di Riccardo Galli

Coraggio umano, coraggio civile, gran coraggio che forse meriterebbe perfino l’uso appropriato del termine eroe troppe volte abusato a sproposito. Se eroe è chi si espone ad un danno personale per salvare interesse e valori collettivi, allora quelli della squadra nazionale di calcio dell’Iran si sono comportati da eroi. Non cantare l’inno nazionale suonato allo stadio prima dell’inizio della partita significa esporsi alla vendetta del regime. Un regime teocratico che non solo incarcera, uccide. Uccide senza ritegno e pietà l’infedele e il traditore.

Un regime teocratico che manda i suoi armati a sparare, letteralmente, su donne e bambini. L’inno nazionale iraniano nella versione ayatollah si conclude al grido: vita eterna al regime. Il non cantarlo da parte della squadra è stato comunicare al mondo che in Iran c’è una rivoluzione, rivoluzione in nome e per le libertà fondamentali cui gli esseri umani avrebbero diritto. Comunicarlo al mondo e insieme schierarsi in patria, dire in patria di essere dalla parte delle libertà. Il regime iraniano li ha già fatti chiamare traditori. Cercherà e troverà il modo di vendicarsi. E noi, a partire dal vasto mondo pallonaro, ci dimenticheremo in fretta di questi uomini coraggiosi, non sentiremo nostro dovere provare almeno a proteggerli dalla vendetta.

Troppo coraggiosi per noi - I calciatori iraniani che non cantano l’inno e forse per questo ne avranno la vita stravolta e rovinata non risultano letteralmente comprensibili al mondo pallonaro, sia quello dei tifosi che quello dei consumatori e produttori della merce calcio. Sfidare la repressione, la galera, la miseria, forse perfino la tortura o peggio? Incomprensibile per chi di libertà e democrazia è talmente sazio da provarne perfino nausea. In un Mondiale molto accorto e attento alla cura della sua vigliaccheria civile ed etica, in un Mondiale dove si vigila che i calciatori non mostrino una ciocca di capelli arcobaleno (hai visto mai la sessuofobia islamista si conturbi ed ecciti) e dove la Fifa va con Infantino a raccontare che i lavoratori stranieri che hanno costruito stadi e impianti sono stati felici, rispettati, omaggiati e oggetto di welfare mai visto…In un Mondiale vigliacco e ipocrita (anche da parte di chi adesso finge boicottaggi postumi e soprattutto gratuiti), in un Mondiale così undici (di più, la panchina, lo staff) coraggiosi in fondo stonano. Verranno seppelliti da una valanga di retoriche banalità, complici, non ultimi, i giornalisti e le cronache sportive.