri Paesi slavi d'Europa sono già dentro la Nato e dentro l'Ue, una scelta diversa l'hanno già fatta. Prendiamo l'India: certamente Nuova Delhi ha un rapporto antico con Mosca, che risale ai tempi di Indira Gandhi (fu l'Unione Sovietica a costruire l'industria pesante indiana negli anni '50), e questo rapporto di amicizia è sicuramente continuato nel tempo, anche con Narendra Modi. Ma l'India non ha nessuna intenzione di allinearsi in un'alleanza formale con la Russia. Con Pechino – osserva Tramballi - ci sono indubbiamente molti legami, ma lì la Russia è più che altro la pompa di benzina della Cina. Pechino ha mostrato una solidarietà abbastanza tenue nei confronti della guerra in Ucraina. Inoltre, due Paesi che condividono oltre 4.200 chilometri di frontiera comune non sono mai due Paesi fratelli”.

Il rafforzamento dei legami di Mosca con Pechino, ma anche con Nuova Delhi, non è certo un mistero. Proprio oggi è uscita la notizia che la settimana prossima Putin incontrerà il presidente cinese Xi Jinping durante il vertice della Shanghai Cooperation Organization. L’incontro avverrà a Samarcanda, in Uzbekistan, luogo simbolo della Via della Seta, la cui storia dice molto sulla pervasività delle ambizioni cinesi di allora e di oggi. Negli stessi giorni, sempre a Samarcanda, si terrà anche un summit a tre con il presidente della Mongolia Ukhnaagiin Khürelsükh. La compagnia energetica russa Rosneft, controllata dal governo, ha fatto sapere di aver raggiunto accordi con il governo mongolo per costruire un gasdotto attraverso il suo territorio che porterà il gas russo alla Cina. Il nuovo gasdotto, denominato Power of Siberia 2, è progettato per consolidare i sistemi per il trasporto di gas nell'est della Russia. Sempre dal settore dell’energia arriva un ulteriore segnale di intesa tra Pechino e Mosca: il colosso degli idrocarburi cinese China National Petroleum Corporation (Cnpc) ha siglato un accordo con il gigante dell'energia russo Gazprom per il pagamento delle forniture di gas in rubli e yuan, riducendo quindi la dipendenza russa dal dollaro e dall'euro. Quanto all’India, è stato lo stesso Modi – anche lui ospite dell’Eastern Economic Forum di Vladivostok - a dichiarare che Nuova Delhi “è desiderosa di rafforzare la sua collaborazione con la Russia, in particolare nei campo dell'energia e del carbone".

Il punto, insomma, non è tanto se e in che modo altre economie – a cominciare dai giganti asiatici – aumenteranno i loro affari con Mosca, ma se questo basterà a salvare la Russia dallo status di “paria internazionale” a cui l’Occidente vorrebbe relegarla come punizione per quel capolavoro di violazioni del diritto internazionale che è la guerra d’invasione in Ucraina.

Andrea Gilli, senior researcher al NATO Defense College e docente di Studi Strategici alla Luiss, esorta a stare sui numeri per comprendere la mole dei danni che le sanzioni occidentali stanno già infliggendo alla Russia. “A inizio anno, le stime davano l’economia russa in crescita del 5%. Ad oggi, l’economia russa si è contratta del 6%. A ciò va aggiunta l’inflazione, al 15%. Considerando che le sanzioni hanno un effetto cumulativo e quindi a fine anno la situazione potrebbe ancora realisticamente peggiorare, rimane in ogni caso ad oggi una delle peggiori crisi economiche affrontate dal Paese dal 1991. A differenza del passato, non ci sarà però il classico ‘rimbalzo’: lo stesso Cremlino, in documenti interni visionati da Bloomberg, ammette che l’economia potrebbe non tornare ai livelli pre-guerra fino al 2030 e forse oltre”.

Secondo Gilli, va fatta poi una considerazione accessoria. Nel suo discorso Putin ha ammesso la presenza di “problemi in un certo numero di settori e regioni, in alcune imprese del Paese, in particolare quelle coinvolte in scambi con l’Europa”. La verità – sottolinea l’esperto - “è che la Russia non ha praticamente un’industria, fatta eccezione per la produzione di metalli e di armamenti. Il grosso del suo export consiste infatti in materie prime (minerali, grano, petrolio e gas) o semilavorati (acciaio e idrocarburi post-raffinazione). Questi settori richiedono però macchinari, strumentazioni e competenze che la Russia o non possiede o non può produrre. In alcuni casi, alcuni Paesi (come la Cina) potrebbero intervenire in soccorso della Russia, con il rischio però di venire sanzionate. In altri casi, la dipendenza dalle tecnologie occidentali (come i semiconduttori) non può essere superata. Più passa il tempo, e più le scorte esistenti si esauriscono e i macchinari esistenti devono essere sottoposti a manutenzione, riparazione e sostituzione, più la crisi si aggraverà. Le sanzioni finanziarie che impediscono di pagare fornitori esteri compromettono ulteriormente la posizione russa che, ammesso trovi un fornitore disposto a violare le sanzioni, farà fatica a pagarlo”.

Il punto è che, per quanto Mosca si sforzi di intessere relazioni con Paesi che non si riconoscono nell’orbita Nato, rimpiazzare il peso specifico di un mercato come quello europeo è un’impresa da titani. E in questa competizione tra potenze è naturale che la Russia, non avendo certo le carte migliori, finisca col dipendere sempre di più dalla Cina, pur non potendolo ammettere nemmeno a sé stessa. Oppure col ricorrere a un repertorio già visto e rivisto (ma evidentemente ancora in parte efficace). Come l’accusa – ripetuta oggi dal palco di Vladivostok – ai Paesi europei di “continuare ad agire con atteggiamenti colonialisti”, in questo caso accaparrandosi quasi tutte le scorte di grano ucraino a discapito dei Paesi in via di sviluppo (accusa subito smentita dal Centro di coordinamento congiunto, tra le proteste di Kiev).

Si tratta dell’ennesima mossa scorretta – e dell’ennesimo ricatto – che se da un lato denota la spregiudicatezza di Putin, dall’altro indica la sua debolezza. “Dobbiamo tenere presente che la Russia non è certo un Paese sexy”, rimarca Tramballi. “Gli Stati Uniti hanno un sistema di alleanza gigantesco, la Nato è un'alleanza vera e propria con Paesi di primo piano, non con l'Armenia o il Tagikistan. Il sistema di alleanze non si fa con la forza, si fa con la persuasione. Gli Stati Uniti sono stati - e in parte ancora sono - una potenza sexy, con la quale conviene allearsi; la Russia invece no, è una superpotenza del XIX secolo che produce petrolio, energia e armi. Il 44% delle armi che vengono vendute in Africa è russo, ma gli africani restano molto più attratti dai cinesi e dagli occidentali. In Africa come in America Latina, la maggior parte degli investimenti riguarda l'Occidente o la Cina; la Russia è una semplice spettatrice”.

Da questo punto di vista, l'affermazione per cui “un mondo democratico deve essere un mondo multipolare” è forse l'unico punto – nella dottrina di politica estera del Cremlino - in cui c'è qualcosa di reale, anche se non nel senso in cui intende Putin. La verità è che, indipendentemente dalla sua volontà, il multipolarismo è già in corso. Lo dimostrano l’ascesa della Cina, la costruzione (per quanto sofferta) di una più marcata identità europea, il configurarsi di un sistema di Paesi ‘non allineati’ (come l’India, appunto), intenzionati a far prevalere i propri interessi nazionali su qualsiasi altro discorso.

La mancanza di sex appeal di Mosca, inoltre, è destinata ad aggravarsi con il progressivo aumento del gap tecnologico della Russia, l’aspetto forse più penalizzante – nel medio/lungo termine – delle sanzioni occidentali. È Gilli a sottolineare l’importanza della questione. “Guardiamo all’eccellenza tecnologica russa: l’industria militare. Questa è 30 anni indietro rispetto a quella occidentale. Difficile il resto del Paese possa essere più evoluto. La Russia non produce nessuna tecnologia moderna legata all’informatica, alla computeristica e alle telecomunicazioni. Secondo le stime, 100.000 persone che lavorano nell’IT hanno già lasciato il Paese. Anche assumendo che queste stime siano largamente esagerate, colmare questo gap di competenze sarà sempre più difficile, perché i tecnici non avranno accesso a nuovi sistemi e tecnologie e quelli che verranno formati partiranno con un gap tecnologico”.

Nel lungo periodo – conclude l’analista - il Paese è destinato a un declino ancora più rapido di quello che già lo aspettava. “Anche nel breve termine, però, Mosca affronterà difficoltà crescenti. La priorità del Paese, in questo momento, è la guerra in Ucraina. La Russia ha comprato droni dall’Iran e munizioni d’artiglieria dalla Corea del Nord: la Corea del Nord è probabilmente il Paese più arretrato al mondo, mentre l’Iran ha un’aviazione ancora composta di aerei americani venduti al Paese prima dello Shah. Non sorprende che questi droni funzionino particolarmente male e dubito le munizioni nordcoreane siano un’eccellenza nel settore. Se la Russia è obbligata a fare affidamento a questi fornitori vuol dire che non ha modo, a livello domestico, di soddisfare le sue immediate esigenze belliche. Mi aspetto dunque che i problemi economici, industriali e militari del Paese aumentino. Proprio per questa ragione, mi immagino anche che la Russia ricorra in maniera crescente alle minacce, alla destabilizzazione e alla propaganda per spaccare il fronte occidentale”. Esattamente ciò che stiamo osservando, con l’Italia pre-elettorale come principale campo da gioco.