Esmail Mohades

All'alba dell'8 dicembre Mohsen Shakeri, un giovane 23enne, è stato impiccato e nell'oscurità che precede l'alba del 12 dicembre Majid-Reza Rahnavard, anche lui 23enne, è stato appeso al cappio "in pubblico" da un regime con un piede nella tomba, ma non per questo meno aggressivo e crudele, anzi. Hanno impiccato Majid Reza Rahnavard davanti a un pubblico di pasdaran e basiji. Questo significa che la ferocia repressiva, a questo punto, non è solo per incutere paura, bensì serve a rincuorare le forze di repressione che sono in un forte stato di stanchezza. Da tempo, ormai, la paura ha cambiato campo e alberga negli uomini del regime. Hanno fatto incontrare, la sera prima dell'impiccagione, la madre di Majid Reza con il figlio. Gli aguzzini avevano rassicurato che le cose andavano per il meglio, ma alle sette del mattino questi crudeli assassini hanno avvertito la famiglia di Majid Reza dell'impiccagione e della sepoltura già avvenuta, oltre al fatto di aver proibito ai familiari di recarsi sulla sua tomba. Alcuni giovani di Mashhad hanno rotto l'accerchiamento dei pasdaran e sono penetrati nel cimitero. Uno di loro gridava: "Questi crolleranno, noi andiamo avanti! testa china mai!".

Il giovane del cimitero di Mashhad ha ragione. Le ragazze e i ragazzi dell'Iran hanno perfettamente ragione. Il regime teocratico al potere dal 1979 cadrà presto, tutti i segnali lo dimostrano. Ma l'Iran, poi, sarà libero e democratico? Sin dalla fine dell'Ottocento, quando la nazione iraniana maturò una coscienza collettiva e scese in piazza per la democrazia, trovò gli ostacoli nelle ingerenze delle potenze straniere e nelle pedine interne. Mentre la rivoluzione costituzionale del 1906 portava l'Iran ad avere un Parlamento e una Costituzione, la reazione soffocò la rivoluzione e la neonata democrazia. Così accade anche nel 1953, quando il Governo popolare di Mohammad Mossadeq, che aveva nazionalizzato l'industria del petrolio, cadde in seguito a un colpo di Stato straniero appoggiato da pedine interne. Questa è la storia, la storia del popolo dell'Iran contemporaneo, sebbene non raccontata a dovere e sconosciuta ai più. La dittatura monarchica dei Pahlavi e la sua spaventosa Savakportarono il Paese a una nuova rivoluzione nel 1979. Anche quella volta, con il soccorso degli stranieri, il vecchio Khomeini, che c'entrava poco con la lotta degli iraniani per la libertà, prese le redini di quella rivoluzione democratica e la chiamò islamica, portandola in fondo all'era della pietra.

Oggi gli iraniani sono ancora una volta in piazza per un'altra rivoluzione, forse perché questo antico popolo ama davvero la libertà e insiste per ottenerla! La rivoluzione iraniana del 2022 sarà diversa? Questa volta si potrà arrivare alla libertà? Si potrà instaurare, finalmente, uno Stato laico e democratico per chi lotta da un secolo? C'è un mormorio negli ultimi tempi contro la Resistenza iraniana, che combatte da quarant'anni contro la dittatura teocratica per uno Stato laico e democratico. Negli ultimi giorni sentiamo alcuni esperti, anche chi con un salto triplo mortale è passato dal giornale di Confindustria al quotidiano comunista, che offrono ai lettori le analisi-propaganda dell'Intelligence del regime iraniano con lo scopo, soprattutto, di demonizzare la Resistenza iraniana. Usano, questi esperti, il vecchio ferro arrugginito: i Mojahedin del popolo non contano e non hanno base popolare in Iran. Anzi, sono odiati dagli iraniani. Evidentemente, un lettore con un'intelligenza media non dà peso a queste carognate e si domanda: in un momento in cui la dittatura spietata in Iran uccide inermi manifestanti e decine di bambini, perché costoro devono parlare contro chi la sta combattendo? Vista la dittaturaimpenetrabile, quale è quella presente in Iran, questi esperti come hanno fatto a sondare la popolarità dei Mojahedin del popolo?

Un cittadino comune sa che il peso di ogni forza politica viene misurato o nelle elezioni democratiche oppure attraverso un sondaggio scientifico possibile solo in una società democratica. Il cittadino, inoltre, si chiede: perché parlare tanto di una forza, se "non conta nella rivolta" in atto in Iran? Cui prodest? Perché gli iraniani devono odiare i Mojahedin del popolo che non sono stati mai al potere e, in 57 anni della loro vita, hanno sempre lottato, con decine di migliaia di martiri, contro le dittature?

Probabilmente, questi esperti confondono le analisi politiche con la propaganda compiacente al regime e con le dissertazioni al servizio del business. Leggendo queste analisi sulla teocrazia iraniana alquanto imprecise e fasulle, smentite continuamente dai fatti, forse non ci si deve meravigliare più di tanto. A questi esperti dell'Iran si consiglia di rileggere – e magari anche ripubblicare – ciò che hanno scritto sul riformismo di Khatami o sul moderatismo di Rouhani. Questi analisti hanno fatto e fanno business sul sangue dei giovani iraniani, che sfidano il mostro in Iran. La rivolta in Iran sta procedendo secondo le analisi della Resistenza iraniana e nella direzione verso la quale si batte da decenni.

Ma chi sono i Mojahedin del popolo iraniano, presi di mira adesso che il regime iraniano ha un piede nella tomba? L'Organizzazione dei Mojahedin del popolo iraniano (Pmoi), in farsì Mojahedin-e Khalg (Mek), è stata fondata nel 1965 per opporsi alla dittatura monarchica e per instaurare in Iran un regime democratico basato esclusivamente sul suffragio popolare. I Mojahedin del popolo credono fermamente nella separazione dello Stato dalla religione e si battono per uno Stato laico, democratico e fondato su diritti e libertà. È noto che i Mojahedin del popolo, sin dall'insediamento del regime islamico al potere, rappresentano il più attivo e diffuso movimento d'opposizione in Iran. Dal 1985 nel Mek le donne ricoprono l'incarico di segretario generale attraverso votazioni, un mandato che dura tre anni e che può essere ricoperto per due volte. Oltre alla carica apicale, le donne nel Mek rivestono ruoli di dirigenza diffusa. Certamente, i Mojahedin del popolo credono nella giustizia sociale e nell'uguaglianza, che è il centro della loro politica; da questo, forse, prendono l'alibi gli opportunisti e i superficiali per etichettarli come marxisti.

Se il Mek si batte per la libertà, anzi la concepisce come il suo ideale supremo, sa bene che non c'è libertà senza giustizia. Dopo il rovesciamento del regime dittatoriale dello Scià – avvenuto nel 1979 – e l'insediamento del regime dei mullah, i Mojahedin del popolo per due anni e mezzo hanno cercato di rivendicare il loro diritto – e quello del popolo – alla lotta politica in Iran. Durante questo periodo, finché i loro candidati ebbero ancora la possibilità di partecipare alle elezioni, che comunque erano fortemente manipolate dal regime, i Mojahedin del popolo presero milioni di voti, garantendosi un consenso e un'accoglienza eccezionale tra la popolazione giovanile e tra le donne, appunto, per la loro politica progressista.

Allo scoppio della guerra, hanno combattuto l'esercito iracheno che aveva invaso l'Iran, poi ricacciato dal territorio iraniano. In quegli anni, il regime di Khomeini, grazie anche alla guerra con l'Iraq che solo lui voleva continuare, aveva eliminato totalmente gli spazi per la politica, facendo decine di migliaia di fucilazioni in prevalenza dei membri e simpatizzanti del Mek. A quel punto, i Mojahedin del popolo, come forza di opposizione, dopo aver firmato un piano di pace con il Governo iracheno, sono andati in Iraq, in totale indipendenza e hanno formato l'Esercito di liberazione ai confini del loro Paese, per contrastare la macchina di guerra del regime e far terminare una guerra che divorava i giovani iraniani e il patrimonio nazionale.

Nell'agosto del 2002 sono stati i Mojahedin del popolo a rivelare i segreti progetti nucleari del regime iraniano. Immaginiamo solo per un secondo un regime integralista, espansionista e sponsor principale del terrorismo internazionale con la bomba nucleare! Fu il leader storico dei Mojahedin del popolo, Massoud Rajavi, a formare a Teheran, il 21 luglio 1981, la coalizione del Consiglio nazionale della resistenza iraniana (Cnri) con l'obiettivo di costituire, dopo il rovesciamento della dittatura, un Governo di transazione verso la Costituente per una Repubblica democratica in Iran. Il Mek è un gruppo membro della coalizione del Cnri. Fu il Consiglio nazionale della resistenza iraniana a indicare, nel 1993, Maryam Rajavi quale presidente della Repubblica per il periodo di transazione. Maryam Rajavi ha esposto pubblicamente in un documento condiviso di 10 punti una sintesi per il futuro in Iran. Con questo programma, la Resistenza iraniana ha chiesto sostegno ai politici dei Paesi democratici per sconfiggere la politica di appeasement verso la teocrazia iraniana. Le lobby del regime in ogni parte del mondo hanno accusato la Resistenza iraniana di essere al soldo di questo o quell'altro potere, senza poter mai dimostrarlo. Naturalmente, in questo momento drammatico, chi si accanisce contro i Mojahedin del popolo porta l'acqua al mulino di un regime assassino e ne è complice. Il nemico è la Repubblica islamica al potere, non la sua opposizione.

Il Movimento dei Mojahedin del popolo, Mek, è una forza di resistenza alla dittatura al potere in Iran e prende la sua leggibilità, unicamente, dalla lotta che conduce. Solo in un Iran democratico le urne mostreranno la forza e la popolarità sia del Mek che delle altre componenti politiche, nient'altro. La demonizzazione di una forza, che da più mezzo secolo si batte in opposizione alle dittature del suo Paese, proviene solo dalle stanze buie del regime islamico di Teheran.

Ora l'Iran è ancora una volta a un bivio storico, alla soglia di una rivoluzione e di un cambiamento radicale. Le potenze straniere e le pedine interne della reazione riusciranno a deviare il corso della democratizzazione in Iran? I variopinti avversari allogeni della democrazia in Iran, da sempre in simbiosi, talvolta complicata, con la tirannia autoctona, potranno intralciare la lotta libertaria del popolo? Potranno ancora costruire un leader di Palazzo? Il cammino dell'Iran verso il cambiamento democratico sembra questa volta procedere più deciso e consapevole. Chi cerca di mistificare i fatti, ripetendo che la rivoluzione iraniana non ha leader, solo perché non vede un leader di Palazzo, o che si ferma alle banalizzazioni esteriori, ostacola le istanze delle donne e uomini, che al costo della vita sfidano il mostro.