Giorgia Meloni (Depositphotos)

di Bruno Tucci

Per Giorgia Meloni, il silenzio è d'oro, come insegna un vecchio adagio, e la parola è d'argento. E lei vorrebbe tanto che i suoi più stretti collaboratori tenessero sempre bene a mente questi proverbi.

Il perché è presto detto. Da quando Giorgia Meloni è diventata premier, le polemiche più fastidiose le ha avute perché i suoi fedelissimi non hanno chiuso la bocca. Ora si può comprendere quante e quali beghe un presidente del Consiglio deve risolvere o dipanare. Questo è nei compiti che gli affida il prestigioso incarico conferitole dal presidente della Repubblica. Ma se poi, a metterti nei guai sono coloro che invece dovrebbero aiutarti, l'impresa diventa improba.

Capita così che Giorgia non debba combattere contro un'opposizione che ogni giorno ne inventa una pur di dilapidarla: "È fascista", dicono in coro da Schelin a Conte. Lo ripetono come un mantra tutti i giorni. Hai voglia a dimostrargli che l'accusa è infondata, che lo ha dimostrato nei suoi interventi che queste sono soltanto falsità. Niente. Si va avanti a testuggine. I sondaggi più accorti riferiscono che da quando siede a Palazzo Chigi, il termine fascista rivoltole contro supera di numero le dieci volte.

Pazienza. Nel gioco politico tutto questo ci può stare: fa parte della democrazia e del dibattito fra maggioranza e opposizione. Però il braccio di ferro non deve mai oltrepassare certi limiti. Che invece passa sopratutto quando si è in vicinanza di un importante appuntamento, vedi elezioni o voti di fiducia in Parlamento.

La Meloni risponde spesso con diplomazia ai suoi avversari cercando in tutti i modi di placare gli animi. A volte ci riesce, altre volte no. Impara la lezione e la tiene bene a mente per il futuro. Non comprende invece alcuni atteggiamenti dei suoi compagni di viaggio che fanno di tutto per complicarle la vita. In primis Matteo Salvini che quotidianamente va al di là del seminato per dimostrare agli amici di partito quanto sia ancora forte politicamente e quanto le sue parole pesino quando si tratta di prendere decisioni importanti.

Poi, ci si è messo pure Silvio Berlusconi a intorbidire le acque per far vedere che Forza Italia non è l'anello debole della coalizione. E' chiaro che, stando così le cose, le opposizioni gongolino e inzuppino il pane nella diverse posizioni della destra. E' un gioco che gli fa guadagnare punti, ma soprattutto rende evidente il fatto che questo governo, a loro giudizio, non potrà andare avanti per i cinque anni della legislatura.

Questa è aria fritta per la maggioranza, sono solo parole di circostanza. Ma se ad esarcebare gli animi ci si mettono pure coloro che invece dovrebbero calmare le polemiche, allora è giusto che il premier insorga e ricordi ai suoi amici fidati che, appunto, il silenzio è d'oro.

Gli esempi? Sono molti, purtroppo. In specie negli ultimi tempi dalla tragedia di Cutro in poi. Ricordiamo Matteo Piantedosi, il ministro degli Interni, che non ebbe un'espressione (definiamola così) felice, nei confronti dei familiari che avevano perso nel disastro un figlio, una moglie, un marito.

A pochi giorni di distanza, ecco finire nel mirino degli avversari il sottosegretario alla Giustizia Andrea Del Mastro, reo di aver dato ad un suo amico di partito (con cui divide l'appartamento di Roma) documenti che dovevano rimanere riservati. Apriti cielo. La polemica divampa in Parlamento e si chiedono a gran voce le sue dimissioni. Giorgia difende a spada tratta il compagno di partito, ma non è una passeggiata anche perché chi ha avuto quelle carte si chiama Giovanni Donzelli, un altro esponente di Fratelli d'Italia, che le usa alla Camera per gettare fango sui dem.

Ora, sulle coppie gay e l'utero in affitto, sono divampate nuove polemiche contro il vice presidente della Camera Fabio Rampelli.

("Non si possono spacciare per figli propri i bimbi di una coppia omosessjale"), il presidente della commissione cultura di Montecitorio, Federico Mollicone ("la maternità surrogata è un reato più grave della pedofilia") e, infine Lucio Malan, capogruppo al Senato del partito di Giorgia Meloni, che non ha usato sul problema parole di circostanza.

A questo punto, fonti bene informate sostengono che la Meloni abbia detto basta usando il telefono e discutendo con gli interessati. Per quale ragione? Se a complicarle la navigazione sono gli stessi ministri (o altri suoi uomini di prestigio), allora la "guerra" con le opposizioni diventa difficile. Tanto da essere insuperabile? Il presidente esclude questa ipotesi, ma chiede a chi sta con lei di essere più prudente e di evitare di esprimere giudizi che possono ritorcersi contro il governo.