di Adalgisa Marrocco

 

Prima è stata la volta dei cinquecento medici cubani chiamati in Calabria, ora tocca ai dottori argentini reclutati in Sicilia per salvare l’ospedale di Mussomeli, in provincia di Caltanissetta. La motivazione è sempre la stessa: sopperire alla carenza di personale che affligge le strutture sanitarie italiane. Da Nord a Sud, oggi i posti vacanti sono circa 10mila e potrebbero diventare 40mila da qui al 2024. Soltanto nelle corsie dei pronto soccorso, al momento, mancano circa 4.800 professionisti (nel 2022, se ne sono dimessi 600). “Noi siamo la punta dell’iceberg di un problema che affligge tutto il sistema. Sarà impossibile andare avanti a lungo con interventi tampone”, dice ad Huffpost Fabio De Iaco, presidente nazionale Simeu - Società Italiana di Medicina d'Emergenza Urgenza.

Nei reparti di ospedale dove si prestano con urgenza le prime cure – spiega De Iaco – “ci troviamo sotto organico. Al contempo, la carenza della sanità territoriale e dei medici di base ha fatto in modo che gli accessi al pronto soccorso aumentassero enormemente. Quella appena trascorsa è stata la peggiore estate di sempre”. Per porre rimedio momentaneo, oltre a guardare all’estero, si cercano medici “a gettone” entro confine: ai bandi indetti dalle aziende sanitarie per lavorare a tariffa oraria partecipano sempre più cooperative o liberi professionisti. E più c’è bisogno di turnisti più le tariffe diventano salate, gravando sulle strutture pubbliche. Solo qualche mese fa, Simeu indicava 90 euro l’ora come cifra massima per un camice bianco “in affitto” ma, nelle scorse settimane, alcune Regioni sono arrivate a sborsare fino a 120 euro. “C’è chi con tre turni guadagna quanto un dirigente medico di prima nomina, perciò il numero di coloro che lasciano il posto di dipendente pubblico per diventare turnisti è destinato ad aumentare. È un circolo vizioso", avverte il presidente Simeu. Il fenomeno rischia di ripercuotersi anche sui pazienti: “Molto spesso – sottolinea De Iaco – i medici ‘a gettone’ sono professionisti che non hanno i titoli per partecipare ai concorsi pubblici, che non hanno conseguito la specializzazione in medicina di urgenza, emergenza, chirurgia. Si tratta di neolaureati, pensionati o camici bianchi provenienti dall’estero, che in alcuni casi possono avere difficoltà linguistiche interfacciandosi coi pazienti”.

 

A soffrire sono anche e soprattutto le aree remote e i piccoli comuni d’Italia, dove vive il 23% della popolazione, pari a oltre 13 milioni di abitanti. In Sicilia, ad esempio, sono diverse le zone che distano tantissimo da centri con strutture sanitarie più organizzate. Per questo sono nati i presidi ospedalieri di zona disagiata, come l’Immacolata Longo di Mussomeli, che pur di continuare a garantire assistenza ha aperto le porte ai camici bianchi argentini. Una scelta che non è piaciuta a tutti: "La chiamata alle armi di professionisti stranieri è una soluzione a tempo - ha detto Toti Amato, presidente dell'Ordine dei Medici di Palermo - La durata di un contratto che rinvia un problema grave senza guardare in casa nostra e scavalcando ogni regola ordinaria e straordinaria in tema di assunzioni in sanità". Giuseppe Molino, Segretario Regionale Simeu Sicilia, dice ad Huffpost che “il ricorso ai medici gettonisti italiani e stranieri, in questa fase, è una scelta obbligata: ci sono colleghi che lavorano senza sosta da mesi, con turni massacranti, e che hanno bisogno di ricambio. È però evidente che tutto questo non possa costituire una soluzione a lungo termine. Bisogna riflettere sulle motivazioni che spingono i medici ad abbandonare gli ospedali e sul perché i giovani non scelgono per il loro futuro specialità come la medicina d'emergenza-urgenza: servono incentivi, sia professionali che economici”. “L’altra priorità – evidenzia Molino – deve essere la salvaguardia delle strutture sanitarie periferiche e dei pronto soccorso dei piccoli centri, dove il lavoro è ancora più duro. Dall’emergenza Covid, siamo usciti tutti con le ossa rotte”.

Insomma: i pannicelli caldi non bastano più. Per sopravvivere c'è bisogno di misure strutturali, “a cominciare dal potenziamento delle strutture ospedaliere e dalla riforma della formazione specialistica, che consenta l’ingresso degli specializzandi in ospedale con la qualifica di dirigente medico, proprio come accade nel resto d’Europa. I giovani medici potrebbero lavorare con un’autonomia commisurata alle proprie competenze, senza essere più trattati come ‘vecchi studenti’”, evidenzia il presidente Simeu. A fronte di un carico medio di lavoro che negli ultimi mesi è aumentato del 50%, “bisogna investire sui professionisti, riconoscendone il lavoro usurante. Solo così è possibile frenare la fuga dei camici bianchi dalle strutture pubbliche, in particolare dai pronto soccorso”. “Purtroppo – spiega ancora De Iaco – la caduta del governo Draghi ha interrotto l’interlocuzione che era in corso tra noi e le istituzioni. Se il nuovo esecutivo non ripartirà da quello che abbiamo già messo nero su bianco, rischiamo di dover ricominciare tutto da capo”.