DI MARCO FERRARI 

Dici Salvietti e pensi alla squadra di calcio dello Spezia, oggi in serie A. Infatti Libero Salvietti è stato un mito delle aquile negli anni Trenta, passato alla storia per i suoi gol direttamente da calcio d'angolo, quindi, è stato allenatore nella stagione 1953-54, di nuovo agli inizi degli anni Sessanta e per l'ultima volta nel 1969. Ma pochi sanno che un altro Salvietti è diventato un marchio conosciuto in tutto il Sud America. Finita la Prima guerra mondiale, Dante Salvietti nel 1918 partì dalla Spezia, lasciando in Italia i genitori, Anselmo e Assunta, nella loro piccola mescita di vino e dieci fratelli. Secondo un suo discendente, Renato Pucci Salvietti, la famiglia non gli credette, ma quando lo videro con tutti i bagagli pronto per intraprendere il lungo viaggio, non ebbero altra scelta che salutarlo e augurargli buona fortuna. Voleva andare a tutti i costi in America per assicurarsi un futuro migliore. Cercava gli Stati Uniti, ma a Genova salì su un transatlantico che lo portò in Sud America, attraversò lo stretto di Drake, voltò dall'altra parte del Pacifico e lo scaricò ad Antofagasta, in Cile. Non si sentivo troppo contento di quella destinazione e con spirito di avventura salì sino in Bolivia con in tasca un biglietto con l'indirizzo di un'altra famiglia spezzina, i Mosca, immigrati anche loro, che vivevano lassù. Non gli pareva vero conoscere un mondo così diverso dalla tranquilla cittadina di mare da cui era partito.

Raggiunse La Paz, si spostò a Chulumani e cominciò a mettere in pratica i suoi progetti. Si ricordava di una ditta che vendeva gazzose alla Spezia e lui voleva avviare una fabbrica di bibite e sciroppi. Fui proprio in quella cittadina che Dante iniziò a sperimentare la miscela di estratti di frutta, acqua di sorgente e ginger seltz. Un po' scienziato, esploratore e uomo d'affari, scoprì per caso un frutto speciale, dalla polpa fresca e dal sapore incantevole, la papaya di Chulumani. Avviò un impianto di lavorazione piuttosto rustico, a mano, nel clima tropicale e subtropicale della jungla boliviana, utilizzando come assaggiatori i contadini e i proprietari terrieri che vivevano nelle Yungas. Nel 1920, l'imprenditore riuscì a introdurre per la prima volta nel mercato boliviano il prodotto chiamato "Champan Cola" in un contenitore in vetro prodotto in Inghilterra, considerato l'ultimo modello innovativo per le bibite, anche se in seguito cambiò più volte design. Il 24 luglio di quell'anno mise in vendita con il nome di Papaya Salvietti la sua invenzione in una bottiglia di vetro spesso, di colore verde. nonostante ciò che ottenne non avesse nemmeno lontanamente il sapore di quel frutto tropicale che tanto gli piaceva e che abbonda nelle Yungas de La Paz. Una notte un branco di muli che trasportava un grosso carico si imbizzarrì, entrò nella piantagione di papaya e la distrusse interamente. Fu la spinta per tornare nella capitale, come racconta Mauricio Belmonte Pijuan nel libro 'Polenta, Familias Italiana en Bolivia". Il Calle Loayza avviò un vero impianto industriale, chiamando dalla Spezia i fratelli Ruggiero e Pierino che arrivarono a La Paz in date diverse. Tutti insieme, i tre i fratelli Salvietti avviarono la più laboriosa industria di bibite della Bolivia di diversi gusti e con colori che attraggono alla vista. Lo sciroppo di papaya dolce e aromatico prodotto nelle Yungas si trasformò gradualmente fino a diventare una consistenza gassosa ed effervescente, come è noto ancora oggi. Crescendo ancora l'azienda si spostò in Calle Calama, vicina a piazza Riosinho con l'insegna Yungas di La Paz. Sposatosi con una boliviana, Esther Nieto, Dante ebbe tre figli, Guillermo, Mario e Anselmo. Nel 1954 decise di tornare alla Spezia, dove morì nel 1974. Raccontava che si era imbattuto per caso nella papaya e che quel frutto magico gli aveva cambiato la vita. La Papaya Salvietti è diventato uno dei prodotti tipici della Bolivia e lui un personaggio della storia cittadina di La Paz, persino delle leggende. Ancora oggi si narra che Dante Salvetti, passeggiando nel boschetto Pura Purao, udì uno strano rumore tra i cespugli. Era un folletto che per ricompensa gli fornì una nuova ricetta per la papaya in cambio di comparire sulle etichette delle bottiglie. Così la Papaya Salvietti ha come immagine un ometto barbuto con il cappello a punta e con un'enorme papaya, ma non svelerà a nessuno la formula segreta della sua invenzione. La bevanda dell'italiano era così popolare che in un programma radiofonico di domande e risposte il conduttore chiese a uno studente chi fosse l'autore della "Divina Commedia". Il concorrente esitò un po', rifletté e rispose così: "L'autore è Dante... Dante Salvietti!".

La ditta è però fallita nel 1995 e tutte le proprietà furono messe all'asta, meno la formula della soda. Durante questo periodo, Oriental, CBG e Quilmes rilevano la produzione e l'immagine del marchio viene modificata. La Salvietti ha riaperto nel 2015, quando la soda è stata rilanciata sul mercato e il folletto è ricomparso negli scaffali dei negozi. "Da cento anni il sapore della bevanda è stato mantenuto e sebbene siano state apportate alcune modifiche alla ricetta originale, quel gusto che è stato goduto di generazione in generazione non è mai cambiato", dicono in azienda. In piena salute, la fabbrica Gaseoas Salvietti del Sur, trasferita a Sucre dal 1977, ha compiuto cento anni di vita, gestita prima da Anselmo Salvietti, successivamente dal figlio Armando, adesso da Gabriele Salvietti, pronipote di Dante. Oltre la tradizionale papaya e all'acqua gassata e naturale, la società produce bibite al chinotto, alla cola, all'arancia, limone, pompelmo, fragola, ananas e da ultimo al ginger, un prodotto speciale fabbricato dal 2013 e succhi di frutta in bustine, simili a quelli che Dante inventò per la prima volta a Chulumani. Oggi i Salvetti hanno aziende nei dipartimenti di Santa Cruz, Potosí, La Paz, Cochabamba e Sucre. Un colosso da migliaia di bottiglie al giorno, frutto di un visionario che è partito dalla Spezia per giungere nel cuore del continente latino-americano. "A Sucre, la produzione giornaliera di bibite e acqua è composta da una varietà di formati. Utilizziamo gli stessi macchinari per l'imbottigliamento dei prodotti, sempre alla stessa velocità" spiega il titolare. La società dispone di 50 operai e 25 autisti che lavorano in proprio, per provvigioni di vendita, chiamati "papayeros". A Sucre l'impianto comprende una soffiatrice, una macchina per il trattamento dell'acqua, una lavabottiglie per vetro, ammorbidenti, un'etichettatrice e una riempitrice. Secondo Gabriele Salvietti, l'azienda si mantiene tecnologicamente aggiornata in termini di processi di produzione e imbottigliamento e i suoi prodotti sono conformi a tutti gli standard di igiene e controllo qualità. Dal 2011 i centri produttivi aziendali sono passati da 20 mila a 100.000 confezioni di tutti i formati e si sono espansi in gran patre dei paesi latino-americani raggiungendo anche Buenos Aires, dove sono commercializzati in lattine da 350 millilitri e bottiglie in PET. Ma a La Paz quando i boliviani vanno al bar ormai chiedono "la papaya di Dante".

MARCO FERRARI

Nella foto Dante e Ruggiero Salvietti