Nel dipartimento di Union, all'interno della provincia argentina di Cordoba, c'è Bell Ville. Boscaioli, legname, fatica e sudore. Ma anche radici calcistiche, che si snodano nel corpo di un ragazzino che porterà la Nazionale albiceleste sul tetto del mondo. Da protagonista. Quel bambino, all'anagrafe Mario Alberto Kempes Chiodi, fa parlare di sé presto, molto presto. E altrettanto velocemente passa dall'Instituto al Rosario Central. Alfredo Di Stefano, la saeta rubia (freccia bionda), per qualcuno il più forte giocatore di tutti i tempi (e qui la discussione potrebbe andare avanti come se non ci fosse un domani), lo nota. Anche perché quel ragazzone dalle lunghe leve non passa inosservato. E così la leggenda del Real Madrid decide di portarlo al Valencia, la squadra che allena. Qui Kempes diventa El Matador a suon di gol. E di trofei (una Coppa delle Coppe e una Supercoppa europea).

L'attaccante, però, costruisce la sua aurea di onnipotenza in occasione dei Mondiali del 1978, che si disputano in Argentina. Quello non è un torneo come tanti. Nel Paese sudamericano ogni respiro di ribellione è coperto dalla dittatura dei militari e dal generale Jorge Rafael Videla. A lui Kempes – capocannoniere della competizione con 6 reti, due delle quali rifilate nella finale vinta contro l'Olanda per 3-1 – non stringe la mano dopo il successo di Buenos Aires. Cosa che fece anche con Leopoldo Galtieri. Solo dopo dirà "quand'era tardi abbiamo scoperto cos'avevano fatto: ma già allora a noi i militari non interessavano". E poi "Non fu per protesta. Non gli diedi la mano per la ressa, nel caos del Monumental non toccai nemmeno la Coppa, che Passarella non mollava mai. L'ho potuta tenere in mano solo nel 2006, a Berlino".

Appese gli scarpini al chiodo, inizia il girovagare come allenatore. E, in una sorta di eroe dei due mondi post-moderno, la sua esperienza sbarca in Italia nel nuovo Millennio. In principio, nella provincia piacentina, fermata Fiorenzuola (serie C2). L'idea utopica è quella di dar vita a un progetto temerario. Kempes come tecnico e con lui un gruppo di giocatori, argentini e uruguaiani, da inserire. L'avventura, però, dura meno di un gatto in tangenziale ("che posto, Fiorenzuola: freddo sempre, e sempre nebbia"). La vicenda dà il "la" al documentario Sogni di cuoio, diretto da César Menghetti ed Elisabetta Pandimiglio, che narra la storia di una banda di giovani atleti che lasciano la loro terra per giungere qui da noi, allora l'Eldorado del pallone. Ma tutto svanisce come una bolla di sapone, tra burocrazia e delusioni.

Mario Kempes, allora, finisce al Sud. Per un'altra sfida: allenatore del Casarano (serie D, girone H). Sigaretta in bocca, nella provincia di Lecce come arriva se ne va dopo una vittoria, due pareggi e una sconfitta. Destinazione San Fernando, seconda divisione della Serie B spagnola. Tutto di corsa, un po' come quelle sgroppate con i calzettoni alle caviglie, la maglia numero 10, un popolo a spingerlo verso la porta avversaria e una chioma che ispira il cartone animato "Holly e Benji. Due fuoriclasse" di Yōichi Takahashi.

Scriverà una autobiografia, "per chiudere alcuni conti con il passato". Un passato con soste in Emilia-Romagna e Salento. Non da Matador, più come "zingaro del futbol".