di Gian Stefano Spoto

 

Almada, dieci chilometri da Lisbona, supermercato. Fila media a una delle poche casse umane, le altre sono automatiche, e trasmettono una sensazione superficiale di democrazia: in realtà è solo un modo per guadagnare di più assumendo meno personale. Fra un cliente e l’altro la cassiera si alza, e , poco distante, prende un sacco di plastica pieno di bustine colorate. A pagamento concluso i clienti da zero a centoventi anni ricevono l’oggettino misterioso, che magari apriranno a casa, salvo bizze infantili. Si torna, prima i surgelati, poi frutta e verdura, il resto a seguire. E spunta la minuscola bustina. Coppia senza figli, lo si intuisce dal fatto che il dono rimbalza in cucina, poi viene fatto schizzare via, dà fastidio.

Sembra che questo nulla blocchi l’attività della chef, ma, a questo punto, il bambinone di casa salva la moglie togliendo l’oggetto ingombrante, lo estrae e infine rivela: “è una carota”. Lei scuote la testa, perché gli deve fare da mamma sebbene lui ne abbia una fin troppo attenta ai capricci di questo sessantenne militeassolto. “Sono qui le carote”, risponde con marcata sufficienza. Ma lui non l’ascolta, questa plastichina vegetale alta due centimetri gli fa una smorfietta, come per indicargli che sotto ha una ventosa di pochi millimetri. È una sfida, lui l’attacca al vetro e attiva il cronometro mentale per calcolare quanti secondi resisterà, ma all’urlo atavolaaa abbandona l’esserino di cui si vergogna di parlare alla moglie. Dopo tre giorni si accorge che questa bimbetta smorfiosa è ancora lì, orizzontale, con l’eroica ventosina che tiene oltre ogni immaginazione.

Per non esporsi a ludibrio coniugale evita di comunicare il suo ammirato stupore, ma non riesce a evitare sguardi sempre più frequenti alla carotina umana come se volesse iscriverla al Guinness dei primati e forse temendo l’autunno incipiente, portatore di umidità che potrebbe staccarla. Meglio non pensarci. Chi è negli anta da qualche decennio ha almeno una vaga idea di come erano e come si sono evolute, meglio dire trasformate, le strategie commerciali, fra roboanti offerte esclusive che servono per includere chiunque e sconti algebrici il cui risultato è la metà del triplo.

Megariffe finte, tanti “solo-per-te” (non si sa perché), oceani di sottocosto che generano aureole sul capo di quei santi che perdono soldi per noi, annunciando ribassi dell’ottanta per cento su cui pochi pensano al concetto di margine di guadagno. Compagnie aeree vucumprà che si preoccupano affannosamente del nostro benessere, incalzandoci con servizi il cui costo è quadruplo rispetto al biglietto. Investimenti in bitcoin che renderanno ricchi i nullafacenti i quali non avranno nemmeno l’obbligo di comprare nulla.

Un mondo in cui ogni Fantozzi ha il diritto di sentirsi galattico e di dormire su cataste di rate che, come noto, sono comode. Lui medita, lei lo guarda con discrezione, oggi sarebbe il suo turno di lavaggio piatti. Ma la moglie, compagna di una vita costellata di tragici perché no, capisce che il suo travaglio mentale non va disturbato, perché in lui c’è più nostalgia che rabbia.

Guarda il regalo che si staglia sulla finestra e pensa che, come talvolta avveniva nel secolo scorso, qualcuno ti dà un quasi nulla senza nulla chiederti e senza dirti perché. E gli viene in mente un magazzino di Modena, “Al miracolo” il cui motto era “nessuno regala, noi ci accontentiamo”. Il geniale titolare, tale Benini, vendeva un abito a lui, uno a lei, regalava la camicia, la cravatta, il foulard, e un giochino al bambino che stupiva con giochi di prestigio. E che avrebbe riportato lì i genitori per tutta la vita. La carotina è ben lontana da tutto questo, ma è almeno un minuscolo bentornato che non ci si aspetta, e allontana di qualche millimetro la fine delle relazioni umane, appese a una ventosa. Ultim’ora: la carotina è ancora attaccata.