di EDDA CINARELLI

Se si parla del Che Guevara è inevitabile parlare di politica, guerriglia e rivoluzione. Ma dopo i lunghi decenni trascorsi dalla morte di quello che rimane un simbolo dell’America Latina è interessante affrontare non solo questi argomenti ma anche il mondo di un Che più intimo riservato e forse meno conosciuto, l’Ernesto che faceva parte di una famiglia: anzi, di un gruppo familiare molto esteso e tipico dell’Argentina nel periodo che va dal 1930 ai primi anni ’50. Chi meglio quindi di uno dei suoi fratelli, Juan Martin, per scandagliare queste tematiche?

Celia è morta lo scorso 18 luglio nella Città di Buenos Aires, era la seconda dei cinque figli di Ernesto Guevara Lynch e Celia de la Serna, nata nel dicembre 1929, un anno e mezzo dopo il suo celebre fratello, era sociologa e architetta, investigatrice dell’Università di Buenos Aires (UBA), un ambito in cui era molto affermata, amata e rispettata e in cui la notizia della sua morte ha causato una sensazione di profonda tristezza e di gelo. Celia è stata seguita da Roberto e da Ana Maria mentre Juan Martin è arrivato nel 1943 dieci anni dopo Ana Maria, aveva 15 anni meno del Che quindi la sua relazione con il fratello maggiore era di gioco ma anche di complicità.

La madre Celia Guevara de la Serna era una donna colta e politicamente impegnata che ha trasmesso alla sua prole l’amore per lo studio e per la lettura e i suoi rampolli influenzati da lei si sono laureati tutti, meno Juan Martin. Il padre invece era un po’ bizzarro, credeva nella iettatura e nel malocchio che cercava di allontanare quasi ossessivamente facendo le corna – questo è quello che dice Juan Martin che è sornione, molto ironico e sempre di buon umore -. Ad ogni modo anche il signor Guevara Lynch amava la cultura, in speciale la poesia. In questo ambiente, tra una madre impegnata e un padre un po’ bislacco Juan Martin ha provato a ritagliarsi uno spazio di libertà, ha cercato di svincolarsi dalla disciplina familiare e praticamente è cresciuto per la strada. Ha frequentato un corso di giornalismo e poi ha esercitato vari lavori, è stato libraio, camionista, editore, ristoratore e rappresentante dell’impresa Habanos di Cuba. Da giovane faceva parte di un’organizzazione di sinistra.  Per questa ragione e perché era il fratello del Che Guevara era inevitabile che finisse in carcere.

E’ giusto ricordare che il Che Guevara, uno degli ideologi della Rivoluzione cubana, è un icona di ribellione in tutto il mondo, amato o malvisto secondo l’ideologia di appartenenza.

D.: Si sa che all’epoca del Golpe Lei era in galera, potrebbe raccontare? 

Appartenevo ad un’organizzazione politica di sinistra e sono stato arrestato nel 1974, durante la terza presidenza di Peron. Sono stato in carcere e mi hanno rilasciato dopo alcuni mesi, al poco tempo nel 1975, i militari sono piombati in casa mia e mi hanno nuovamente arrestato, si sono portati via anche la mia compagna. Juan Domingo Peron era già morto, c’era ancora un governo democratico ed hanno deciso di registrarci all’Anagrafe dei detenuti politici e grazie a questo non sono desaparecido.  Sono stato in carcere fino al 1983 e sono stato torturato con brutalità al limite della sopportabilità umana.

Quando ero a Devoto, io ed altri detenuti abbiamo avuto informazioni su come il servizio penitenziario e alcuni funzionari, tra cui il capo del carcere, rubavano la carne destinata ai prigionieri e la vendevano, si arricchivano alle spalle dello Stato e dei carcerati. Li abbiamo denunciati e siamo stati puniti anche per questo.

D.: Com’era la sua relazione con Ernesto?

Ci separavano molti anni di età, per lui ero il fratellino minore con cui giocava. Quando vivevamo nella casa di Palermo lui studiava medicina, di giorno usciva, di notte studiava e sorseggiava il mate, era l’unico della famiglia che lo beveva, e io glielo preparavo, c’era una relazione di amore e di complicità.

D.: Quando ha visto suo fratello per l’ultima volta?

La penultima nel 1959, dopo la rivoluzione Cubana a la Habana, dove siamo andati grazie a Camilo Cien Fuegos che ha voluto fare una sorpresa a Ernesto, e la ultima nel 1961 a Montevideo quando il Che è andato a Punta del Este per partecipare alla riunione straordinaria del “Consejo Interamericano Economico y Social”, poi è andato nella capitale dell’Uruguay per dare una conferenza nel Paraninfo (Salone per le conferenze) dell’Università di Montevideo. Tra il pubblico c’era Salvador Allende cui il Che ha donato il suo libro La guerra de guerrilla.

D.: Perché crede che il Partito Comunista e la Unione Sovietica non abbiano protetto suo fratello?

Perché dopo la fine della Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti e la Unione Sovietica si sono divisi Occidente in due parti, è iniziata la Guerra Fredda ed erano comodi così, non volevano cambiamenti e la Rivoluzione Cubana è stata un grattacapo per entrambi e per il Partito Comunista.

D.: Dopo anni di silenzio Lei ha scritto un libro con una giornalista francese, come mai?

Me l’ha proposto la giornalista e scrittrice francese Armelle Vicent ed ho  accettato per evitare che la figura del Che fosse ingessata, cristallizzata. Ho voluto umanizzarlo, far capire che era una persona di carne ed ossa, con sentimenti. Era molto unito alla famiglia, specialmente a nostra madre, era coerente, coraggioso e si atteneva alle conseguenze delle sue azioni. Il libro che ho scritto con Vicent s’intitola Mi hermano el Che.

D.: Lei, prima del libro cercava di passare inosservato.

Non è stato facile vivere come fratello di… è una responsabilità enorme.

Ho l’impressione che la famiglia Guevara fosse unita da un amore profondo.

Sicuramente, ci univa il sangue e l’ideologia