Walter Mazzarri (foto: @livephotosport - Depositphotos)

di MIMMO CARRATELLI

Si’ turnato n’ata vota. Canzone antica per avvenimenti moderni.
A volte tornano, come i tre moschettieri. Torna Mazzarri a Napoli, città di mare con abitanti incerti.
Opposti isterismi: è una minestra riscaldata, meglio del pesce lesso che è andato via; un passo indietro, solo un traghettatore; un rimedio peggiore del male, è ‘o munacone che resuscita i morti e ferma il colera di un campionato moribondo; è la restaurazione aureliana, è un’ancora di salvezza; è un copia-e-incolla, è ‘a voce ‘e notte che nce sceta int’’a nuttata; è il principio della fine, è la fine del precipizio.
In ogni caso, riecco l’uomo delle giacche volanti, l’uomo che sussurrava a un cavallo uruguayano, l’immenso Edinson Cavani, l’allenatore di “i miei giocatori in qualunque zona si trovino devono avere almeno cinque possibilità di giocare la palla”.
Riecco Walter Mazzarri livornese di scoglio, capace di camminare sulle asperità, molto diverso dai livornesi di sabbia che hanno un cammino più facile, e uomo di polso, proteso con l’orologio rivendicativo d’ogni recupero, agitatore di bordo-campo, l’impetuoso Walter, l’assatanato Mazzarri, il missionario del pallone, tutto casa e area di rigore, “il bello del calcio è il gioco d’attacco”.
Fornaio mancato, laurea in economia e commercio interrotta, emulo incompiuto di Antognoni nelle giovanili della Fiorentina e poi tecnico itinerante fino al primo approdo a Napoli quando fu l’ottobre di 14 anni fa, stramazzando Donadoni alla settima giornata e Gian Paolo Montali, due ori europei alla guida della nazionale italiana di pallavolo, passato a fare il manager nel calcio lo segnalò a De Laurentiis.
E Mazzarri arrivò, quella prima volta, tenendo in tasca un amuleto degli ebrei e dei musulmani, l’hamsa, che porta scritta la preghiera del viaggiatore.
Egocentrico e timido fuggì dalle luci della città e si appartò a Pozzuoli, lupo solitario, la popolarità lo imbarazzava. Una volta sorpreso da alcuni tifosi in un bar flegreo mentre mangiava una brioche, la lasciò a metà e scappò via.
Sognava una squadra che occupasse la metà campo avversaria e che arrivasse in area con quattro, cinque giocatori e che gli esterni crossassero quindici volte a partita.
Uno scatenato sognatore, allievo di Renzo Ulivieri che lo aveva portato da secondo a Napoli dieci anni prima.
Walter Mazzarri che, nell’epoca di De Laurentiis, ha spinto per la prima volta il Napoli a lottare per lo scudetto contro Milan e Inter, arrivando a un punto dal sogno prima di schiantarsi contro l’Udinese e a Palermo e il sogno svanì, era il campionato 2010-11, il secondo sulla panchina azzurra.
Walter Mazzarri che ha portato per la prima volta il Napoli in Champions sfiorando i quarti di finale, fermato agli ottavi dal salvataggio di Cole sulla linea a Fuorigrotta e, a Londra, da un gol del Chelsea nei supplementari.
Walter Mazzarri e la “zona Mazzari”, quelle partite strappa-cuori e strappate all’ultimissimo minuto, sul filo di lana e del miocardio.
Una leggenda immediata, debuttando sulla panchina azzurra contro il Bologna (2-1), Christian Maggio fissò la vittoria al 91’.
Un allenatore drammatico. L’ora e mezza di gioco fuggiva, ma lui non moriva mai disperato.
Gettava via la giacca spaventapasseri, gol e camicia, e aizzava gli azzurri fino all’ultimo respiro, uomo di tempra di un calcio passionale, o tempora o mores.
Partite risolte al 90’ e oltre nei quattro anni a Napoli, indimenticabili partite piratesche, Mazzarri il mago dell’extra-time, la “zona Mazzari” già collaudata quand’era stato alla Reggina e alla Sampdoria.
Aveva 48 anni, tanta energia e tantissimi capelli, una chioma compatta anni Cinquanta, la faccia scolpita in un’arroganza di orgoglio e superbia, l’adrenalina per l’eccesso di iodio del Tirreno immagazzinato da ragazzo esaltandogli la tiroide.
Un uomo elettrico, una dinamo umana, un perpetuo arco voltaico. E il professor Pondrelli, preparatore atletico, il suo asso nella manica.
Fumatore incallito, multato quand’era alla Reggina dopo essere stato sorpreso dall’arbitro Tombolini con la sigaretta in bocca (era scattato il divieto di fumo in panchina).
Dopo quattro anni se ne andò da Napoli per troppa ambizione, puntando l’Inter, e perché, disse, dopo quattro anni o si cambia tutta la squadra o si cambia l’allenatore.
Tradì Aurelio e Aurelio disse: “Mazzarri si è venduto allo scurnacchiato”, e lo scurnacchiato era Massimo Moratti presidente dell’Inter, anche De Laurentiis era più giovane e focoso.
Mazzarri, il livornese di San Vincenzo, ritorna che ha 62 anni, tanta voglia di riapparire dopo gli esoneri a Torino e a Cagliari, da un anno fermo, ringhioso, ma anche riflessivo e astuto, oggi una vera dama di San Vincenzo, con un corso dichiarato di simpatia per essere accettato e l’ammirazione proclamata per il Napoli di Spalletti, dunque pronto a raccogliere quel che resta di Garcia.
Un’intervista malandrina per arrivare al cuore di De Laurentiis che, dopo il fallimento col francese, non sapendo che pesci pigliare ha pigliato questo pesce della riviera etrusca, il Walter Mazzarri accomodante e disponibile, il caratterino-caratteraccio nascosto sotto un improvviso nirvana, ma già guerriero nell’anima.
Perché Mazzarri è sempre Walter Mazzarri, il tizzone ardente, l’uomo senza giacca, l’allenatore che avrà Osimhen e Kvaratskhelia, dopo avere avuto Cavani e Lavezzi, e urlerà per scuotere la squadra e riconquistare i tifosi del golfo per questa eterna favola azzurra che ieri ci illuse, che oggi ci illude, oh Aurelione.