Christine Lagarde (Depositphotos)

di Cristofaro Sola

In guerra vi sono molti modi per morire. Si può cadere vittime delle cannonate e dei missili del nemico. E si può restare secchi a causa del "fuoco amico". Se paragonassimo la condizione che tutti i Paesi dell'Unione europea stanno vivendo da tre anni – prima con la crisi pandemica e poi con l'emergenza bellica sul fronte ucraino – come a uno stato di guerra, l'Italia oggi correrebbe il rischio di essere fatta fuori proprio dal cosiddetto "fuoco amico". Che poi gli amici sarebbero i soliti noti che presidiano le istituzioni comunitarie.

Come si fa a non pensarlo quando si è costretti a subire le decisioni dissennate della Banca centrale europea? La notizia, data personalmente dalla Governatrice, Christine Lagarde, riguarda l'ennesimo aumento ravvicinato dei tassi d'interesse sul costo del denaro. Il board della Bce ha comunicato il rialzo dei tassi d'interesse di mezzo punto percentuale, fissando il tasso sui depositi al 2 per cento, quello sui rifinanziamenti principali al 2,5 per cento e quello sui prestiti marginali al 2,75 per cento. Ma non finirà qui. Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea fa sapere che "i tassi devono ancora essere portati significativamente più in alto e a un ritmo costante". L'obiettivo è di raggiungere in tempi brevi "livelli sufficientemente restrittivi" allo scopo di riportare l'inflazione entro la soglia di sicurezza del 2 per cento.

Non siamo impazziti: se ce l'abbiamo tanto con le istituzioni europee, un motivo c'è. Ed eccolo dimostrato. Questi cervelloni, che pensano di domare la realtà calando provvedimenti dall'alto scollegati dalle esigenze vere delle popolazioni a cui sono destinati, sono degli scriteriati. Com'è possibile che non si rendano conto che agendo in questo modo, cioè facendo costare di più il denaro, si annichilisce quel minimo di ripresa economica accennata nei numeri sul Pil europeo del 2022 e si spalancano le porte a una recessione di lunga durata? È come se a un paziente in terapia intensiva per difficoltà respiratorie, invece di aumentargli l'ossigeno, si desse una stretta alla manopola per ridurne il flusso. Non bisogna essere scienziati dell'economia per intuire che, facendo costare di più il denaro, si contrae il credito e, a cascata, si paralizza la crescita. Una scelta al rialzo dei tassi d'interesse è un calcio negli stinchi dell'economia italiana.

Ma cosa si pretende di più dal nostro apparato produttivo? Gli imprenditori ce la stanno mettendo tutta per sopravvivere. E non è cosa facile dopo due anni di pandemia e un anno di guerra che, come effetto immediato sulle vite della nostra gente, ha avuto l'aumento vertiginoso, insostenibile, del costo della materia prima energetica. Saranno contenti a Bruxelles e a Francoforte quando avranno ammazzato economicamente i nostri produttori. Ma sì, che le chiudano pure le aziende quei poveri illusi che fanno impresa in Italia. Che licenzino tutti i dipendenti, così che si possa realizzare l'utopia grillina della decrescita felice. Sarà bellissimo un mondo di disoccupati che, per la soddisfazione dei bisogni primari, saranno mantenuti non si capisce bene da chi. Non certo dallo Stato il quale, se vedrà precipitare le entrate della fiscalità generale, ben difficilmente si potrà concedere il lusso di erogare il reddito di cittadinanza a tutti.

Cos'è che vuole da noi questa Europa? Azzerare la nostra capacità produttiva perché le concentrazioni capitaliste di alcuni Paesi, favoriti da questa crisi, possano venire a fare shopping e portarci via per quattro soldi il patrimonio delle aziende, fatto di conoscenze, sapere, competenze, che le nostre imprese custodiscono e coltivano al proprio interno, con risultati eccellenti visti i numeri dell'export? Si obietterà: la Bce ha il dovere di combattere l'inflazione. E con questo? C'è modo e modo di farlo. Agire sulla leva monetaria non è l'unico modo e non il più adatto in un momento del genere. La tipologia di inflazione che ci sta massacrando si origina sul lato dell'offerta e non della domanda. I beni costano di più, non perché ci sia un aumento della richiesta proveniente dai mercati, ma perché le materie prime che occorrono per produrre quei beni costano di più e sono più difficili da reperire. Perciò, oggi serve la politica e non la mannaia dell'autorità finanziaria a sbrogliare la matassa della spirale di crescita dei prezzi.

E allora, dov'è la politica in Europa? È forse quella dei 27 nani che, di fronte alla catastrofe della guerra alle porte di casa, non sono riusciti a trovare uno straccio d'intesa per contenere la speculazione sul costo del gas? È quella di una comunità interstatale che non ha coscienza né volontà di essere una potenza globale e per questo si fa dettare l'agenda politica da altre potenze? È quella dei piccoli leader dalla sconfinata sicumera, che non hanno saputo elaborare una proposta negoziale per costringere i belligeranti russi e ucraini a sedere al tavolo delle trattative e far terminare il conflitto? L'amara sensazione è che quest'Europa sia un'angusta aia dove pretenziosi galletti si combattono l'un l'altro, per facilitare il compito a chi si preoccuperà di macellarli tutti. L'immagine simbolo di questa unione di egoismi non sono le valigie ricolme di denari, trovate di recente nelle dimore di alcuni politicanti, bensì le scene isteriche dei governanti francesi al cospetto della nave che per la prima volta, dallo scoppio dell'invasione migratoria dall'Africa, ha portato 234 disgraziati a sbarcare sul suolo francese. L'Europa non è l'inno alla gioia della nona sinfonia di Ludwig van Beethoven ma è quella roba lì; è l'Emmanuel Macron che minaccia di interrompere i rapporti con il Governo di Roma per l'affronto subito della nave dirottata dal Canale di Sicilia alla costa francese.

Ora, per quanto amareggiati e disgustati per l'atteggiamento ostile, non solo verso l'Italia vieppiù verso il buonsenso che le istituzioni comunitarie mostrano di avere anche in questi tempi difficili, sappiamo bene che la soluzione non sia l'uscita dall'Unione. Non siamo su un autobus dal quale si può scendere quando si vuole. Dobbiamo restare e reagire affinché le cose cambino. Oggi è possibile. Un Governo nazionale di centrodestra ha il dovere, morale e politico, di provarci. Vi sono molte occasioni nelle quali il singolo Stato membro dell'Unione può far valere il veto su decisioni non condivise. Giorgia Meloni usi tale potere come strumento negoziale. La logica che da ora in avanti deve prevalere nei rapporti con Bruxelles è quella del meccanismo compensativo. Perché si approvi qualcosa che lede il nostro interesse nazionale, occorre che l'Unione offra in cambio altro a compensazione del danno provocato. Questa Europa non merita alcun sacrificio da parte degli italiani. Perciò, nulla dovrà essere più concesso gratuitamente. Si obietterà: così si trasforma l'Unione in un mercato delle vacche. E finora cos'è stato? Un areopago di spirti eletti o un postribolo? Della presenza di un Demostene a Bruxelles o a Francoforte non v'è traccia? Di qualcos'altro, sì.

Il "regalo di Natale", come lo ha definito Guido Crosetto, che la Bce ha recapitato all'Italia ha già provocato un rialzo anomalo dello spread Btp-Bund, che ha chiuso ieri a 213,43 punti base contro i 188,09 della chiusura della scorsa settimana. Nel giorno delle dichiarazioni della signora Lagarde, tra gli indici di Borsa, il FtseMib ha lasciato sul terreno il 3,45 per cento a 23.726 punti. Il Governo agisca in fretta. Non è più tempo di convenevoli con gli eurocrati. Altrimenti, cosa si racconta agli italiani? Che l'operazione-accettazione del Governo di centrodestra a Bruxelles è perfettamente riuscita ma il paziente sistema-Italia è morto?