PORTOFRANCO

DI FRANCO MANZITTI
 

 

Davanti a un Salone stracolmo, quello dove nel 2001 i potenti della Terra si erano riuniti nel G8 più catastrofico della Storia, si celebrano i 530 anni dalla Scoperta dell’America da parte del genovese Cristoforo Colombo.

Questa cerimonia, una volta sobria e austera, culminante nella consegna dei premi colombiani, assegnati a chi si era distinto nel mondo per l’ardire delle sue imprese, per il rischio e la determinazione e a chi aveva illustrato l’Italia nello Sport, oggi è diventata una lunga passerella, dove si celebra Colombo, certamente il più illustre dei genovesi, ma anche  gli stessi genovesi a cui vengono consegnati sia i riconoscimenti colombiani, sia altri premi come, per esempio, la nomina da parte del sindaco di Genova, Marco Bucci, degli “ambasciatori”, figure riconosciute per il loro ruolo di grandi testimonial della genovesità nel mondo.

Ci sono, ovviamente, il sindaco Marco Bucci, il presidente della Regione, Giovanni Toti, onni presente e onni sfilante, la senatrice appena decaduta dal ruolo, Roberta Pinotti, ex ministro della Difesa, che celebra la sua uscita dal Parlamento dopo 5 legislature, il prefetto Renato Franceschelli e le altre cosidette autorità civili e militari, schierate in prima fila.

E ovviamente ci sono gli speaker, i cerimonieri che guidano un pomeriggio lungo e complesso, nel quale Genova celebra se stessa. Annunciano, precisano, presentano ospiti e vincitori, danno la parola, intervengono, cercando di animare il lungo show.

Il primo intervento, quello di apertura, ancor prima dei saluti, cosidetti istituzionali , è tradizionalmente affidato a una prolusione colombiana, preparata  da uno studioso che affronti un aspetto della grande scoperta, rievocandone la grandezza, la difficoltà, il genio.

E così la presentatrice da’ la parola, senza dire altro che il nome e il cognome del  professore che ha l’onore di aprire questo Cinquecentesimo anniversario.

Chi sarà quest’anno, che ha una cifra tonda e viene dopo trent’anni dal famoso 1992, il Cinquecentesimo, celebrato a Genova con la “riconversione” della città, il recupero del Porto Antico, firmato dal genovese oggi più noto al mondo, Renzo Piano e il lancio di una città che usciva sia dagli anni cupi del terrorismo sia da quelli in cui si era consumato il vecchio modello di Genova, quello industriale statale, con il declino anche rovinoso delle grandi aziende Iri, Italsider, Ansaldo, Italimpianti, Fincantieri che avevano fatto di Genova una capitale industriale, tra queste aziende e il grande porto pubblico, dove lavoravano quasi in 20 mila?

Chi sarà a svolgere questo compito introduttivo-celebrativo?

“E ora la parola al professor Carlo Taviani”_ annuncia, dunque, senza aggiungere altro la giuliva annunciatrice. E così questo professore di giovane aspetto e di modi decisi afferra il microfono e comincia la sua relazione. Che sarà lunga 15 minuti esatti, dotta e precisa, sostenuta da una serie di immagini proiettate sul grande schermo della grande sala del Maggior Consiglio.

Dedicata alle genesi della scoperta e scenograficamente impostata sui “deserti di mare, sabbia e carta”, che spiegano come Cristoforo Colombo ha scoperto l’America.

Il mare da attraversare. La sabbia dei deserti nord africani dove c’era la base dei viaggi precedenti, il percorso rivoluzionario, “inventato” dal grande genovese. La carta degli archivi immensi che già a inizio 1400 custodivano i documenti utili a studiare cosa c’era al di là del mare.

Il professore spiega davanti alla platea un po’ silenziosa e un po’ distratta la potenza di Genova di allora, i nomi delle grandi famiglie che dominavano già allora, i rapporti di forza tra la Superba, già definita così da Francesco Petrarca, e le potenze di allora, dove i concittadini di Cristoforo imponevano il loro ruolo, tra grande abilità finanziaria e arti marinare.

Mostra il percorso della genesi, elencando le difficoltà e le intuizioni, il rischio e il genio.

Traccia insomma la rotta con una abilità molto più “giovane” rispetto alle classiche analisi “colombiste”.

Peccato che nessuno, o quasi, in quella platea convocata apposta per celebrare Colombo sappia  che il relatore porta il cognome  di uno dei genovesi più celebri del Novecento, grande uomo politico e sopratutto grande studioso di Colombo, del quale ha dimostrato inconfutabilmente la genovesità.

Carlo Taviani è il nipote di Paolo Emilio Taviani. E’ figlio di Andrea, uno dei sette della progenie tavianea. Paolo Emilio è, quindi, suo nonno e probabilmente sarebbe orgogliosissimo della perfomance del nipote nel giorno di Colombo, nel cuore di Genova, sul palco dei festeggiamenti.

Peccato che nessuno abbia comunicato che c’era questa delicata ed emozionante coincidenza: un giovane Taviani ricorda Colombo, del quale il nonno è lo storico studioso, approfondendo dopo due generazioni uno studio veramente firmato con il cognome di questa famiglia.

Il relatore conclude tra gli applausi. Dovuti certamente, ma che avrebbero avuto un altro tono, se si fosse saputo che si trattava di un altro membro di quella famiglia, cui Genova, i cui gonfaloni sventolano nel palazzo, popolato perfino da uno stuolo di maschere in abiti quattrocenteschi, deve così tanto e non solo per Colombo.

Paolo Emilio Taviani è infatti colui che “impose” a Genova la celebrazione del Cinquecentenario, tirandosi dietro la città, i suoi politici, il Parlamento e il Governo, che finanziò le celebrazioni, riuscendo a partecipare a un evento nel quale la spagnola Siviglia si era accaparrata già quasi tutto con la Esposizione Mondiale. Genova si difese con la mostra “Genova e il mare”, un’ altra esposizione che permise di cambiare il volto della città.

Nella celebrazione prenderanno, dopo Taviani junior, la parola il presidente, il sindaco, il prefetto l’ex senatrice: nessuno di loro si è accorto nei discorsi di maniera pronunciati  rievocando l’epopea colombiana e la sua importanza per Genova, che il relatore era Carlo Taviani, nipote di Paolo Emilio, un personaggio del quale valeva la pena ricordare e non solo la sua storia colombiana, ma tutte le opere svolte per la città, dalla Liberazione dai nazi fascisti, da lui annunciata al popolo genovese via radio, al suo ruolo chiave in almeno quindici governi, succedutisi dal Dopoguerra in avanti, nei diversi ruoli di partigiano, fondatore della Dc, sotto segretario e  ministro, vice presidente del Senato, senatore a vita.

La memoria è un bene da difendere, ma Genova nel giorno di Colombo 2022 non è stata certo capace di farlo.

Per fortuna qualche altro ci sta pensando. In novembre la città di Roma dedicherà una piazza a Paolo Emilio Taviani, il Poligrafico dello Stato pubblicherà un francobollo con la sua effigie sullo sfondo della Lanterna e un’aula della Facoltà di Scienze Politiche dove Taviani insegnava “Dottrine economiche”.

E allora, se mai Carlo Taviani fosse chiamato a ricordare, nella sue veste di studioso, che ha seguito le orme del nonno, tutti sapranno che si tratta di un nipote.

Come diceva quel detto: “Nemo propheta in……..”