di FELICE NADDEO

Le passeggiate con la moglie, la spesa al supermercato, qualche chiacchiera con i vicini di casa. Era una vita scandita da abitudini ordinarie e dalle difficoltà di una condizione di salute precaria quella di Hermes Mario Tarigo Giordano a Capaccio Paestum, in provincia di Salerno. Eppure dietro il volto socievole di quell’82enne si celava la banalità del male. Nessuno sapeva nella cittadina alle porte del Cilento che il signor Mario, come lo chiamavano i conoscenti, fosse un ricercato da “bollino rosso” dell’Interpol. Un uomo crudele, che in Uruguay – all’epoca della dittatura negli anni Settanta – era uno dei generali più spietati. Ricercato per crimini contro l’umanità, ai vertici della polizia segreta che torturava e spesso uccideva gli oppositori del regime.

La fuga nel Cilento - Tarigo Giordano viveva da circa 10 anni a Capaccio Paestum. Prima ancora era stato a Camerota, dove c’è una folta comunità molto legata – per ragioni di emigrazione – al Sudamerica e in particolare all’Uruguay e al Venezuela. Tra Camerota e Battipaglia ha vissuto, negli stessi anni anche Jorge Nestor Fernandez Troccoli, l’ex militare dei servizi segreti della Marina uruguaiana, dal cognome tipicamente cilentano, coinvolto nella morte di 21 desaparecidos tra Bolivia, Cile, Colombia e appunto Ururguay. Arrestato nel 2021 e ora in carcere per scontare un ergastolo, Troccoli era uno dei militari attivi nel famigerato piano Condor: l’operazione segreta tra intelligence sudamericane per eliminare gli oppositori.

Il profilo - Colonnello dell’esercito uruguagio, ex comandante del battaglione Florida e ufficiale dei servizi segreti, Giordano era stato condannato nel suo Paese per duplice omicidio aggravato. Fu responsabile delle torture che portarono alla morte di due militanti Tupamaros, i guerriglieri che si opponevano alla dittatura in Uruguay: Walter Arteche, 28 anni, e l’argentino Gerardo Alter, studente di Architettura di 27 anni.

L’estradizione - I carabinieri lo avevano arrestato a fine giugno. Viveva da qualche settimana con il braccialetto elettronico in attesa dell’estradizione, avvenuta nella giornata del 5 luglio quando è stato consegnato alle autorità sudamericane. Ai militari dell’Arma, dopo l’arresto, ha cercato di giustificare quanto accaduto negli anni Settanta in Uruguay. Cercando di raccontare una realtà che non è mai esistita nel Sudamerica dei dittatori.

La testimonianza - Provoca, invece, ancora turbamento la testimonianza di Jorge Selves, un rivoluzionario che riuscì ad evitare la morte nello stesso giorno in cui furono uccisi Alter e Arteche: «Al momento dell’arresto non c’è stata resistenza – raccontò ai giudici del Tribunale uruguaiano - all’arrivo sono stati denudati e legati a terra con dei polsini di cuoio, uno accanto all’altro. Immediatamente iniziano ad usare magneti inzuppati d’acqua come mezzo di tortura durante gli interrogatori. Dopo 15 minuti, Arteche muore. Gli inquirenti lo portano via. L’interrogatorio continua con me e Alter, unici prigionieri rimasti, e dopo mezz’ora anche Alter muore».

Felice Naddeo

(Corriere della Sera)